Fase terza

Riassumendo del tutto liberamente il pensiero espresso da Mario Bortolotto nel suo Fase seconda, la musica contemporanea mostra il suo tratto distintivo nel "tempo liberato", ossia nel non avere un ritmo o comunque un ritmo non regolare, simboli dell'imborghesimento o addirittura della "sozzura dell'umano". Di "incretinimento" parlava Nono, a proposito della musica pop e rock, considerata commerciale. Si può notare tale linea di pensiero di Nono, per esempio, nel dialogo con i ragazzi in uno dei concerti gratuiti tenuti da Abbado e Pollini negli anni '70 del '900 (https://www.youtube.com/watch?v=f4etOJ7Thag, minuto 37). Invece il ritmo, ossia l'organizzazione del tempo - anche con tenuta metronomica, ossia minuziosa, della regolarità agogica - ha continuato ad avere importanza. Erano i compositori di musica seria del '900 (ma non tutti e non in ogni brano) a sognare una musica senza scansione ritmica regolare, ma la pretesa non ha avuto presa alcuna sul pubblico, che si annoia e non comprende le loro opere, e ciò forse non perché il pubblico è "massificato", ma perché la scansione ritmica ha un che di originario e costitutivo dell'essere umano, non è - come pensavano loro - una regola imposta. Che la regolarità della scansione ritmica fosse connaturata all'uomo e alla musica era opinione anche di intellettuali e filosofi dell'800 (Christian Gottfried Korner e Hegel, cit. in Carl Dahlhaus, Beethoven e il suo tempo, Torino, EDT,  1990, pp. 65-66, Tit. Orig. Ludwig van Beethoven und Seine Zeit, 1987, Laaber-Verlag, Laaber). Certo, la regolarità della scansione ritmica rende la musica ballabile ed è forse questo il principale riferimento "di massa" che costituiva l'idolo polemico di certa avanguardia musicale novecentesca. Sulla fase storico-musicale di avvicinamento alla poliritmia e di rottura nei confronti della regolarità della scansione ritmica, che risale già ai primi del '900, cfr., di Roberto Zanetti, Storia della musica italiana da Sant'Ambrogio a noi, 1985, Milano, Bramante Editrice, La musica italiana nel novecento, tomo primo, p. 140. Certo, non si può negare che in altre culture e in altri paesi, per esempio in Africa, la poliritmia sia altrettanto connaturata all'uomo. Ma proprio per questo, quando tale dato stilistico viene trasportato nel nostro occidente, si tratta di un'operazione culturale e non della riscoperta di una purezza originaria o di qualcosa di connaturato a noi, ma bensì dell'introduzione di una varietà e di una lontananza rispetto a ciò che ci è familiare, in modo tale che tale dato stilistico ci affascina proprio perché è lontano dalle nostre abitudini, fenomeno che si può - semplificando - definire fascino esotico, o esotismo tout court. Un altro mito dei compositori di musica colta del '900 era quello dell'opera definitiva, escatologica, che ponesse fine all'uomo e al mondo. Bortolotto allude a tale mito - pur non citandolo in questi termini - nella sua descrizione delle opere di Stockhausen e soprattutto di Kagel, ma forse ciò che sfugge nella sua trattazione, quale riferimento storico-musicale oggettivo, è che analoghe fantasie impregnavano l'opera di Scriabin (Le poème de l'extase, Mysterium; Bortolotto cita Scriabin solamente nella penultima pagina della prima parte del suo saggio, a proposito di Feldman che ne riconosce l'eredità per sé stesso), e che non si tratta tanto qui di una cesura novecentesca tra vecchia e nuova musica, ma del riverbero in alcuni autori del '900 di un mito musicale misticheggiante del periodo tardoromantico.

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