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Visualizzazione dei post da aprile, 2022

Review of the imaginary Great Universal History of the String Quartet

This important, imposing, powerful and ponderous work (more than two thousand pages divided into six tomes of encyclopedic format, published by Qp Editore) represents perhaps the highest peak of musicological research of the great Algesio Erbi. It is impossible to list here the merits with completeness of detail, the particular, incisive operations of research and rediscovery transfused therein. We limit ourselves to pointing out only a few of the many merits of the work. Starting from the origins of the string quartet as a form of entertainment, explored down to the smallest details, the author rightly (and how could it be otherwise?) finds its roots in Haydn, with particular emphasis on the too often neglected Op. 9, so pervaded with tensions in pure Empfindsamer Stil , not forgetting the contemporary production of Boccherini, too often left in the shadows or the object of only generic praise and lacking in detailed analysis. On the subject of national schools, it is worth rememberin

Recensione della immaginaria Grande storia universale del quartetto d'archi

Questa importante, imponente, poderosa e ponderosa opera (più di duemila pagine suddivise in sei tomi di formato enciclopedico, edita da Qp Editore) rappresenta forse la vetta più alta delle ricerche musicologiche del grande Algesio Erbi. Impossibile elencarne qui i meriti con completezza di dettaglio, le particolari, incisive operazioni di ricerca e riscoperta ivi trasfuse. Ci limitiamo a segnalare soltanto alcuni dei numerosi pregi dell'opera. Partendo dalle origini del quartetto d'archi come divertimento, scandagliate fin nei minimi dettagli, l'Autore ne ritrova giustamente (e come potrebbe essere altrimenti?) le radici in Haydn, con particolare accento sulla troppe volte trascurata Op. 9, così pervasa di tensioni in puro Empfindsamer Stil , non tralasciando né la coeva produzione del Boccherini, troppe volte rimasta nell'ombra o oggetto di elogi soltanto generici e privi di analisi dettagliate, né la ancor più misconosciuta produzione quartettistica di Vincenzo Manf

Un confronto incrociato tra le esecuzioni del primo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms (Pollini 1980 e Gould) e del secondo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms (Pollini 1977 e Zimerman-Bernstein)

 Impareggiabile per stile epico il primo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms di Gould, ma ugualmente mitologica l'esecuzione di Pollini 1980, sempre nel primo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms, all'enunciazione del secondo tema da parte del pianoforte. Indubbio cavallo di battaglia di Pollini il secondo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms (1977), ma, nel terzo movimento, Abbado adotta un andamento più lento rispetto all'esecuzione di Bernstein-Zimermann. In particolare, l'apertura del violoncello solista nel terzo movimento sembra più convincente nell'edizione dei Wiener con Bernstein, rispetto a quella dei Wiener con Abbado (1977).