Scritti sulla musica (2016)

Introduzione (fondazione teoretica): per un'Estetica regionale

Per Estetica si intende la scienza del bello (è una branca della filosofia).
Per estetica regionale s'intende una concezione ed una modalità di esercizio dell'estetica che mira a mappare le diverse regioni del bello.
Il presupposto teorico che sta a monte dell'estetica regionale (e di questi scritti) è che nelle arti in generale (qui si tratterà della musica), ciascun'opera (brano) “punti verso” o sia la “rappresentanza” di una regione dell'universo estetico; che ciascun brano rappresenti una regione dell'universo estetico, connotata in modo univoco; che si possa di conseguenza fare una mappa delle diverse regioni estetiche, calcolandone distanza e posizione; che questa mappa, questo insieme di regioni estetiche differenziate e contigue siano un mondo parallelo (l'universo estetico, appunto); che quindi, più precisamente, le regioni estetiche del mondo parallelo rappresentino sé stesse nei vari brani; che tale mondo parallelo costituisca un universo di sconfinata bellezza, analogo al nostro mondo, ma infinitamente più bello; che tale cifra di maggiore (infinita) bellezza corrisponda ad un'infinita verità; che di conseguenza, mappando nel modo più completo l'universo estetico (o universo parallelo, che è lo stesso) si raggiunga tale verità ultima.
Penso che una riflessione (o obiezione) a tutta prima possa essere che tale meccanismo teorico (all'apparenza anche molto astratto) somiglia in qualche modo a una religione, in quanto dà per presupposte troppe cose indimostrabili.
Mi permetto di prevenire tale possibile obiezione ricordando che tale è la caratteristica di tutta la filosofia e che non per questo tutta la filosofia viene ritenuta metafisica.
Personalmente preferirei vedere tale approccio metodologico, semmai, come una versione scritta (filosofica o letteraria, lascio ad altri giudicare) di quello che secondo me è il cuore e il significato profondo della dodecafonia schoenbergiana, ossia una tecnica che cambia tutti i segni del linguaggio per proteggere il proprio nucleo romantico dalla svalutazione, dettata dalla strumentalizzazione (di regime, nel caso della dodecafonia): per proteggere le cose belle, rendiamole incomprensibili. 
   Mi rendo perfettamente conto, d'altro canto, che i presupposti teoretici, citati qui in premessa, propri degli scritti che seguono, prestano il fianco all'accusa di "platonismo estetico", così ben descritta in Fondamenti di storiografia musicale (Tit. Orig.: Grundlagen der Musikgeschichte, Koln, Arno Volk Verlag Hans Gerig K.G., 1977; tr. it., 1980, Discanto Edizioni, Fiesole), da Carl Dahlhaus (p. 76). Si potrebbe essere anche esposti alle accuse di art pour l'art e di "musica pura" in funzione di una sorta di "teologia dell'arte", come esposto da Walter Benjamin in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, 2012-2019, Donzelli editore, Roma, pp. 78-79 (Tit. Orig. : Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, 5 versioni scritte tra il 1935 e il 1940). Correremo tale rischio di prestare il fianco all'accusa di conservatorismo in tema di estetica. In altre parole, ritengo pienamente legittimo un vertice osservativo estetico di tipo extra-storico e atemporale (puramente geografico, non di una geografia terrena, ma bensì di una geografia appunto riferita al sovramondo estetico). E' altrettanto ovvio che tale presupposto teorico, ed il conseguente approccio metodologico ad esso collegato, sono frutto della convinzione dell'autonomia del bello e della sua fruizione anche rispetto ad altri aspetti, oltreché rispetto a quello storico, ossia rispetto agli aspetti sociali e politici. Il che non significa negarne l'esistenza o trovarli di scarso interesse. Significa soltanto sostenere che il cuore di ciò che interessa nell'ambito del bello e della sua fruizione, non dipende da tali aspetti, pur contemplandoli come contesto, come premessa, come linguaggio ossia come tecnica di composizione e come mezzo di comprensione. (Nella prospettiva - pur così dettagliata e complessa - di Dahlhaus 1977, mi sembra che manchi altresì la dimensione del piacere, che afferisce alla dimensione estetica e che risulta esserne un canale privilegiato di accesso, per quanto tale assunto possa essere tacciabile di "epicureismo estetico", per parafrasare la definizione di cui sopra. Forse ciò di cui occorre tenere conto è che Dahlhaus 1977 è intento a prevenire critiche musicologiche dal fronte della musicologia marxista, come espressa in Geschichte als Weg zum Musikverstäändnis <Storia come mezzo di comprensione della musica>, 1977, di Georg Knepler).

Un ulteriore presupposto teorico di questi scritti risiede nella convinzione che l'idea di ascendenza crociana dell'indipendenza della musica dall'interprete (con conseguente innegabile svalutazione del ruolo di quest'ultimo) non possa essere sostenuta.
Ciò perché, se è vero il presupposto delle regioni estetiche e dell'universo parallelo, ogni interprete – con la propria poetica e cioè con la propria interpretazione – inevitabilmente sovrappone il proprio mondo poetico al mondo poetico del brano  che egli intende disvelare con l'esecuzione-interpretazione stessa.
Ma ciò, anziché essere disturbante, dev'essere ritenuto indispensabile per il disvelamento stesso.
Certo, tale disvelamento non si verificherà a tutte le condizioni, ma solamente nel caso in cui l'universo estetico dell'interprete per quel brano coincida con l'universo estetico del brano interpretato. 
In tal caso si verificherà una coincidenza, un'aderenza (o intersezione) tale per cui l'interpretazione di quel brano da parte di quell'interprete resa in quel lasso temporale (unico, nel caso del concerto, ripetibile, nel caso della registrazione) diverrà la chiave di accesso all'universo poetico (alla regione estetica) del brano stesso.
L'interprete è un esploratore di regioni estetiche. Egli ha lampade e chiavi per scoprire, svelare, aprire, illuminare le regioni estetiche che cerca di esplorare. A volte le chiavi (quelle chiavi che egli adopera in un dato momento) non funzionano, a volte egli può entrare in quelle regioni per altre vie che non sono quelle principali, ma se vi entra, ed ogni volta che vi entra, egli rende un servizio universale e imperituro all'umanità.
Analogamente, va smentita come falsa la convinzione che l'opera d'arte sia “aperta” e che l'ideale della corretta interpretazione sia una chimera, in quanto l'interprete ricrea in modo libero e l'unica opera d'arte esistente è la ri-creazione dell'interprete, dato che il segno rimane muto fino a che l'interprete non lo fa vivo.
Tale è l'eccesso opposto, quello abbracciato da Michelangelo Zurletti sulla scorta di Umberto Eco, secondo il quale “ogni accesso è un modo di possedere l'opera”. Qui vi è, di sbagliato, una sopravvalutazione dell'interprete a scapito dell'idea dell'autore.
L'interprete segue una traccia (il segno scritto), ma quella traccia è l'indizio o l'insieme di indizi lasciati dall'autore riguardo a una storia in cui il protagonista (il colpevole del romanzo giallo), ossia la corretta interpretazione, non è quella che vuole l'interprete (il lettore, nel caso dei romanzi gialli), ma quella stabilita dall'Autore e che viene infine disvelata.
La pretesa che l'interprete, o il fruitore, o il lettore nel caso dei romanzi gialli, stabiliscano qual è la versione corretta, il significato ultimo, o creino da loro stessi il significato è altrettanto bizzarra quanto l'idea che si potrebbero vendere romanzi con pagine in bianco, perché tanto è il lettore che crea il romanzo.

Vi è anche un'altra questione, molto importante, cui occorre accennare.
Il mondo parallelo le cui regioni rappresentano sé stesse nei brani musicali, è lo stesso dei sogni.
Ciò implica una ipotesi alternativa rispetto alla teoria dei sogni di Sigmund Freud.
Com'è noto, per Freud il sogno è la realizzazione di un desiderio. Nell'Interpretazione dei sogni Freud elaborò una teoria, alla base della nascita della psicoanalisi, in base alla quale il sogno risulta essere una “formazione di compromesso” tra le esigenze dell'io cosciente e del Super-io (l'imperativo morale più o meno rigido, benevolo o maligno) e le pulsioni dell'Es (le nostre pulsioni inconsce, in conflitto con le istanze del Super-io e pertanto inaccessibili - in quanto inaccettabili – per l'io cosciente).
Prescindo, in tale sommaria ricapitolazione, ovviamente, dal distinguere tra la prima e la seconda topica di Freud (egli è andato elaborando ed accrescendo più volte la sua teoria nel corso del tempo).
Sicché per Freud il sogno sarebbe un veicolo di conoscenza delle pulsioni inconsce e dei conflitti tra queste, la nostra coscienza e il nostro mondo morale (Super-io), anch'esso in parte inconscio. Tale conflitto sarebbe esplorabile in analisi e l'analisi dei sogni permetterebbe un accesso privilegiato al nostro inconscio.
Il sogno come realizzazione di un desiderio e la salvaguardia del sonno quale realizzazione del principale desiderio notturno sono state le intuizioni originarie dalle quali Freud ha preso le mosse nel suo lavoro che lo ha portato molto avanti nell'elaborazione della psicoanalisi.
Ora, aldilà dell'evidente insufficienza e scorrettezza di una così povera riesposizione della teoria freudiana del sogno quale quella che qui sopra ho fatto (ma la sostanza è quella, comunque), quello che mi preme qui sottolineare è che, a mio  avviso, il sogno non rappresenta quanto sostenuto da Freud.
Anzitutto, in Freud manca una prospettiva estetologica del sogno: che fare dei sogni belli? Li interpretiamo? E se lo facciamo, lo facciamo alla stessa stregua di quelli brutti o emotivamente neutri? Il sogno bello non è già significato a sé stesso? Deve per forza significare altro? E dove potremo mai fermarci, se accogliamo la tesi di Freud, nella ricerca del significato? Chi ci dice cioè che, trovato il significato di un'immagine del sogno, tale significato non sia a sua volta il significante di un ulteriore significato, e così via, all'infinito? Chi stabilisce dove bisogna spingersi o fermarsi nella ricerca dell'ulteriore significato? Il paziente? L'analista? Dio?
Anche per i sogni ricorrenti, anziché ricorrere, quale spiegazione, alla coazione a ripetere (che comporta una pulsione distruttiva o comunque un'interpretazione del sogno ricorrente in senso negativo e problematico), potremmo ricorrere ad altro.
Io penso che i sogni costituiscano anch'essi, come la musica, un mondo parallelo che noi visitiamo di notte.
Che questo mondo parallelo sia lo stesso della musica.
Che quindi – nella sua essenza – tale mondo parallelo che visitiamo ogni volta che sogniamo sia non meno reale del nostro (come del resto asserì Borges) e che sia, nel suo complesso, di infinita bellezza (certo, non mancano le brutture rappresentate dagli incubi).
Che noi viaggiamo in diverse regioni e luoghi di tale mondo parallelo nei sogni.
Alcuni luoghi ci attraggono più di altri: di qui il sogno ricorrente.

Allo stesso modo, potremmo fare un discorso di tipo metafisico, agganciandolo alla musica e ai sogni.
Potremmo cioè presupporre che l'aldilà sia lo stesso mondo parallelo della musica e dei sogni.
Ma non voglio spingermi troppo oltre, in una povera introduzione ad un piccolo libro di scritti sulla musica.


1) Il Pastor Fido e la romantizzazione del Barocco

La necessità di romantizzare il Barocco musicale mi venne dall’ascolto di alcune sonate del ciclo Il Pastor Fido di Vivaldi (in particolare la sonata in sol minore RV 58) che Maxence Larrieu suonò in un teatro milanese non distante dal Conservatorio di musica Giuseppe Verdi negli anni ’90 del XX secolo.
Presto capii che la dimensione colà espressa trascendeva la preconcezione di un Barocco musicale e di un Romanticismo musicale legati alla storia della musica e ne proiettava l’unità (un’iper-romantizzazione) nei cieli dell’universo.
Il romanticismo che ne scaturiva, in senso astorico e universalistico (non mi spingo a dire metafisico) riguardava il quotidiano ed il dialogico.
Ma del resto il dialogo tra sentimenti diversi caratterizza l’Empfindsamer Stil, rispetto all’unità del sentimento del primo Barocco, prescritto dalla Teoria degli affetti.
Quel dialogo quotidiano, assurgendo ad assoluto, rappresentava il Nunc Stans di schopenhaueriana memoria.

2) Durezza e dolcezza in Beethoven

Quanto mi accingo a scrivere qui non è nuovo ai musicisti. Gli è che la durezza, rispetto alla dolcezza (le due istanze afferiscono a momenti separati) viene sovente enfatizzata in Beethoven, mentre la seconda è altrettanto importante della prima, come due pilastri contrapposti di un ponte. La dolcezza si manifesta nei secondi temi di sinfonie, sonate, concerti e nei movimenti lenti. Se non si tiene conto di tale istanza, necessariamente Beethoven risulterà più duro di Mozart. Con il nulla cui tale considerazione, priva degli intrecci di cui sopra, ci porta.

3) Il ritmo vivaldiano

L’elemento ritmico è fondamentale in Vivaldi, (se si esagera, si può affermare: “quasi quanto in Stravinsky”). Accanto alla nutrita presenza (diletta) in Vivaldi della musica strumentale – quanto a produzione – accanto a quella vocale e all’impulso dato al concerto come forma musicale non dissimile da quella mo , il ritmo vivaldiano è importante, perché senza quell’elemento, avremmo – effettivamente, come criticò qualcuno – tanti concerti vivaldiani a volte “troppo uguali”. Invece molti di quei concerti si differenziano per le figure ritmiche inusitate e interessanti.

4) Danza profana e canto sacro come archetipi di due tradizioni parallele

Quanto sopra ricordato riguardo all’importanza del ritmo in un compositore che molto ha dedicato alla musica strumentale come Vivaldi è importante per ricercare le radici della musica strumentale nella tradizione del ritmo che discende dall’abitudine alla danza, laddove la tradizione vocale discende dal canto, in origine prevalentemente sacro.
La danza profana costituirebbe in base a tale discendenza immaginaria l’origine della musica strumentale, laddove il canto sacro costituirebbe l’archetipo immaginario della tradizione del melodramma.
Non saprei quanto di tale coppia di discendenze parallele potrebbe trovare corrispondenza nella storia documentale della musica, ma credo che in ogni caso il ragionamento possa valere a livello immaginifico, come reverie, intesa in senso bioniano quale suggerimento implicito di una poetica.

5) Il ruolo del violoncello nel romanticismo universale

Senz’altro il calore ed il colore sonoro, unitamente al registro dai toni medio-gravi e altresì lo splendido legato, fanno sì che il violoncello sia sempre stato soggetto e oggetto di musiche romantiche (l’aggettivo va inteso qui in senso astorico), che da Bach, Vivaldi, salendo fino a Schumann e Brahms, hanno accompagnato la storia della musica come lo splendido vestito semi-trasparente di una bella donna, il cui compito è precisamente quello di lasciarne intravvedere l’avvenenza avvolgendone il corpo senza precluderlo allo sguardo.

6) Rampal e la metafisica del suono

Ad apprendere la musica attraverso il suono del flauto tutti i musicisti (non solo i flautisti) invitò Jean-Pierre Rampal. In lui il suono è talmente bello che si fa veicolo principale dell’interpretazione dei brani. Il suo suono è di una bellezza che definirei metafisica. Disincarnato di ogni impurità eppure carnale, morbido, tondo, vellutato, inesauribile: fluido. Non sarebbe possibile descriverne tutte le sfumature. La bellezza della musica viene cercata e tradotta in quel suono e attraverso quel suono, sicché della musica il suono è tutto. Attraverso il suono passa ogni significato.

7) Vita e morte in Mahler

Ricordo che, intervistato sul perché Mahler piaccia molto ai giovani, Claudio Abbado rispose che in Mahler c’è la vita, ma anche la morte (sulla rappresentazione della morte in Mahler, in particolare nella nona sinfonia, si espresse anche Leonard Bernstein).
Ciò costituirebbe un motivo di attrazione, in ragione delle eterne domande e dello spleen esistenziale dei giovani (palesato, camuffato o rimosso che sia tale spleen oggigiorno).
Sto per acquisire dalla locale biblioteca un testo di un critico che non ama le sinfonie mahleriane, rispetto ad esempio ai lieder, perché le ritiene in qualche modo dei monstra.
Non so se vi sia relazione con il primo ragionamento di cui sopra, ma io a vent’anni amavo molto le sinfonie di Mahler.

8) Mattina domenicale assolata

Infantile, dalla luce e dal cielo diafano, con l’odore di chiuso della trattoria accanto alle cui porte si passava, lungo il marciapiede. Il senso ne è che…

9) Tra fede e scienza, tra cultura e indottrinamento

Anche se si è accettato il dato di fede iniziale, (o la paetitio principii, se si preferisce), proprio della teoria psicoanalitica (l’indimostrabile inconscio), è sempre meglio rifuggire l’indottrinamento ed adottare un atteggiamento culturale.
Perciò, in particolare sulla teoria freudiana del sogno, non smetto di chiedermi: tutti i sogni hanno uguale importanza? E ancora: tutti i sogni vanno interpretati? Sono sempre essi significante di un significato altro (simbolico)? O non possono essere, almeno alcuni, significato a sé stessi?
Mi riferisco in particolare alla valenza estetica dei sogni, che potrebbe essere a buon diritto concepita quale significato a sé stante del sogno, nella sua valenza di edificazione, già fine a sé stessa.
Prima ancora di aver tentato di dare risposte, ci sottrarremo, con tali domande, al rischio dell’indottrinamento di scuola (di quella freudiana, come di qualsiasi altra scuola) che troppo facilmente, data la teoria, si trasforma in catechismo.

10) La musica vocale

La musica vocale e in particolare il melodramma. Non si riesce a negare una subordinazione del suono alla parola quale significante di un significato ulteriore (il significato della parola stessa, ma – allargando la visuale – della frase parlata, del dialogo/monologo, della trama, della storia nel suo complesso).
Abbiamo diversi elementi che concorrono – suddividendo l’attenzione del fruitore – all’opera nel suo complesso e tali elementi, oltre alla musica con la sua logica puramente musicale in sé (suonata e/o parlata che sia), sono, ad esempio, il libretto, la trama, la scenografia, l’ambientazione storica, il significato allegorico della trama, scena,  ecc…
Inoltre, abbiamo la ritrattistica psicologico-morale dei personaggi e, come tale, ancora una volta la musica ne risulta, se non subordinata, adattata o “consustanziata”, nel senso che parte integrante del suo valore e validità artistica risiede anche nella sua efficacia nel dipingere le caratteristiche del tale o tal altro personaggio dell’opera stessa.
La parola pone anche problemi ulteriori di tipo pratico: la lingua in cui è espressa, l’udibilità, la difficoltà a comprendere ciò che viene detto.
Poi vi sono momenti in cui l’aspetto musicale è nettamente subordinato, come nel recitativo, secco o orchestrato che sia.
L’azione scenica, lo svolgersi del dramma, acquisiscono un valore a sé – aldilà della musica – e ciò rende innegabilmente più insoddisfatto il fruitore di musica pura.
Chi sia tale fruitore di musica pura è poi da vedere: se sia un romantico (la musica essendo indefinita, rispetto alle parole che invece sono definite nel loro significato, esprimerebbe meglio l’assoluto) è tutto da dimostrare. A livello storico, almeno. Che diremmo, altrimenti, di Verdi, Wagner, Berlioz, e moltissimi altri autori, ma anche di tutta la tradizione liederistica? Che non si tratta di fenomeni romantici?
Vero è che il romanticismo si definisce anche come fucina di contraddizioni, e la summenzionata sarebbe soltanto una fra le tante. Ma soddisfa, poi, anche tale considerazione?
V’è inoltre da dire (ed è discorso a parte, ma collegato a quanto sopra) che l’amante della musica strumentale (strumentale “pura”, se vogliamo) non potrebbe essere amante di nulla se ignorasse la musica vocale, perché è l’aspetto culturale della musica quello che le dà valore: gli intrecci tra generi ne costituiscono parte integrante.
Per il medesimo motivo, non sarebbe un intenditore di quartetti, e non sarebbe anzi proprio un intenditore di alcunché, chi ascoltasse, suonasse e conoscesse solo quartetti, poiché la storia del genere quartettistico, la produzione quartettistica e la musica in generale è tutta collegata con gli altri generi.
I generi musicali, i vari, innumerevoli brani musicali sono, come scriveva per ciò che concerne la letteratura il grande Borges, tutte pagine di uno stesso grande libro universale.
E’ in base a tale ultima considerazione che in musica, come e più che in altre discipline, i cosiddetti “specialisti” non hanno ragione alcuna.
Specialisti di che? Esiste uno specialista dell’universo?

11) Durata (quindi forma) e bellezza

Il tomo su Mahler che ho preso in prestito consta di ben mille pagine. L’ultimo libro (romanzo) che mi hanno regalato a Natale è di pochissime pagine. Due esempi di un cattivo uso della durata, di una lunghezza sbagliata del libro. Li ritengo due esempi analoghi e opposti di snobismo intellettuale. Ad essere snobbato non è soltanto il lettore, ma l’idea stessa di bellezza del libro.
La bellezza ha a che fare anche con questioni di proporzioni e di forma. Le proporzioni e quindi la forma di un’opera, sia essa letteraria, musicale o di altro genere, costituiscono un ideale di bellezza e contribuiscono in modo determinante alla bellezza dell’opera.
La durata di un film, per esempio, è essenziale nel giudizio estetico che si dà al film stesso. Ciò perché la proporzione, la durata e quindi la forma sono questioni direttamente collegate alla bellezza dell’opera; sono quindi tutt’altro che estrinseche e superficiali.
Ora, per ribadire il concetto di cui sopra, potremmo usare anche la metafora alimentare: il fruitore di arte, come l’ospite a tavola, non va né lasciato affamato, né ingozzato oltre l’umana capacità digestiva.
Un’ulteriore argomentazione è di ordine logico. Se come fruitore mi dedico all’approfondimento di Mahler per mille pagine, quante pagine di lettura dovrei dedicare a Mozart, Beethoven? E agli altri compositori?
E alfine, fatta l’immane fatica, non mi resterebbe tempo per un analogo, paragonabile approfondimento da dedicare all’ascolto diretto della musica di tali autori, che rispetto alla lettura dovrebbe pur prendermi un tempo infinitamente più grande, perché là (nei libri) vi è una descrizione, qui (nell’ascolto diretto) vi è l’essenza dell’arte di quegli autori.
Ma per una simile impresa non basterebbe una vita. Pertanto è vano scrivere un libro di mille pagine su Mahler, come su qualunque altro autore.
Lo stesso vale per le opere troppo brevi. Un romanzo troppo breve non è un romanzo.
Riguardo alle scorciatoie formali che azzoppano la forma stessa, diminuendone ingiustificatamente la durata, ricordo quanto disse ad una collega di conservatorio il mio docente di musica da camera, allorquando – in una sonata di Beethoven – ella saltò il ritornello dell’esposizione, che precede lo sviluppo, passando direttamente a quest’ultimo:
“Perché salti il ritornello? Forse perché è uguale alla prima parte dell’esposizione che hai appena eseguito?
Ma già solo per il fatto che tu nel ritornello ripeti la prima parte dell’esposizione –  raddoppiandone la durata -  ed anche per il fatto che tale ripetizione viene dopo, essa non è più uguale alla prima, ma bensì la completa e concorre alle corrette proporzioni, in una parola alla forma dell’opera.
Altrimenti sarebbe come dire che – nel costruire un ponte - ti fermi a metà ponte, perché tanto gli ultimi due piloni sono esattamente uguali ai primi due, quindi li salti”.

12) Le cantate e i brani vocali in modo minore di Vivaldi, di J.S. Bach e di molti altri

Credo che qui siamo in un mondo veramente trascendente. Penso che sia qui espresso il non plus ultra della purezza di sentimento.
Non faccio se non un accenno all’importanza del modo minore nella musica in generale, nel senso che secondo me è in tale modo che si sono scritti i tesori più preziosi della musica, e sarà bene riprendere tale argomento più oltre.
Mi limito qui a decantare l’applicazione del modo minore alla cantata, o comunque – in senso estensivo – al brano vocale, in ispecie sacro, per unica voce ed in particolare (ma non soltanto) per voce femminile ed archi.
Penso che con tale genere (se si può definire tale, data l’accezione estensiva ed alquanto generica appena sopra dichiarata) si siano raggiunte alcune tra le vette più alte della produzione artistica di tutti i tempi.
Basti fare, ancora, un ultimo accenno del genere, che anch’esso meglio dovrà essere trattato a parte: l’incredibile Stabat Mater di Pergolesi.

13) Strada

Collegata a quanto sopra è la strada. Perché, se pensiamo all’aria di Sarastro, possiamo concepirla come la summa di una tradizione, quella della cantata sacra, che ha come riferimento la strada.
E’ forse simbolo di cammino (potrebbe essere la redenzione, la luce, l’incontro con il prossimo). E’ una dimensione che si svolge in senso orizzontale, quella che ha per simbolo la strada, e che potrebbe sembrare in contraddizione con una concezione della cantata sacra come dimensione verticale, in quanto dialogo con Dio.
Credo che si potrebbe risolvere il dubbio concependo la dimensione orizzontale della cantata non tanto come simbolo, ma bensì come luogo immaginifico della cantata: la strada è una fantasia, un sentimento che accompagna l’ascolto e il pensiero della cantata.
O forse il dubbio di cui sopra potrebbe risolversi come segue: la strada, ossia la dimensione orizzontale (umana) è l’aspetto immanente della fede. La fede consisterebbe nel collegare la dimensione orizzontale e immanente (apertura all’altro) con l’aspetto verticale e trascendente (il rapporto con Dio).
In tal senso, la fantasia orizzontale (la strada, appunto) che accompagna l’ascolto della cantata sarebbe la realizzazione del sentimento del compositore (tradotto in arte e quindi comunicabile all’ascoltatore ed in grado di suggerirgli la fantasia di cui sopra), consistente nel desiderio del compositore stesso di collegare l’aspetto verticale-trascendente della vita (la grazia, il rapporto con Dio) con quello orizzontale-immanente (l’apertura al prossimo).
Un’ulteriore, diversa spiegazione, assai più semplice, della fantasia della strada che accompagna l’ascolto della cantata, potrebbe essere la seguente, di tipo non fenomenologico, ma meramente fenomenico: il ritmo binario e l’accompagnamento di tali brani ricordano spesso la processione religiosa: ed ecco spiegata la fantasia della strada suggerita da tali brani.
Si noterà, tuttavia, che tale ultima spiegazione fenomenica della fantasia della strada, non impedisce di applicare alla processione religiosa stessa il ragionamento della penultima spiegazione: quel ragionamento complesso e fenomenologico che attribuisce alla fantasia un significato di collegamento – nella fede – dell’aspetto orizzontale-immanente della vita (apertura al prossimo) con l’aspetto verticale-trascendente (il rapporto con Dio).

14) Ancora sulla durata

Quanto asserito in 11) si presta a numerose obiezioni. La prima potrebbe essere che un saggio critico non è un romanzo e non aspirerebbe necessariamente alla bellezza artistica.
Tale obiezione è però facilmente da me confutabile: tutti gli scritti possono essere considerati opere d’arte nell’accezione borgesiana di 10).
Altra obiezione potrebbe riguardare l’infinita durata di opere quali quelle proustiane o anche di altri romanzi per antonomasia, come Guerra e pace.
Orbene, si potrebbe controbiettare che tali romanzi sono più romanzi composti in uno, come le scatole cinesi o le bambole russe.
Obiezione ulteriore (e decisiva) potrebbe essere che, se accettiamo l’accezione borgesiana di romanzo universale nel senso di 10), è di poco senso giudicare singoli brani di un romanzo universale che riguarda tutte le opere e tutti gli autori presi insieme (chi deciderebbe infatti la punteggiatura di tale romanzo universale, per dirla in termini della teoria della comunicazione della scuola di Paolo Alto?).
A tale obiezione potrei controbattere con una controbiezione estrema: non di romanzo, ma di monografia di mille pagine si tratterebbe, trattante quindi un solo argomento e pertanto capitolo squilibrato all’interno del romanzo universale.
Potrei però salvarmi dall’obiezione originaria (la concezione borgesiana del romanzo universale del paragrafo 11), solamente leggendo il libro su Mahler e dimostrando quindi – se è vero – che non è anch’esso, come le opere di Proust o Guerra e pace, presi ad esempio qui sopra, un insieme di libri nel libro, perché, se così fosse, avrei perso la concione.

15) La sfida, Carlito’s way e i film degli anni ’90 del XX secolo

Tra le mille e più considerazioni che si possono fare (sulla regia, sugli attori, sociologiche sul tipo di cinematografia, sulla tecnica cinematografica in senso stretto), ne faccio un paio che riguardano il clima di quegli anni. Come se, dai film, si potesse intuire retrospettivamente com’era un’epoca rispetto ad un’altra e rispetto ai nostri tempi.
La prima considerazione riguarda gli spazi: il senso di vuoto. E’ vuota la città e sono vuote le case, gli spazi sembrano immensi. Anche i tempi, dilatati, se accettiamo l’accezione di tempo collegata allo spazio (per accettare tale accezione, serve nota a parte, più oltre). In particolare la diacronia predomina sulla sincronia, oggi invece dominante.
La seconda considerazione riguarda il tenore affettivo: malinconico. Questo è uno degli aspetti più struggenti perché riguarda, tipicamente, i film d’azione. E il connubio di film d’azione, poliziesco o thriller, e malinconia, è uno dei tratti più belli e caratteristici di quegli anni.
Sul gusto per il senso del mistero, altro tratto tipico di quegli anni, si vedano invece altre pellicole: un buon esempio, ma tutt’altro che unico, è il telefilm X-files.
Sul perché di tale gusto del mistero, serve nota a parte, più oltre.

16) Destini possibili

Mi collego a 13). La camminata nel luogo natio, dell’infanzia, fa sorgere un sentimento di bellezza possibile. Anche – talvolta – la camminata in luoghi nuovi, sconosciuti e non necessariamente lussureggianti. Talaltra no, però.
Benigni nei “10 comandamenti” attribuisce il sentimento del sublime alla vista delle città come il presentimento d’amore ch’esse suscitano in noi. Stiamo parlando evidentemente del kantiano sublime, di cui alla Critica del giudizio.
Perché i luoghi natii lo suscitano spesso e altri luoghi nuovi talvolta sì e talaltra no?
Io definirei in termini di destini possibili le fantasie che suscitano in noi le strade vecchie e nuove.
Quelle vecchie, perché forte è l’impressione suscitata in noi da luoghi visti anche allora e la collateralità dei nostri luoghi natii con quelli suscita il sentimento di possibilità.
Le strade nuove possono suscitare analogo sentimento in una prospettiva di vita bella percepita come riguardante forse anche noi (in un futuro o in un mondo parallelo, il che è il senso anche dell’arte e della letteratura).
La bellezza della vita suscitata dai luoghi non dipende dalla bellezza dei luoghi, ma dalle persone con cui immaginiamo di vivere in quei luoghi.
Così, la mia città che è portata ad esempio di città anonima, in una battuta di uno scrittore diventò la città più bella da visitare, proprio in virtù di chi lo avrebbe accompagnato nella visita.

17) Manicheismo in Star Wars

Han Solo lo spiega nell’episodio VII, anche se non ne fa una teoria esplicita: la teoria si può desumere interamente dal suo discorso.
Poiché la forza è composta di due elementi, eternamente presenti ed eternamente in conflitto tra di loro, ci saranno sempre tradimenti (Fener passa dal lato chiaro a quello oscuro e poi ancora a quello chiaro; il figlio di Han passa dal chiaro allo scuro) e ci saranno sempre sconfitte parziali e temporanee di un lato e dell’altro (con il che la saga può continuare potenzialmente all’infinito).
Tale è il principio filosofico-religioso del manicheismo, che informa la saga e sul quale la saga stessa è interamente imperniata.

18) I 24 capricci

Oggi sappiamo, proprio a partire da Paganini, che il nocciolo del virtuosismo solistico ottocentesco è il rapporto del musicista con lo strumento, più che con la musica. La musica è strumento di esaltazione dello strumento, e non viceversa.
Ciò che si deve aggiungere è però che tale inversione di rapporto musica strumento, vale allo stesso fine del suo inverso: vi è in altre parole in Paganini la romantizzazione del rapporto con lo strumento.
Nell’esprimere il suo massimo talento (del musicista nella sua bravura e dello strumento nell’espressione delle sue potenzialità intrinseche) egli/esso esprime il proprio ideale di bellezza e di romanticismo.

19) La canzone di Solveig della suite orchestrale del Peer Gynt di Edvard Grieg, (Sir Thomas Beecham, Royal Philarmonic Orchestra, soprano Ilse Hollweg)

Più di altri celebri brani in questa splendida edizione della suite di Grieg, questo mi pare pervaso da un tale calore del suono e da una tale intensità espressiva, da farne un optimum.
Si tratta di un’interpretazione che unisce il calore all’accuratezza, in un connubio magnifico delle due doti fondamentali del direttore d’orchestra: concertatore e interprete.
Notevole l’esito sonoro anche in relazione all’epoca dell’incisione (fine anni ’50 del secolo XX, agli albori della stereofonia).
Devo anche dire che questo grande, come la quasi totalità dei direttori d’orchestra britannici di ieri e di oggi, mi convince molto.
Apprezzo molto lo stile, che unisce concreta precisione ad afflato poetico, di Sir Colin Davis, Sir Neville Marriner, Trevor Pinnock (già ottimo clavicembalista), solo per citarne alcuni.
Discorso a parte, ovviamente, andrà fatto per ciascuno di loro (e per altri non citati qui), senza omettere il grande Sir Georg Solti.
(P.S.: noto che – all’epoca in cui scrivo, gennaio 2016 - manca ancora una voce italiana di Wikipedia per il grande Sir Adrian Boult).

20) Preludi di Rachmaninov e Ashkenazy

Il titolo vuole ovviamente essere provocatorio: oggigiorno lo è solo nei confronti di Croce che riteneva nullo il ruolo dell’esecutore-interprete.
Notiamo qui come un grande pianista onnivoro, dal repertorio sterminato e proprio per questo non particolarmente specializzato in alcun autore (si fa per dire, naturalmente), che usa il piano per raggiungere l’espressività musicale e non subordina l’espressività musicale al pianismo, affronta un autore tardoromantico di tipo prettamente pianistico, che sembrerebbe essere molto legato al destino dello strumento per il quale principalmente scrive.
L’esito è esaltante, come in tutti gli strani incroci “mendeliani” tra interprete e autore che sembrerebbero a prima vista presentare caratteristiche assai divergenti tra loro.
Su tutti: si pensi all’esito esaltante del “freddo” Karajan che dirige le sinfonie del “caldo” Chaikovsky, con esiti molto più magniloquenti e impressionanti di quelli raggiunti dal “caldo” Bernstein il quale, proprio perché caldo di suo, non riesce a superare l’imbarazzo della scelta tra i mille climax ascendenti dell’Autore e risulta quindi a volte un po’ dispersivo.
Qui (preludi di Rachmaninov) Ashkenazy riesce a rendere l’anima romantica profonda di questo Autore, rendendolo pienamente equiparabile ai grandi romantici come Schumann.
Che poi Ashkenazy interpreti tutti gli autori – anche quelli classici e romantici mitteleuropei – con l’allure del grande nichilismo russo, come sembra sostenere il grande Piero Rattalino, è altra faccenda, anch’essa molto affascinante, specialmente nel momento in cui il grande musicologo Rattalino afferma a più riprese ed esplicitamente che questo pianista, e con lui tutti i grandi interpreti, contribuisce alla storia della cultura e, nel dare una lettura di uno e più autori, traccia una direttrice interpretativa e quindi culturale insieme: con buona pace di Benedetto Croce.

21) La follia di Rachmaninov

Carlo Maria Cella scriveva un bellissimo “Elogio della follia” in Musica Viva, Anno VIII n.6, giugno 1984.
E’ vero che nessun musicista nello scrivere una propria versione di questo tema e variazioni, ne ha stravolto il tema e Rachmaninov non fa eccezione.
Interessante anche la tesi della Variazione come forma musicale la più universale.
La storia della follia come genere musicale offre un’affascinante lettura della storia della musica, proprio perché dal rinascimento all’età contemporanea se ne sono occuparti una moltitudine di compositori.
E in tutti i casi, lo stupore sta nel riconoscere quel tema, che lega tutti nella storia perché sembra attraversare tutta la storia.

22) Il “suono Ashkenazy”

Premesso che sonorità e tocco valgono per quanto mi riguarda in funzione espressiva e non come fine a sé stessi (intendo con ciò: in direzione della musica e non in funzione dello strumento che la esegue; tratteremo poi, al riguardo, in termini non sempre adoranti, di Benedetti Michelangeli), mi permetto di fare una considerazione, come da titolo.
Alcuni post su internet, sparsi qua e là, in parte non a torto, tacciano il Nostro di suono metallico e martellante (curioso a tal proposito l’inciso di Rattalino che tace riguardo a tale possibile appunto e, in parte in direzione contraria, parla invece della sonorità non fortissima, in termini puramente dinamici, di Ashkenazy).
Molto spesso però (e con ciò intendo in numerose incisioni: penso a Schumann, ma anche a Rachmaninoff e a Prokofiev) il suono è dolce e caldissimo, più che gradevole, bello.
Allora? La mia teoria è che chi ama ha sempre ragione e chi ama esprime il bello e lo comunica perciostesso agli altri, mentre chi non ama ha sempre torto (mi sto riferendo evidentemente all’interpretazione musicale).
Perciò, laddove Ashkenazy ama (per esempio, nei tre autori citati, per numerosissimi, sterminati brani), l’interpretazione ed anche la qualità del suono (le due cose sono tutt’altro che prive di correlazioni) sono bellissime.
Laddove invece Ashkenazy non ama (secondo me per esempio ama un po’ meno Mozart e Chopin), l’interpretazione sarà meno bella e anche il suono potrà risultare, a tratti, un po’ metallico e martellante.

23) Per una geografia musicale

Partiamo dal presupposto di un’estetica regionale, un’estetica geografica (è chiaro che il riferimento spaziale nulla ha a che vedere con la geografia vera e propria del mondo, ma bensì con quella degli affetti).
Ossia: ogni autore (meglio, ogni brano) esprime un’angolazione dell’universo (affettivo), come tale localizzabile e misurabile nella sua distanza dalle porzioni di universo illuminate ed espresse da tutti gli altri autori (brani).
La geografia estetica suddetta è necessariamente quadridimensionale, nel senso che riguarda distanze tra regioni (affettive) non solamente contemporanee, ma anche diacroniche (deve essere sempre possibile collegare, ad esempio, l’estetica di Vivaldi a quella di Beethoven).
E’ appena il caso di notare che due brani, o autori, o singoli passaggi all’interno di brani, o gruppi di composizioni di due autori, molto distanti a livello di spazio reale e/o tempo reale, possono invece essere molto vicini a livello geografico estetico.
Per esempio il romanticismo universale di Bach, molto distante a livello temporale reale dal romanticismo ottocentesco, come riconosciuto nella storia della musica, è però vicino per taluni aspetti a quella dimensione estetica, mentre per altri aspetti ne è lontanissimo.
La quadridimensionalità della geografia estetica (ossia una geografia estetica che unisce insieme i concetti di spazio e tempo) riflette peraltro un’analoga quadridimensionalità del mondo reale, ad oggi misconosciuta (spazio e tempo non sono in effetti due dimensioni separate come molti ritengono, ma bensì un’unica dimensione: lontano nello spazio è anche lontano nel tempo e vicino nello spazio è anche vicino nel tempo, e viceversa, come Borges ci ha insegnato).
Esistono naturalmente dei criteri di lettura diacronici, tali da identificare delle “porte” tra gruppi di autori di epoche (affettive) diverse. Ciascuna porta apre su regioni affettive dove si collocano più autori insieme, appartenenti ad un’epoca successiva (o precedente). Uso i termini “epoca” e “regione” in modo intercambiabile, come spiegato nel capoverso precedente.
Faccio l’esempio di una porta: il passaggio dalla Teoria degli affetti all’Empfindsamer Stil. (Gli autori più affascinanti sono quelli che stanno sulla soglia tra due ere-regioni affettive: penso a CPE Bach, ma anche a J. Quantz, solo per fare due esempi).
Se una tale geografia estetica è possibile, noi dovremmo poter definire ciascun autore (o periodo nella produzione di un autore, o brano all’interno della produzione di ciascun autore) in termini di connotazione (regionale-estetica).
Un esempio di connotazione regionale-estetica è: sonata in sol minore per violino e cembalo di CPE Bach (o BWV 1020 di J.S.Bach) = (uguale a) dialogo familiare.

24) Trii con pianoforte

Devo tirare le orecchie a D.E.U.M.M. che dedica sterminate pagine alle più lontane perle dell’etnomusicologia e poi al genere Trio dedica poco più di un trafiletto.
Siamo d’accordo sul fatto che sia il genere romantico (uno dei generi romantici) par excellence.
Sulla funzione romantizzante del violoncello (spesso accompagnante il pianoforte) già abbiamo detto. Aggiungiamo che l’inserimento del violino rende il dialogo tra strumenti diversi così colloquiale e appassionato allo stesso tempo, da stemperare senz’altro quel tanto di brutalità e noia che a volte, dopo molte ore di ascolto continuato, il pianoforte ci riserva, rendendone la parte (spesso la sua parte è quella principale) viva e vitale.
Gli esempi del genere sono sterminati. Qui ricordo il trio elegiaco di Rachmaninov (il primo della serie, in particolare) e il trio di Ciaikovsky.
Entrambi aprono con un tema articolato, nostalgico, appassionato, carico di un afflato esaltante: di una bellezza assoluta (languore).
Il difficile viene con la parte centrale (o sviluppo, se vogliamo chiamarlo così) come per tutti i romantici che volevano andare oltre la forma (classica) ed esprimere il contenuto (il sentimento), non sempre riuscendo a concepire che non vi è contenuto senza forma (e viceversa, ovviamente).
Il primo (Rachmaninov) riesce a tenere quel meraviglioso afflato e tensione emotiva, pur non sempre con vette poetiche esaltanti in tutti i passaggi, per l’intera durata del brano, a costo di renderne la forma aggrovigliata e densa.
Al secondo citato (Ciaikovsky) non riesce secondo me l’impresa e la parte centrale diventa dispersiva, come se l’ispirazione dell’inizio non trovasse un seguito, forse perché il materiale tematico dell’incipit è fin troppo esteso e definito nella sua statura poetica, sicché, dopo di lui è difficile proseguire il discorso, come dopo la parola di un grande oratore.
A proposito dell’ultima riflessione di cui sopra, non meraviglia il fatto che – per un’inevitabile complementarità formale – gli sviluppi di Beethoven fossero estremamente convincenti, articolati e incisivi, proprio in virtù del fatto che il materiale tematico dell’inizio era scarno ed essenziale.

25) La sonata per viola di Brahms

Oltre al trio con pianoforte, anche la sonata per uno strumento e pianoforte può annoverarsi tra i generi romantici par excellence.
Tra le migliaia di composizioni del genere, cito – più o meno a casaccio – due capolavori che per il loro tenore affettivo (mi riferisco sempre in special modo al primo movimento che in qualche modo è secondo me la testa dell’ispirazione) hanno un afflato romantico commovente (e mille altri aggettivi qualificativi per i quali occorre essere poeti): la sonata per viola e pianoforte di Brahms e la sonata per violino di Franck.
Il registro tendente al medio e il colore brunastro del suono dello strumento solista prescelto (la viola), nella prima sonata citata, fanno di quest’opera qualcosa di speciale.
La meravigliosa ispirazione formale (accanto ad un corposo ed armonicamente aggrovigliato accompagnamento del pianoforte) sta nel tema con gli intervalli di settima discendente (come anche in Schumann, gli intervalli di settima discendente sono una meraviglia dell’ispirazione romantica).
Credo che uno degli aspetti tipici dei temi, nelle sonate e negli altri generi utilizzati dai romantici e già utilizzati prima di loro dai classici (in primis le sinfonie) sia l’utilizzo degli intervalli di settima discendente.
Nella connotazione da me inventata in 23), chiamerei i temi che presentano tale intervallo in molti modi che richiamano un aspetto del ricordo, nostalgico eppure ancora vivo (per esempio, del sentimento amoroso perduto, ma non soltanto, forse una sorta di lutto vivo, tanto per darci agli ossimori).
L’altra sonata citata, quella di Franck (di cui esiste un’incisione alquanto passionale anche per flauto e pianoforte con la Argherich e James Galway), è connotabile come segue: il risveglio al mattino di una coppia di amanti, tra tende bianche e cielo terso. La coppia di amanti è rappresentabile come i due strumenti coinvolti nella sonata.
Lo stile languoroso di Franck, solitamente improntato al passato o tutt’al più al presente (come ad esempio nella sinfonia in re minore) pare qui costituire invece un’apertura al futuro.
Per apertura al futuro intendo l’immagine mattutina che ho citato sopra, suscitata dall’incipit della sonata, con il meraviglioso tema del violino.

26) Boulez e il ‘900 sono morti?

Con il suo articolo “Schoenberg è morto!”, il grande Pierre Boulez, scomparso l’altro ieri, accusava il padre della musica contemporanea di non essersi spinto fin dove avrebbe dovuto nella rottura con il vecchio sistema musicale.
In un certo senso lo rimproverava di usare, e non fino in fondo, un linguaggio nuovo con l’unico obiettivo di riproporre in forma mascherata stilemi, temi e contenuti dei classico-romantici.
In una versione estrema, la tesi di Boulez, anzi il motivo del suo rimprovero a Schoenberg era di non essersi liberato della concezione romantica della musica come espressione del sentimento, anziché aderire all’ideale (bouleziano) della musica come ricerca e strumento di conoscenza del nuovo (musica come sperimentazione).
In effetti, si potrebbe anche descrivere l'incipit della musica contemporanea, con l'atonalità e la dodecafonia, come l'invenzione di un codice segreto fatto di suoni che a tutta prima è difficile capire e messo lì a protezione sia del nucleo romantico della musica, sia della più alta espressione della dignità dell'uomo e della sua libertà.
Alla fine di tutta la tonalità, quando il cromatismo divenne ipertrofico ("quando tutto ormai era divenuto insopportabile" per citare l'inizio del racconto di Kafka intitolato "Essere infelici"), quando cioè la melodia si prestò al sentimentalismo prima e poi all'ideologia totalitaria, quello atonale e poi dodecafonico fu un linguaggio che protesse l'uomo, la sua dignità e la sua libertà.
Perciò fu identificato dal regime nazista come linguaggio degenerato, in quanto non si prestava ad essere strumentalizzato dall'ideologia trionfalistica o sentimentalistica (che è lo stesso) di regime.
Ora, il novecento incarnato da Boulez (con il Bartok da lui diretto, per esempio, ma non solo) è il ‘900 delle fabbriche, dell’acciaio, della freddezza post-atomica, della rimozione del romantico come adesione ad uno sperimentalismo estremo, nella convinzione che fosse partito proprio dal romanticismo il germe della guerra.
Vero o possibile? Ed ora, possiamo dire che il ‘900 così inteso (in termini bouleziani, anti-schoenbergiani ed anti-romantici) è morto? E che siamo agli albori di un nuovo romanticismo?

27) La cavatina di Barbarina

Come tutte le cose universali che sono anche molto piccole, la cavatina di Barbarina risponde al concetto di perfezione di Galileo: nel piccolo può esservi perfezione universale assoluta.
Nel piccolo, che tale deve restare: bene Muti, quindi e male tutti coloro che ne dilatano l’andamento a dismisura, facendone una sorta di sbrodolata melodrammatica incongruente rispetto alle dimensioni ed al tipo di brano (ché di cavatina trattasi, non di aria, e di Barbarina, l’umile servetta, non della Regina della notte).

28) La necessità del secondo concerto per pianoforte di Rachmaninov

Eccoci al cuore della produzione di un autore, del pianoforte e della musica romantica. Centrale.
Bellissima l’edizione con Ashkenazy al piano e Previn sul podio (esprime, ed esprime, ed è espressivo, espressivo e per esserlo strascica tutti i suoni, li plasma e li dilata, li dilata).
Connotazione (forse anche in virtù dell’immagine di Quando la moglie è in vacanza): umidità, acqua, vento, mare, porto, città di mare, tempo piovoso, pioggia.
(la connotazione del paragrafo 23 non è però, né una mera traduzione in immagini di impressioni che si hanno all’ascolto della musica, né tanto meno un adattamento musicologico della tecnica freudiana delle libere associazioni).

29) Il probabile motivo dell’insuccesso di pubblico delle sinfonie di Rachmaninoff rispetto ai suoi concerti per pianoforte

Nelle sinfonie Rachmaninoff dà voce alla sua anima più complicata, anziché, come nei concerti, dare espressione ai sentimenti tramite melodie orecchiabili.

30) L’importanza della musica da camera

Si tratta di un genere tanto importante nel Barocco, quanto nel Romanticismo (forse maggiore importanza ha la sinfonia nel periodo classico). E’ alla base della musica strumentale.
Tutta la musica che non si basa su grandi complessi e che si può suonare ed ascoltare in una camera incarna l’ideale della musica intima, in cui le emozioni espresse corrispondono a qualcosa di celato con pudore, in quanto molto importante per il singolo individuo.
In tal senso la musica da camera richiama il nucleo familiare e rappresenta il cuore della cultura e della bellezza.
Dal punto di vista tecnico ed estetico, la sua espressività non si basa sul contrasto tra piano e forte.
Non rappresenta la battaglia tra bene e male di cui alla dialettica hegeliana che pure informa di sé la forma sonata (Carl Dahlhaus, in Analisi musicale e giudizio estetico, Bologna, 1987, p. 17, tit. orig. Analyse und Werturteil, 1970, Mainz, spiega l'origine hegeliana della formalizzazione ottocentesca della forma sonata, ad opera di Adolf Bernhard Marx che era un hegeliano, ma altrove Dahlhaus indica anche, quale ispiratore dello stesso Adolf Bernhard Marx per la categorizzazione della forma sonata, oltre ad Hegel, anche Goethe, per il suo concetto di forma in formazione, riferendosi probabilmente alla Metamorfosi delle piante, ma anche al Faust, cfr., di Carl Dahlhaus, Beethoven e il suo tempo, Torino, EDT, 1990, p. 168, Tit. Orig. Ludwig van Beethoven und Seine Zeit, 1987, Laaber-Verlag, Laaber), ma bensì il dialogo familiare che è proprio dello stile galante maturo.
Tale è la “connotazione” prevalente da dare al genere della musica da camera, nell’accezione della parola “connotazione” ideata e presentata al paragrafo 23 (v. supra).

31) Due parole sulla musica sinfonica di Rachmaninov

Si inscrive nel solco della linea Bruckner, Mahler, Richard Strauss, ma manca una chiara idea del climax.
Né vi è la concezione visionaria di Scriabin.
E’ come un grande organismo cui manca un poco di energia di fondo.
Notevole la negazione della vena melodica che invece l’Autore lascia così libera di esprimersi nei concerti per pianoforte.
Gli è che il sinfonismo di Beethoven ha condizionato psicologicamente tutti gli autori successivi, con la sua perfezione quadrata, portandoli a cimentarsi in modo forzato e inutilmente complicato con il genere sinfonico, anche nel caso di forme apparentemente lontane dalla sinfonia classica, come il poema sinfonico.

32) Il tema del primo movimento del concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninoff e di quello di Ciaikovsky

I temi dei primi movimenti dei due più famosi concerti per pianoforte dei due Autori hanno in comune lo schema ritmico del tema principale e in certo grado anche la radice melodica del tema stesso.
Quello di Ciaikovsky si presenta più luminoso, ma la linea melodica è talmente estesa da divenire parossistica.
Quello di Rachmaninov è più ombroso, ma nel prosieguo la linea melodica diviene sontuosa.
Credo siano – a livello di connotazione poetica – nella stessa regione sentimentale, o comunque in due regioni assai contigue.

33) Bastien und Bastienne di Mozart e l’Eroica di Beethoven

Non so se sia più interessante la teoria della copiatura o quella della coincidenza.
Quella della coincidenza fa pensare ad uno scenario del tipo un’astronave di alieni che atterra nel ‘700 e sparge motivi e melodie fertili che i compositori recepiscono ognuno a suo modo e vi compongono grandi capolavori.
La teoria della copiatura implicherebbe che in un incontro tra Mozart e Beethoven, magari Mozart stesse fischiettando il motivo dell’opera e Beethoven, captatolo, decidesse di farne il motivo del primo movimento della sua terza sinfonia.
Sta di fatto che io che conoscevo ed ho così amato il motivo dell’Eroica, appena ho sentito il motivo dell’ouverture di Bastien und Bastienne sono rimasto senza fiato dallo sgomento e dalla gioia perché credo che, in un modo o nell’altro, sia una splendida coincidenza.

34) Monna Vanna di Rachmaninov

Chiarisco che per connotazioni ai sensi del paragrafo 23), intendo topoi, luoghi della geografia estetica musicale.
A differenza delle nebulose, molto sfumate e a tratti sonnacchiose opere sacre per coro di Rachmaninov, l’incipit di Monna Vanna è fulminante e anche il prosieguo, in una forma di canto che mi ricorda il semi-recitativo declamato.
Qui la connotazione, o il topos, è la brughiera, o meglio: la corsa nella notte in una strada costeggiata dalla brughiera o all’interno della brughiera stessa.
Questo topos fa parte della situazione tipica del romanticismo di allontanamento dalla villa (o dalla città) e dell’addentrarsi progressivo, di sera e di notte, nella natura, nella brughiera o nel bosco: in questo caso nella brughiera (che implica una maggiore apertura e mobilità del cielo sopra di sé, non coperto da fronde, un tono generale più arioso, ma non meno misterioso e oscuro di quello della selva).

35) Il quintetto in sol minore di Mozart

Bisognerebbe lasciare la pagina bianca.
Potrei dire che quell’affaccendarsi e quell’andirivieni non sono che il contenitore esteriore di un contenuto molto più intimo che riguarda il dialogo familiare, analogamente alla sonata per violino e clavicembalo in sol minore di CPE Bach.
La cosa impressionante di questo quintetto (mi riferisco in particolare al primo movimento che, come sempre, mi sembra la “testa” dell’ispirazione) è la sua frenesia inarrestabile e interminabile.
Una sorta di moto perpetuo del sentimento di “cura”, nell'accezione heideggeriana del termine.
La perfezione sta inoltre in tutte le parti della forma sonata: l’esposizione mozzafiato, lo sviluppo e la coda.
Tutto è massimamente concentrato, come un tessuto dalla trama fittissima. Come connotazione, o topos, potrei dire una carrozza in partenza e qualcuno che non sa se partire o non partire.

36) La Argerich nel secondo di Rachmaninov

La luce del sole nei campi dell’andante spianato di Chopin pare brillare di meno, nell’incipit argherichiano di questo concerto.
E’ come se lei in Chopin avesse scoperto una regione nuova, a mio avviso, che non ritrova qui, ragione per la quale qui esercita una “normalità” della perfezione cui non si aggiungono l’ispirazione e l’intenzionalità espressiva colà presenti.
Con ciò naturalmente, non ne è una brutta edizione: ma allora, qui, preferisco Ashkenazy.

37) Porfido

Occorre arrivare alle regioni del porfido, dov’era il pomeriggio (la sera le vetrine). Forse ci arriveremo nel secondo movimento del concerto per flauto e archi in sol maggiore di Giovanni Battista Pergolesi.

38) Il canone estetico della dolcezza

Vivaldi, come Bach, Mozart e pochi altri, incarna tale ideale estetico, che nella sua declinazione tecnico-pratica implica – tra l’altro – il fatto di non utilizzare lo strumento espressivo e retorico-stilistico del contrasto tra il piano e il forte (pur con alcune illustri eccezioni come Le quattro stagioni).
Ciò corrisponde a quell’ideale contemplativo, a-dialettico (cui Glenn Gould dedicò numerose riflessioni, nonché le sue preferenze estetiche) che è tipico del Barocco, ma non solo e che non sostiene, a differenza di Beethoven e del beethovenismo, l’immagine dell’arte (e dell’arte in quanto rappresentante della storia umana) quale conflitto tra opposti, come problema fondamentale da risolvere.

39) Estetica regionale

Se l’estetica regionale ha un senso, allora le immagini, le sensazioni, i vissuti che accompagnano la musica non sono mere e soggettive fantasie, o processi psicologici privati che si instaurano a posteriori nel singolo soggetto all’ascolto, ma sono altrettante regioni di un mondo parallelo disvelato dai frammenti (i vari brani) di quell’unico brano musicale costituito da tutta la musica composta in tutti i tempi.
Pertanto, all’ascolto di ogni brano, viene svelata una regione, fino a che, ascoltata tutta la musica esistente, sarà possibile mappare l’intero mondo parallelo, istituendo collegamenti fra tutte le regioni estetiche toccate.
Ogni brano è una porta di accesso a una regione estetica, o meglio ne è un rappresentante.

40) L’inizio della Patetica

Qui è lo stagno.
Una regione remota della natura, dove è andato a nascondersi chi, quasi morto, ha attraversato il momento peggiore della disperazione.
Anche se non può dirsi un risveglio, ma casomai il sogno di un risveglio (simmetricamente all’incipt della Fantastique, vi è certamente un presagio dell’incredibile primo tema (il risveglio reale, bianco tanto quanto questo inizio invece è scuro).

41) Bruckner

La connotazione (o rappresentanza regionale) è qui la natura.
A differenza che nella musica di Mahler, in cui essa fa da contraltare ad una condizione umana disperata, la natura in Bruckner campeggia solitaria e ciò che vi viene espresso è la vita stessa della natura al suo interno.
Un bosco popolato casomai da animali e forze magiche e misteriose, ma in cui l’uomo non ha ancora messo piede.
Essa rappresenta il fascino e il mistero della natura profonda e segreta, incontaminata.
E tranquilla.

42) L’adagio della seconda di Schumann

Qui si rivela la natura profonda del romanticismo schumanniano, siamo in un cortile con ghiaietta bianca fuori dalla villa, in un pomeriggio nebbioso.
L’intera produzione sinfonica schumanniana può dirsi un incessante avvicendarsi dentro e fuori dalla villa, di giorno e di notte.
L’uomo sente il richiamo della natura, potente, ma è incatenato alla civiltà che pure ama.
In particolare questo adagio, con i suoi intervalli di settima discendente, è un'apoteosi nostalgica dell’espressione amorosa.
La rappresentanza regionale è la ghiaia fuori dalla villa.

43) Schumann

In Schumann vi sono vie argentee costellate di vetrine di negozi illuminati.
Si badi che questa rappresentanza regionale non è un anacronismo.
Noi attraverso la rappresentanza regionale non scopriamo luoghi fisici che furono allora, ma luoghi estetici che sono.
Ciò significa che io non devo ritradurre le immagini delle rappresentanze regionali: esse sono.
E questa non è neanche metafisica (né ipostatizzazione) dell’estetica: è la risonanza del mondo parallelo.

44) L’importanza della coda

Come un cambio di scena improvviso o un attore che irrompe improvvisamente sulla scena alla fine d un atto, la coda riveste un’importanza fondamentale in ogni brano.
Essa non solo ricapitola e conclude la vicenda, ma ne dà un significato a posteriori, diverso da quello presunto e ne determina il significato profondo, per quanto inaspettato.
La rilevanza filosofica della coda sta nel fatto che il significato è diverso dalle apparenze.
Vi sono migliaia di esempi: su tutti, a me piace ricordare la coda del primo movimento del concerto per piano di Schumann, che ci parla di chi vive su di un’impalcatura piena di luce (e non sto pensando al finale di Amerika di Franz Kafka).

45) La coda stretta

Nell’irruzione sulla scena finale della coda, spesso grande ruolo gioca il cambio di ritmo, nuovo e diverso.
Nel caso in cui questo si accompagni ad un andamento più veloce si ha la cosiddetta stretta, che secondo me è la coda par excellence.
Ne è un esempio famoso il finale del primo movimento della Quarta di Ciaikovsky, forse una delle più belle code mai scritte, che riassume il senso del destino imminente che grava su tutto il brano e che trova il suo compimento in questo finale, così inaspettato eppure così atteso.
Qui la tragicità chiude ogni prospettiva proprio quando si sperava di avercela fatta, con una melodia, quella della coda appunto, che si presenta prima come nuova e dolce, poi invece si rovescia nella sua versione accelerata e improvvisa, con la memorabile chiusa della nota finale che si abbatte addosso all’ascoltatore.

46) La sonata per violino n. 1 di Schumann

Come per la sonata per viola di Brahms, qui siamo all’apoteosi del mitico.
Il mitico si esprime nel romanticismo e nella musica da camera e stiamo attraversando quel filone.
Non esistono modi migliori o mezze misure: siamo alla radice dell’espressione del sentimento.

47) Ispirazione

Come la trasmissione di un contagio, l’ispirazione tocca vari capi i quali traducono in musica una medesima regione estetica.
Ciò si vede molto bene nel “passaggio di mano” della medesima ispirazione romantico cameristica nelle sonate per viola di Brahms e per violino in la minore di Schumann (solo per fare un esempio).
Un episodio di Star Trek serie classica ipotizza che un alieno immortale abbia lungo la sua vita millenaria incarnato vari geni dell’arte e della musica: ritengo l’ipotesi, in un certo senso, plausibile sulla base dell’evidenza fenomenologica della trasversalità interpersonale dell’”entità-ispirazione”.

48) Epopea fragile

La fragile epopea schumanniana, come anche nella prima sonata per pianoforte, è quella di chi tenta di risollevarsi e viene rovesciato dal destino.
Anche nella Kreisleriana notiamo degli aneliti incompiuti.
Il brulichio vitale però non s’interrompe ed il fanciullo porta a termine una grande impresa: è il romanticismo statu nascenti.

49) Humoresque

Qui, come in Kreisleriana, Schumann giunge all’apice, al cuore della sua musica.
Ashkenazy suona questi brani (in ispecie, ma non solo, il brano con l’indicazione “Semplice e delicata”) con una semplicità dolente e diretta.
E’ una coincidenza: trovarsi sulla porta di accesso alla regione estetica e potervi entrare direttamente.
Non si ripete la magia con altri esecutori.

50) Franck

Non mi curo delle alterne fortune della Sinfonia in re minore.
Essa è meravigliosamente composta in forma ciclica, il che è un tratto comune al Mahler sinfonista e al Wagner autore di melodrammi (i famosi leitmotiv).
I temi di Franck però non nascono, vivono, godono, soffrono, invecchiano e muoiono come i temi mahleriani e non hanno quella accentuata (e per certi versi eccessiva) valenza simbolica che hanno invece i temi wagneriani.
La regione estetica della sinfonia è – direi – gli anelli di Saturno.
E’ una musica che sorge da uno scrigno antico, ma che – a differenza della sua sonata per violino – guarda più al passato che al futuro ed ha un colore che invece che sul bianco, come la sonata per violino, dà sul giallo intenso.

51) Scene infantili e Album per la gioventù

E’ pur sempre urbano (attinente alla villa, intesa come rappresentanza estetico-regionale) l’anelito alla purezza e semplicità delle Scene infantili, come anche dell’Album per la gioventù.
Il nucleo dolente è invece in Humoresque e, in parte, in Kreisleriana, ed attiene all’allontanamento dalla città, verso il mistero della campagna di notte.
Se è vera la tesi, non stupisce il fatto che – come scrive Rattalino – Horowitz eccella nelle Scene infantili (tipicamente: Traumerei), in quanto virtuoso ed esponente di un nucleo estetico-regionale urbano (inerente alla città, o alla villa, altri direbbero “al salotto”), mentre Ashkenazy eccelle in Kreisleriana e Humoresque, in quanto virtuoso dalla dolente anima russa che anela alla natura della campagna di notte e al bosco.

52) Poetiche

Potremmo affermare che la poetica di Schumann è l’espressione della filosofia di Schelling sul contrasto/connubio (allontanamento e riunificazione) tra uomo e natura (villa e bosco, città e campagna, fuga dalla villa – pur tanto amata – verso la campagna, di sera e verso il bosco di notte), così come la poetica di Beethoven è l’espressione della filosofia di Schiller delle anime belle (coincidenza di passione e virtù, tale per cui le anime belle – appunto – agiscono virtuosamente per istinto).

53) Schumann e Chopin

Nella loro musica per piano, in ispecie quella solistica, vi è la dimensione – per entrambi – della villa, oltre a quella della campagna di sera e del bosco di notte.
Tale dimensione può essere detta “cameristica” senz’altro, quindi domestica.
A differenza però degli autori precedenti, dell’Empfindsamer Stil (stile galante maturo, pre-romanticismo, quindi Quantz, CPE Bach, Telemann e altri), per i quali il dialogo familiare era nell’androne di casa, o comunque affacciati sulla strada (dimensione familiare intima e sociale insieme, come quando a fine giornata si riepilogano con i propri cari le situazioni che sono fuori di casa), in Schumann e Chopin (nelle opere per piano solo), s’intravvede a volte il salotto.
La dimensione salottiera è quella di un isolamento casalingo che rischia a volte di sfociare nel dialogo compiaciuto con sé stessi, a volte più leggero e superficiale rispetto a quell’altro dialogo di cui sopra.

54) L’antidoto (e gli antipodi) di Schumann

Qual è l’opposto (in termini di rappresentanza estetico-regionale) della musica di Schumann?
L’espressione romantica del sentimento, in forma intimistica, diretta, semplice e interiore, trova il suo opposto in una musica che è sì romantica, ma in senso esteriore, esibito e non intimo, non semplice, ma perverso, non diretta, ma mediata da una recita di “burattini sanguinari” (parole del suo autore), non strumentale, ma vocale, non tedesca, ma italiana: la musica di Giacomo Puccini.
Diciamo pure, quella della sua opera più drammatica e intensamente melodica: Tosca. Gli antipodi di Schumann.

55) Il tocco di Pollini

Non c’è che dire: Pollini negli Etudes di Chopin raggiunge quell’apice dell’umanesimo segnalato dal grande Piero Rattalino.
E’ interessante notare che lo fa attraverso il tocco.
L’intimità, l’interiorità (non la remissività in termini esteriori) del suo tocco, gli fanno attraversare la porta (attraverso il brano stesso) e giungere dentro la regione estetica chopiniana.
Molto importante la coincidenza di brano e interprete per varcare la porta ed entrare nella regione estetica.
Per questo aveva torto Benedetto Croce a ritenere ininfluente il ruolo dell’interprete.
Come indicato molto bene anche, tra gli altri, da Michelangelo Zurletti, senza interprete la musica non esiste e la poetica di un brano si disvela attraverso l’interprete.

56) Intimismo organistico

Anche nella musica sacra per organo, Schumann segue la via intimistica.
Anziché esaltare la magnificenza dello strumento (o la lode ai cieli attraverso di esso), ne fa il rappresentante di un messaggio pastorale umile e schivo, in ciò in linea con la sua migliore produzione pianistica.
La melodia è una presenza in bassorilievo che rende molto particolare e gradevole un genere di musica per solito così austero.

57) Lieder

Con i lieder di Schumann siamo proprio entrati nella campagna (v. dualismo “villa illuminata-campagna di notte”) e sentiamo la voce del romanticismo originario.
La voce è quella del popolo, un popolo a sua volta originario, ancestrale.
Qui, come nei lieder di Schubert, siamo nel cuore del romanticismo musicale, direi non solo del romanticismo intimistico, ma (proprio in quanto intimistico) di quello universale, intendendo con ciò un’essenza archetipica e astorica.
Nella campagna abita il contadino nel quale si è trasformato l’uomo fuggito dalla villa illuminata di sera. O meglio: ha sempre abitato lì.

58) Boscaiolo

La rappresentanza dell’essenza romantica dell’eroe contadino boscaiolo in cui la musica di Schumann consiste è disvelata attraverso il sentire fenomenologico.
(Come la dodecafonia di Schoenberg, come il complicato linguaggio di Heidegger, anche noi creiamo un linguaggio sistematico per proteggere un cuore fragile).
La poetica schumanniana rivelata nei lieder ha anche una sua traduzione filosofica nel binomio uomo-natura di Schelling, cui siamo giunti anche noi col nostro pensare sentito, attraverso la citazione della rappresentanza villa-illuminata (città, androne, camera da letto, salotto) e fuga di sera lungo il ciglio della strada che costeggia la campagna, di poi nella campagna, di poi nel bosco di notte, fino a trovarvi dimora, anzi scoprendo che si era già stati (da sempre) contadino e boscaiolo abitanti nel bosco.

59) Altri personaggi

Possiamo immaginare che nello stesso bosco del contadino di Schumann, poco distante, abiti quello di Schubert.
Anche quello del Das Lied Von der Erde di Gustav Mahler (e dei lieder Eines Farenden Gesellen), con la differenza che quello di Mahler è un contadino più disperato.
In Das Klagende Lied, lied giovanile mahleriano, si ha invece una veduta aerea del castello, si è ancora in una dimensione mitica, epica, eroica e come tale più gotica che romantica.

60) Tende

La musica corale di Schumann ha come rappresentanza estetica fasci di luce paralleli tra loro e perpendicolari al terreno, o altrimenti tende bianche.
Può essere anche luce che passa (proviene), unita e non franta, da un rosone o da un abbaino posto in alto.
Per tale motivo è una rappresentanza acquosa e mattutina.

61) Ouverture di Genoveva

Uno splendido inizio che richiama la Fantastique di Berlioz.
Non è possibile condensare qui né i richiami (molteplici), né tanto meno una disamina della Fantastique stessa (che verrà affrontata a parte, più oltre).
Basti ricordare qui la croce e delizia in generale delle ouvertures: spesso sono il miglior brano dell’opera lirica di cui fanno parte, ma scorporate dall’opera stessa non sembrano altrettanto significative, forse proprio perché la loro forza sta nella valenza allusiva di una vicenda, nel prefigurarne premesse, personaggi, sviluppo e finale.

62) Filosofia Fantastica

La Fantastique rappresenta un unicum filosofico nella storia della musica.
Le melodie romantiche sono in realtà una parodia grottesca e deformante della melodia amorosa.
Non un espressionismo ante litteram, ma pur sempre un romanticismo allucinato.
E’ l’allucinosi data dal sonnifero a determinare un sonno ipnotico, tale per cui il romanticismo – rappresentato dalle melodie - ne risulta deformato.

63) Mahler e Proust

Come in Proust, la musica di Mahler porta alla ribalta un io passato, incompatibile con l’io presente e quindi determinante un salto di coscienza, a differenza che nella memoria involontaria di Bergson, in cui la durata reale – il flusso di coscienza di James – non viene interrotta dal sopraggiungere del ricordo, pur pervasivo e involontario.
In Mahler si ha una discontinuità di stati dell’io, in quanto gli stessi temi (parenti dei leitmotiv wagneriani), quando si ripresentano, risultano inaspettatamente modificati.
Come se non fossero più loro: una persona dallo stesso aspetto e dalla personalità completamente diversa.

64) Debussy e la musica del presente

Nella regione più lontana da Beethoven (Jankelevitch dirà: “musica per avvocati”, ossia coloro che quando parlano lo fanno per dimostrare qualcosa), vi è la musica di Debussy, incentrata sul presente.
I suoni nascono e muoiono come le onde del mare o gli zampilli di una fontana colorata.
Il colore infatti vi è parte integrante e forse, come sosteneva Boulez, si tratta di un fertile contraltare alla forma sonata.

65) Le sonate per violino di CPE Bach

Sorpresa e divertimento nella forma, cui si aggiungono gli affetti nel dialogo.
Come si disse: dialogo familiare, con cambiamenti di tono (modulazioni) dovuti non al capriccio, ma al fatto che nella più accesa discussione compare all’improvviso il tono affettivo, come un sostrato sostanziale che emerge a dispetto della dialettica del momento.
Dialogo familiare che non manca mai di stupire, dunque, per la sua affettività.

66) Vincenti e perdenti

Gustav Mahler rappresenta i travolti dal corso del mondo.
Usando lo stesso linguaggio, il suo contemporaneo Richard Strauss esalta la vitalità del mondo.
Il linguaggio comune è quello dell’ipercromatismo wagneriano, dell’allontanamento estremo dal centro tonale.
Gli esiti sono per molti versi contrapposti: la vincente volontà di potenza nietzschiana da un lato, il dolente abbraccio ai dimenticati dal mondo dall’altro (Quirino Principe docet).

67) Nietzsche

Quando si parla d Nietzsche per Richard Strauss, ci si riferisce al suo Così parlò Zarathustra, e ben a ragione.
Non bisogna però dimenticare l’Alexander Scrjabin del Poeme de l’extase.
Il finale (del primo brano, nel primo caso e dell’intero brano, nel secondo caso) esprime una nietzschiana volontà di potenza.
Occorre precisare che la volontà di potenza in musica è un sentirsi bene ed esprimere appieno la propria vitalità e uno spirito d’avventura proprio degli esploratori e non dei conquistatori: aldilà di qualsiasi strumentalizzazione politica (nel senso della prevaricazione nazista) del pensiero filosofico di Friedrich Nietzsche.

68) Né sublimazione, né sovrastruttura

E’ quanto ho sempre sostenuto ed affermo con forza per l’arte in generale e in particolare per la musica.
Sebbene Freud e Marx abbiano inteso in tal senso l’arte, io ritengo che essa costituisca una sfera autonoma, sia rispetto alle istanze pulsionali e alle dinamiche intrapsichiche e interpersonali, sia rispetto ad una visione del mondo che mette al centro l’aspetto economico e produttivo quali motori (struttura) della società, della storia e della politica.
E’ invece un mondo a sé, né subordinato, né superiore (come nella metafisica), ma direi invece parallelo, nel senso che tutti i brani di tutte le musiche del mondo costituiscono le rappresentanze regionali di un universo estetico parallelo al nostro, analogo al nostro ed infinitamente sublime.

69) Notte di Natale

Vi sono varie rappresentanze estetiche regionali della notte di Natale.
Una delle più significative mi sembra il movimento in 5/4 della Patetica di Tchaikovsky.
Credo che si tratti di una bicicletta che scende da un pendio innevato verso il paese illuminato di sera.
Ovviamente questo fa il pari con l’incipit della Sinfonia, che è situato in uno stagno dimenticato (cupo risveglio dopo un incidente quasi mortale).

70) Una frase, una storia

Il terzo movimento del secondo concerto per pianoforte di Brahms non si apre con una frase del violoncello: è quella frase.
Quella frase è una storia di senso compiuto.
La sezione centrale dell’A-B-A serve solo a preparare il ritorno della frase in funzione di ricordo della storia.

71) Beethoven e il classico ideologico

In Beethoven non c’è solo l’amore per l’equilibrio formale e la naturalezza della simmetria: vi è anche l’intenzione (nel senso di “intenzionalità” di Franz Brentano) di tali elementi.
La simmetria, prima sparsa (esposizione) e poi riagguantata con forza (sviluppo e ripresa) assumono in Beethoven la valenza di architrave ideologica della perfezione quadrata come espressione della moralità e bellezza insieme, secondo un ideale schilleriano (le anime belle, virtuose per istinto).
Ciò è evidente nelle Sinfonie, ma anche nei quartetti e in Fidelio (nella trama, specificamente, e nelle ouvertures), mentre nelle sonate prevale un approccio di esplorazione affettiva, maggiormente orientato alla fantasia e svincolato dalla regola.

72) Rameau

Rameau costituisce una regione estetica tra le più pure e inesplorate che esistano.
Sono banchi di nebbia su promontori isolati ad elevate altitudini.
E’ tra le più gradevoli (rimando qui alla distinzione kantiana tra bello e piacevole senza che però una dimensione escluda l’altra, come in Kant, ma bensì concependole come variabili indipendenti, per cui la musica di Rameau è anche bella, oltreché gradevole).

73) Attitudine purificatrice

La musica strumentale possiede un'attitudine purificatrice.
Ciò non implica affatto che quella vocale non la possieda, ma che gli elementi (variabili) dominabili nella musica strumentale sono inferiori a quella vocale (meno inflessioni espressive) e pertanto risultano minori anche le combinazioni in grado di adulterare l’intenzionalità del compositore.
Sul perché ritengo quest’ultima coincidente con il fulcro della bellezza dell’opera (in contrasto con la concezione di “opera aperta” di Eco) dirò più oltre.

74) Paradosso

Quanto sopra può sembrare un paradosso, magari sinistramente ascetico, che cioè quanto più vi è potenza di mezzi espressivi, tanto più vi sarebbe il rischio di un inquinamento della purezza dell’idea, quasi che il fattore umano, anziché cuore dell’espressività, fornisse un ostacolo alla stessa.
Ma paradosso non v’è, in quanto si tratta di rischi reali dovuti alla oggettiva rarità del grande interprete.
Si pensi già solo al vibrato: quello a pecorella è tristemente frequente nei cantanti, mentre è impossibile anche per il peggiore dei pianisti.

75) La furtiva lagrima

Ho sempre la tentazione di cantarla (o suonarla nella mia testa) scandendo tranquillamente e nettamente il ritmo (alla maniera di Glenn Gould che odiava il rubato).
Poi mi rendo conto che grandi interpreti (soprattutto nel canto, su tutti Carreras) utilizzano una sorta di rubato a prescindere, perché dall’agogica e dal ritmo trasferiscono l’attenzione alla voce (voce – per loro, idealmente – senza tempo).
Io credo si possa rivelare l’anima più nobile di questo brano (ma di tutta la musica vocale, potenzialmente) rispettando i solchi ritmici e non impedendo, in quei confini, alla voce di espandersi.
Per me però, in buona sostanza, non dovrebbe darsi, idealmente, alcuno scarto stilistico ed esecutivo tra la voce del fagotto che intona per primo la melodia e quella del tenore che la richiama.
Sì, in fondo vorrei un canto interiore e muto. No, non credo piacerebbe ai cantanti.

76) I quartetti dello Sturm und drang di Haydn

Possiamo definire l’Op. 9, 17 e 20 come l’apoteosi dell’Empfindsamer Still e soprattutto dello Sturm und drang in musica.
Il ritmo incalzante e il brano di un’espressività tesa e drammatica ne caratterizzano lo stile (altrove Haydn sarà – pur sempre nei quartetti – apollineo).
La rappresentanza regionale è un viale alberato (lastricato di foglie, d’autunno). A sua volta tale rappresentanza costituisce una porta ulteriore, che immette nella giovinezza.

77) Rameau e l’armonia

Autore di musica aulica, raffinata e celestiale, Rameau considerava l’armonia il fulcro del comporre, e la melodia secondaria a questa.
Ciò a conferma del fatto che ciascun compositore ha bisogno di trovare un suo diktat interiore, o codice di ispirazione, per comporre capolavori (cioè un proprio stile e una motivazione alla ricerca stilistica): tale fu il caso – per esempio – di Beethoven con la forma sonata e di Schoenberg (e più ancora di lui, il suo allievo Webern) con la dodecafonia.
Si ha bisogno di teorie che ci sostengano nel nostro operato, anche se le sappiamo non vere fino in fondo, come affermava il grande Glenn Gould.

78) Fenomenologia

Gli studi fenomenologici sulla musica rischiano di rischiarare solo il dato fenomenico.
Se si parla di suono, (come giunge il suono, la corposità del suono, ecc..), si sta trattando di dati fenomenici.
Non certo perché – secondo la prospettiva fenomenologica – si dovrebbe mettere in luce solo l’aspetto (pur certamente presente) immateriale, metafisico della musica, ma perché tutti i dati inerenti al suono nella sua corposità, distanza, colore e financo forma – con i conseguenti ragionamenti che si possono fare e vanno fatti – assumono una valenza meramente fenomenica, anziché fenomenologica, se non vengono agganciati ad una prospettiva estetologica.
E quest’ultima riguarda sempre l’autore e gli interpreti, in una doppia prospettiva per la quale i secondi restituiscono sempre una versione del primo, che da solo non si dà (l’interprete restituisce una versione di un originale che non esiste, senza l’interprete stesso).
Tutto ciò non implica peraltro l’accettazione della concezione di opera d’arte aperta di Umberto Eco (con l’interprete che co-costruirebbe o creerebbe ex novo l’opera), in quanto l’interpretazione è sempre l’atto del mettersi in relazione con una versione ideale in cui intenzione dell’opera e intenzione dell’interprete coincidono (giacché è l’intenzione dell’opera che l’interprete cerca di ricreare dandone una sua versione, non già direttamente l’intenzione dell’autore la quale invece svanisce nel momento in cui, da una vaga ispirazione, egli passa alla composizione di quella musica che l’interprete andrà a interpretare).
E qui vengo al segno sulla carta che identifica quella musica.
La musica non sta nella tradizione orale (non scritta) e non perché il segno scritto (che è senz’altro significante) debba prevalere sul significato (né tanto meno costituisca significato esso stesso), ma perché quella musica sta in una regione estetica ben precisa, di cui il segno sulla carta è la porta di accesso, e ad altro segno corrisponde una porta di accesso ad un’altra regione, che potrà essere limitrofa, ma è differente dalla prima.
Senza segno, non si dà accesso ad alcuna regione estetica (ed è ciò che accade precisamente nell’improvvisazione).

79) Mendelssohn

Il primo movimento della prima sinfonia, nell’interpretazione di Abbado e della London Symphony degli anni ’80 del XX secolo è un caso esemplare di ingresso nella porta.
Quando si verifica il passaggio attraverso la porta, risulta impossibile distinguere – dell’interpretazione - i punti di forza (se la scansione del ritmo, o il fraseggio o l’andamento) da quelli di debolezza (che non appaiono), (né l'esecutore dall'autore come amava ricordare Bernstein delle proprie migliori esecuzioni).
La rappresentanza regionale qui è la spuma, le onde del mare che s’infrangono sugli scogli.

80) Il criterio dell’aderenza

Ho fatto cenno più volte all’interprete che riesce a oltrepassare la porta, entra nel mondo parallelo e coglie perfettamente la rappresentanza estetica di quel mondo parallelo, indicata dal compositore con la sua opera.
Come può fare ciò? Lo può fare grazie al criterio dell’aderenza.
Presupposto di tale criterio è l’asserzione che ogni interprete è portatore di un suo mondo parallelo, una sua poetica, un suo mondo interiore che costituisce la propria chiave di accesso privilegiata a una o più porzioni del mondo estetico parallelo (Bernstein: passione; Gould: ascetismo; Abbado, come suggerisce Zurletti: poetica e retorica mediata dall'approccio culturale; Celibidache: tagliente senso del minaccioso e del grottesco; Pollini, come afferma Rattalino: umanesimo, Michelangeli: sfumature minerali del suono; Mehta: ritmo selvaggio (pesante e ben scandito) e senso lirico leggerissimo,  ecc…).
Quando tale  mondo poetico parallelo, tale poetica, tale mondo interiore  dell’interprete, e pertanto la sua “chiave” interpretativa, coincide con il mondo poetico parallelo dell’opera, del brano, del tale passo (non già direttamente del compositore, ma di quella porzione di mondo parallelo espresso dal compositore in ogni dato passo di ogni sua composizione), l'interprete entra nella porta e accede al mondo parallelo (dà luogo cioè all'interpretazione “giusta”, che può durare anche solo una battuta, o – nei casi più fortunati - “centrare” l'intero brano).
Si verifica in tal modo anche la coincidenza – per quel brano, in quel momento – tra volontà del compositore e volontà dell'interprete, come suggeriva Bernstein.
In tal caso, interviene anche il fattore temporale estrinseco (quello del presente in cui sono immersi gli spettatori-ascoltatori), oltre a quello del brano, del mondo parallelo che viene “eseguito” nell'esecuzione-interpretazione.
In altre parole, tale coincidenza significa che in quel preciso momento si è entrati tutti nella porta (noi ascoltatori del presente e l'interprete insieme), quindi quel preciso momento (di quel concerto che stiamo ascoltando o cui stiamo assistendo) assume valenza mitica ed estetica esso stesso.
Si verifica cioè anche un incrocio e una coincidenza temporale tra l'estetica del brano e l'estetica del momento in cui il brano viene eseguito.
Ciò altro non è che il nunc stans di schopenaueriana memoria: l'istante diventa mitico e si dilata all'infinito, diventa eterno come nell'aspirazione faustiana (“fermati attimo, sei bello!”).

81) Il canto interiore

Geniale interprete del canto interiore – senza un’eccessiva differenza in termini di dinamica (volume del suono) della voce rispetto all’orchestra – è stato Dietrich Fischer-Dieskau.
Il cantante non deve prevalere in maniera fastidiosa sulla sonorità orchestrale, deve invece amalgamarvisi e dev’essere la sua voce ad adattarsi alla voce degli strumenti, invece del contrario, come fanno molti cantanti.
Dietrich Fischer-Dieskau lo sapeva e lo faceva naturalmente, come dimostrano le sue incisioni di pregio, basti citare Das Lied von der Erde di Mahler.

82) Ouvertures

E’ un fatto, da me già segnalato, che le ouvertures, prese a sé, poco hanno da dire, rispetto alla loro luminosità quando sono incastonate in capo all’opera di cui fanno parte.
E’ il caso, per esempio, del Flauto magico e del Don Giovanni.
Non mi pare si possa dire altrettanto del Matrimonio segreto che, caso alquanto isolato tra le ouvertures di Cimarosa, sembra avere valore a sé anche indipendentemente dalla bellissima opera che lo accompagna.
Né mi pare possa definirsi – quello di Cimarosa – uno stile di estrazione marcatamente mozartiana. Vi è in più, rispetto al salisburghese, un gusto del ritmo che non è così lontano dall’universo poetico di Beethoven.

83) Sonate per tastiera di Cimarosa

Il ritmo, come dicevo sopra, ma anche le continue modulazioni rendono affascinanti questi brani di Cimarosa. In questo è molto vicino allo stile galante maturo dei suoi contemporanei tedeschi e si può dire che sia un rappresentante dell’Empfindsamer Stil italiano. Peccato che spesso i clavicembalisti e i fortepianisti facciano assurgere il rubato a teorema, nel più assoluto spregio della regolarità della scansione ritmica e della metrica.

84) Ancora sulle sonate di Cimarosa

Specialmente nei movimenti lenti delle ultime sonate per tastiera, la rappresentanza regionale è una porta finestra luminosa.
Dà su una strada assolata e affollata.
Dentro, la stanza è confortevole e tranquilla.
E’ da verificare se le rappresentanze regionali estetiche esperite a un’osservazione (e ad un ascolto) di tipo fenomenologico, possano coincidere in tutto o in parte con alcune condizioni fenomeniche in cui si trovava l’autore al momento della composizione.

85) Rameau Vs. Cimarosa

Rameau è statico, ieratico, solenne.
Cimarosa è dinamico, ritmico, brillante.
L’uno stupisce con la sua semplicità e solennità ricca di contenuti, l’altro con la sua verve, il suo umorismo e la sua irrefrenabile energia e fantasia (molte modulazioni, Empfindsamer Stil, ecc…).

86) Autunno

Tra le rappresentanze regionali dell’autunno si possono annoverare: i quartetti Op. 9 e 20 di Haydn, il Quintetto in sol minore di Mozart e, poco distante, il Presto in Do minore per piano solo di Beethoven.
Ciò significa che questi (e altri brani consimili) si trovano geograficamente vicini nella rappresentanza del mondo parallelo, nel senso che descrivono (esprimono) la stessa regione di quel mondo.
Si differenziano perché, ad esempio, di uno stesso viale alberato cosparso di foglie, un brano riprende uno scorcio, un altro brano ne riprende un altro (per esempio dal lato opposto), un altro brano ancora ne riprende un altro (per esempio verso il fondo del viale). Ma la persona che gira in quel viale è la medesima (vita nell’ambito regionale estetico).

87) Le sonate per flauto di Leclair

Memori della danza, ma brani svincolati dalla coreografia pura, non immemori del ritmo.
La loro rappresentanza è in un mattino dalla luce bianca (diverso però dall’incipit della sonata per violino di Franck, in quanto queste sono sul “già era”, mentre quella è sul “sarà”).
Radioso esempio di Barocco francese.

88) La musica strumentale barocca

La musica strumentale barocca, poiché non si basa sul contrasto tra piano e forte, è sicuramente sublime.
Per sublime s’intende una veduta dall’alto delle passioni umane, un sentimento d’elevatezza nella quotidianità.
E’ meglio quella strumentale di quella vocale perché maggiormente indefinita (e quindi – romanticamente parlando – infinita) e perché troppo spesso i cantanti esagerano l’escursione dinamica, seguendo per tutti i brani (ivi compresi quelli barocchi) un’impronta interpretativa di un romanticismo esteriore, anziché interiore (e che quindi è deteriore: è l’aspetto volgare del romanticismo interpretativo).

89) Hamburger Sonate di CPE Bach per flauto e clavicembalo

La rappresentanza regionale sono le cappelle di chiese e i tetti di case e monumenti storici, in un giorno assolato.
Tenerezza e malinconia, ma anche libertà ed aria aperta.
Uno dei capolavori della letteratura flautistica.

90) Barocco

Nel Barocco le passioni umane sono viste e descritte dall’alto.
Tale bidimensionalità costituisce il presupposto della passione contenuta in confini geometricamente definiti e – a livello tecnico-stilistico – giustifica l’assenza dell’eccesso di escursione dinamica quale strumento espressivo, come invece sarà nel Romanticismo musicale.
E’ per tali motivi (la visione dall’alto) che ho parlato di sublime riferendomi al Barocco, con ciò intendendo la contemplazione della natura nella sua immane grandezza da una certa distanza, giusta la definizione di Kant.

91) Serenità

Rispetto agli autori che preferisco (quelli di musica barocca e dello stile galante strumentali), che compongono con una gran varietà di modulazioni richiamanti gli affetti e che non disdegnano, anzi utilizzano a piene mani il modo minore, W.A. Mozart rappresenta piuttosto la regione estetica della serenità.
Da qui un uso molto moderato del modo minore (che però – quando utilizzato – gli fa dare alla luce capolavori assoluti come la sinfonia 40 o il quintetto in sol minore).
Il maggior rappresentante di tale regione estetica (della serenità) è il concerto per clarinetto e orchestra (buon fratello minore il quintetto con clarinetto).

92) Volgarità in musica

Sia Karajan, sia Muti, per esempio, ritengono che non esistano musiche volgari, ma solo modi volgari di eseguirle.
La quaestio rimane aperta.
Sarei propenso a dar loro ragione per i motivi che ho già esposto altrove e cioè che in musica chi ama ha sempre ragione, perché il fatto che si ama una musica significa che si è individuata la sua corretta regione estetica, pertanto chi non ama quella musica tende a suonarla in modo volgare perché non la capisce.
Ma rimango dubbioso sul punto.

93) Il mattino di Grieg

Siamo nella regione delle grandi, sinuose, dolci, ombrose, calde e accoglienti forme orchestrali.
La rappresentanza regionale è senz'altro la foresta.
E' però una foresta diversa da quella del Klagende Lied di Mahler (umana fuga dolorosa attraverso i castelli medioevali), da quella delle sinfonie di Bruckner (foresta animale, non umana, aspra e naif), da quella delle sinfonie di Mahler (foresta umana, dolorosa che tenta di rifugiarsi nella fiaba animale), da quella dei lieder di Schumann e Schubert (foresta umana, stanziale, legata alla terra e tendenzialmente dolorosa in quanto nostalgica sia ab origine, sia, retrospettivamente, dell'origine).

94) Onde sempre più alte

La musica per piano solo di Rachmaninoff (p. es. i preludi) rimanda a questa regione.
Onde sempre più alte, una mareggiata sempre più imponente.
Vi è anche – se mai una spiaggia – una spiaggia d’inverno, con passeggiate alquanto solitarie (ritorna l’orizzontalità già citata a proposito delle cantate barocche per voce sola ed archi).

95) Rachmaninoff estatico

Come nel Liszt del Sogno d’amore, il Rachmaninoff dei Moments musicaux inclina all’estasi.
E’ questo il Rachmaninoff che preferisco.
Ma rispetto ad altri – quasi sempre – anche nel singolo brano estatico, Rachmaninoff “piazza” qualche crescendo vorticoso, come se non si potesse stare mai troppo in pace e ciò lo rende, scilicet, un minore rispetto ai grandi.

96) Melodia

Muti ricorda che la nostra tradizione musicale invita alla melodia, accennando al contraltare della complessità sinfonica.
La melodia di tradizione italiana assume un valore pregnante nella fruizione dell'opera.
Vi è disvelato un animus, secondo l'etimo latino, in autonomia rispetto alla complessità della struttura sinfonica. Là vi è la verità diacronica (bitematica tripartita, hegelianamente: tesi-antitesi-sintesi); qui vi è la verità sincronica che si disvela nell'istante, ma mentre l'istante di Debussy è un hic et nunc, quello dei grandi melodisti italiani è un nunc stans: un istante dilatato all'infinito.

97) Italia e mondo

Riprendendo il discorso di Muti di cui sopra (che è senz'altro una vexata quaestio), si potrebbe delineare una distinzione ontologica-antropologica (ma in realtà in musica non vi è mai nulla di così perentorio) tra vocazione mediterranea italica alla frase e al colore del suono (la melodia, appunto) e vocazione sinfonica (in primis germanica) alla struttura ritmico-armonica del brano, ma anche e soprattutto alla struttura di frasi, in contrapposizione all'elevatezza della singola frase (o meglio aria, melodia).
Secondo una tale (barbara) distinzione, noi potremmo riprendere gli infiniti discorsi sullo scarso appeal delle melodie beethoveniane, se prese isolatamente e invece sul loro notevole fascino all'interno della composizione nel suo complesso, mentre al contrario avremo un grande appeal delle melodie (per esempio pucciniane), se prese isolatamente e un loro scarso appeal, se considerate nell'ambito di una composizione univoca (a patto di non considerare l'opera e la sua trama, la scena, i personaggi, ecc..., come strumento di unità formale: il che non verrebbe appunto accettato dai melomani).

98) Il Don Giovanni di Giulini

Risolto in pura, aerea e vibrante lirica, il Don Giovanni di Giulini è in assoluto il migliore.
Numerosi i momenti indimenticabili (un'aria di mattino domenicale, bianca, trasparente li unisce tra di loro).
Su tutti, vince, per vigore e genialità interpretativa, l'aria “Fin ch'han dal vino”, nella quale, con uno stretti agogico finale, un accelerando, si ha la netta sensazione della mania di Don Giovanni come vertigine e squilibrio.

99) Ancòra sul Pastor fido

Se si pone l'attenzione al suono, non si pone il problema dell'andamento da scegliere e si romantizza il brano (forse è la scelta migliore).
Se invece si pone attenzione al ritmo, si pone il problema della somiglianza con una danza, un ballo qualsiasi.
Ma se si prende un andamento come di danza, da fenomenologia della danza, si passa alla fenomenica della danza: e tale scelta non ha valore estetico.
Pertanto occorre comunque prendere un andamento più lento rispetto a quello che si prenderebbe se si volesse danzare sulle note del brano.
La terza via che concilia attenzione al suono e attenzione al ritmo è quella di dimenticarsi della danza (fare finta che la melodia non si presti a essere danzata) e pensare al canto: la scansione ritmica sarà precisa, l'andamento moderato e l'espressività massima. E' importante – per scegliere l'andamento giusto – sceglierne uno che permetta che la scansione ritmica sia la medesima in tutti i brani della sonata. Se possibile, dimenticarsi che il primo tempo è in tre (scandirlo in uno, neanche in due). Quindi dimenticarsi anche della scansione (e si ritorna alla prima opzione che è poi quella di Larrieu).

100) Sera illuminata

Se dobbiamo trarre la rappresentanza regionale del Barocco che evolve nello Stile Galante, dobbiamo far riferimento a una villa illuminata di sera.
Non sarà un allontanamento drammatico, come nel romanticismo in fuga notturna verso i campi, ma sarà bensì un esser-già-dentro (un in-essere dell'Esserci, di heideggeriana memoria).
Ciò vale per Handel, Vivaldi, Benedetto Marcello (in ispecie, ma non esclusivamente, per le loro sonate per uno strumento solista e clavicembalo).

101) Falsi dilemmi

E’ falso il dilemma tra maggiore attenzione alla scansione ritmica (che richiama la danza) e maggiore attenzione al canto (idealmente senza tempo).
Ogni volta che ci troviamo di fronte a un simile dilemma interpretativo, significa che semplicemente non abbiamo scelto l’andamento giusto.
In particolare, come nel caso del primo movimento della prima sonata del Pastor fido, l’andamento da scegliersi dev’essere più lento, con il che i falsi dilemmi si risolvono da soli.

102) Un sogno

Un sogno è il primo concerto per oboe di Vivaldi (movimento lento).
Qui entriamo direttamente nella porta, in un pomeriggio nuvoloso.
La dimensione del sogno è una rappresentanza del mondo parallelo. Indica uno straniamento dovuto a un rallentamento, a uno sfasamento del tempo.

103) Un altro sogno

La sonata per flauto e piano Undine di Reinecke, in particolare l’ultimo movimento, è un altro sogno.
Ricorda il tema principale della sinfonia Dal nuovo mondo di Dvorak.
Il clima mitico è rappresentato dalla sospensione del tempo (sognante).
Vi è in entrambi i brani, com’è noto, una rappresentanza fluviale.

104) I concerti per oboe di Vivaldi, Albinoni, Corelli, Torelli e Alessandro Marcello

Racchiusi in un bel LP RCA degli anni '70 del '900 con un superbo Pierlot all'oboe, costituiscono le vette della produzione musicale mondiale di tutti i tempi.
La porta qui è sempre aperta, spalancata.
Siamo direttamente in quel pomeriggio di allora.

105) Perché

Perché sono così belli i concerti per oboe dei veneziani del '600-'700? Perché lì è la summa della musica strumentale?
Possiamo solo abbozzare risposte. Uno dei motivi è che si trattava di nobili (fa eccezione Vivaldi), persone coltissime, sopra la media: quelle opere racchiudevano il meglio dell'intelligenza dell'epoca.
Questo è un aspetto fenomenico che indirettamente spiega il fenomeno fenomenologico della nobiltà di quella musica (la visione dall'alto degli umani affetti e passioni e non dall'androne di casa come in CPE Bach).

106) Adagio del concerto per oboe di Alessandro Marcello

Tra le numerose interpretazioni di questo adagio, le migliori sono quelle che rispettano la lettera del testo (su tutte quella di Pierlot e dei Solisti veneti con  Scimone).
Altre - anziché dividere in fasi (e frasi) il brano (come è scritto) - suonano solo le note base e tra una nota e l'altra (corrispondente all'inizio di ogni fase-frase) fanno una farcitura di fioriture, in omaggio a una malintesa e mai dimostrata prassi barocca.
L'unico aspetto affascinante di questo secondo tipo di interpretazione (nel quale ovviamente – poiché si unisce tutto con il legato – si deve fare uso della respirazione circolare) è che rende il brano una vera e propria frase unica dell'oboe incorniciata da due sezioni (introduttiva e conclusiva) degli archi: quasi un delirio.
Il bello dei brani belli è che comunque li stravolgi sono sempre belli.

107) Albinoni e il bombardamento di Dresda

Che sia vero oppure no che il famoso Adagio è opera di Remo Giazotto, fa rabbia che nel bombardamento di Dresda si siano perduti innumerevoli tesori di Albinoni.
In particolare i concerti (e in particolare quelli per oboe) che in quello stesso periodo tra la fine del '600 e i primi del '700 scrissero Vivaldi, Albinoni, Alessandro Marcello, Corelli, Torelli ed altri rappresentano un periodo speciale, quasi di contagio di una stessa fonte di ispirazione, come avvenne per l'evoluzione dello Stile galante maturo nello Sturm Und Drang – segnatamente con Haydn – meno di un secolo più tardi.
Un contagio, un periodo storico di pochi anni in cui si respirava un'aria particolare e riconoscibile, eppure anche una porta verso l'infinito, dal momento che – da un certo punto di vista – non c'è nulla di più universale di questi due stili: essi sono infiniti.

108) Bottega

Concerti per oboe di Vivaldi e Albinoni (e Alessandro Marcello): è un pomeriggio in una bottega artigiana.
Può darsi che il cielo sia grigio.
E’ impossibile dire quale sia lo stato d’animo.

109) Normalità

Lo stato d’animo è impossibile (o indifferente) da stabilire, in quanto afferisce alla normalità.
Nella normalità vi sono diversi stati d’animo.
Ma sono visti tutti dall’alto come normali: ecco il senso della teoria degli affetti del Barocco.

110) Teoria degli affetti

Non dunque un solo affetto per volta, ma tutti gli affetti visti dall’alto (senso del sublime) come cosa normale.
E’ questa l’essenza della teoria degli affetti del Barocco.
Nell’Empfindsamer Stil, invece, gli affetti sono visti più da vicino e se ne osservano le differenze.

111) Un piccolo universo disastrato

Perché abbiamo così poca letteratura veneziana barocca per oboe, abbiamo solo pochi sublimi concerti scritti da una manciata di autori in uno stile indescrivibile per bellezza e concezione poetica nell'arco di pochi anni?
Che cosa permise questo breve contagio di ispirazione e che cosa lo allontanò, o forse, che cosa non permise a noi di far venire alla luce altro materiale?
Nel caso di Albinoni, sappiamo che la colpa è del bombardamento di Dresda che distrusse moltissimo.
Ma gli altri? Perché, quanto a estensione del repertorio, abbiamo tantissimi brani – per esempio -  di Liszt, pubblicati e incisi, e così pochi concerti per oboe solista di Vivaldi, Albinoni, Corelli, Torelli e Alessandro Marcello? E' una domanda esistenziale, temo senza risposta.
Almeno, nel caso dei concerti per flauto di Quantz, sappiamo che giacciono, ancora non pubblicati e non incisi, in biblioteca a Berlino: colpa dell'uomo, dunque. Ma nel caso della scarsità di capolavori così assoluti come i concerti per oboe, la colpa (oltre al bombardamento, ancora colpa dell'uomo) sembrerebbe essere del destino, che portò un vento di ispirazione a un manipolo di compositori, vento passeggero che fece comporre loro solo poche opere, pure così sublimi.

112) Assolo

C'è da chiedersi se il suono dell'oboe rappresenti uno da solo o se sia il gruppo (l'epoca) a suonare.
Io credo che, se noi accogliamo quanto detto a proposito dell'apprendista artigiano, possiamo  considerare tale distinzione non pertinente.
La felicità insita nel suono dell'oboe sta nella coincidenza tra dimensione individuale e sociale dell'essere.

113) Già dentro

Quanto sopra corrisponde alla definizione di felicità, in quanto siamo tutti già dentro.
In tale accezione (che è quella dell'Ode alla gioia di Schiller ripresa da Beethoven nella nona sinfonia), l'essere già dentro rende insensata la distinzione del soggetto e il dilemma romantico io/mondo.
A tale accezione potrebbe essere paragonata la concezione del noi e dell'in-esserci di Heidegger (veniamo al mondo già in un noi).

114) Contiguità dell'ispirazione

I concerti per oboe di Vivaldi e Albinoni, in particolare quelli in modo minore, paiono avere una contiguità di ispirazione, per cui facilmente si scambierebbero gli autori, quanto a rappresentanza estetica regionale.
E' come se la regione fosse la stessa.
A livello fenomenico e non fenomenologico, è come se si fossero trovati a scrivere sugli stessi canali veneziani, parlandosi anche e dialogando su come comporre questi concerti.

115) Civiltà ellenica

Negli adagi dei concerti di Mozart si esprime un ellenismo.
Questa è la rappresentanza regionale dettata dall’evidenza fenomenologica (v. p. es., l’adagio del concerto in re maggiore per flauto, o per oboe in do maggiore).
Quanto quest’ellenismo sia di maniera e che cosa eventualmente sia mai un ellenismo non di maniera rimane quale dubbio cruciale.

116) Forma e struttura

Nell’incredibile concerto per oboe in re minore per Albinoni abbiamo la perfezione della forma unita al calore del colore, senza avere una struttura vincolante, come sarà il bitematismo tripartito della forma sonata del periodo successivo.
Per quanto riguarda invece la visione dall’alto (concetto di sublime) cui si è fatto cenno riguardo al tardo barocco strumentale veneziano (in particolare i concerti per oboe di Vivaldi, Albinoni, et al.), ossia la rappresentanza regionale del sublime (normalità degli affetti, anche cangianti, ma visti dall’alto ed “essere insieme” degli affetti stessi e delle persone), ossia la Teoria degli Affetti, in confronto invece all’Empfindsamer Stil di CPE Bach (su tutte, la sonata per violino e clavicembalo in do minore), la riflessione fatta dianzi non verteva su presunte differenze, né di struttura, né di forma tra i due stili (il concerto e la sonata citati, infatti, nel loro primo movimento, non differiscono di moltissimo, trattandosi di alternanza tra solista e orchestra in un caso e solista e clavicembalo nell’altro, dove comunque la parte dialogante di accompagnamento, id est l’orchestra in un caso e il clavicembalo nell’altro, fanno da sfondo a un “monologo dialogante” che sta in rilievo ed è appunto costituito dalla parte riservata al solista), ma bensì le differenze, cui si faceva cenno, tra i due stili (Teoria barocca degli affetti e successivo Empfindsamer Stil, una che rappresenta il sublime mondo umano visto dall’alto e l’altro che rappresenta il mondo umano che dialoga sull’androne di casa), sono differenze di tipo simbolico-affettivo, non formale o strutturale.

117) L'anatra

Possiamo interpretare dal punto di vista fenomenologico l'evoluzione dello strumento oboe come una favola.
Dalla starnazzante anatra, parente prossima dell'orribile cornamusa, con il suono in gola, appunto starnazzante, si passa al suono dolce dell'oboe “definitivo”.
E', quello dell'oboe, forse il più bel suono tra quelli degli strumenti cosiddetti “solistici”.

118) Sonate per violino op. 2 di Vivaldi

Ascoltando le sonate per violino op. 2, con i loro ritmi vorticosi come studi eppure così melodici, che girano su sé stessi e si dispiegano, a un certo punto la porta si apre.
Siamo in una strada grigia di città.
Forse accanto a noi – bimbi – vi è un signore con gli occhiali. Questa è un’esplorazione del mondo parallelo, affine, quanto a tecnica, alle libere associazioni e alla regressione.

119) Brani passepartout

L’adagio del concerto in re minore per oboe di Alessandro Marcello, così come la danza degli spiriti beati – intermezzo di Orfeo ed Euridice di Gluck – sono brani che aprono tutte le porte del mondo parallelo.
La loro rappresentanza regionale è estesa e si attiva su più scenari.
Questo perché sono brani il cui punto di riferimento è in alto (è lo Zenit) e quindi non muta al mutare della posizione geografica dell’osservatore (punto di osservazione).

120) Suites per clavicembalo di Handel al pianoforte (Richter/Gavrilov)

Qualcosa come il wittgensteiniano “di ciò di cui non si può parlare bisogna tacere”.
Complice la chiarezza cristallina degli interpreti e dello strumento, quasi ad ogni brano si spalanca una voragine sotto di noi e ci si ritrova nel mondo parallelo.
La rappresentanza regionale è una bella periferia grigia, camminando accostati al muretto.

121) Chiave interpretativa

Nel concetto di “criterio dell’aderenza” e in quello di “porta che dà su una zona del mondo parallelo” è insita la presenza di un concetto cardine: quello di “chiave interpretativa”.
La poetica utilizzata dal dato interprete su quel dato brano (nella data edizione  - o preciso momento - della sua interpretazione, evidentemente e quindi in riferimento al tempo, inteso come  un evento specifico, sia che esso sia registrato e inciso, sia che esso si verifichi in un concerto) costituisce la sua chiave interpretativa del brano stesso.
Se la chiave corrisponde alla toppa (la toppa è la poetica di quell’autore per quel dato brano) la porta si apre ed entriamo nel mondo parallelo.

122) Leclair carillon o Leclair processione

Nelle sonate per flauto di Leclair, più delle fioriture e abbellimenti, conta la regolarità della scansione metrica.
I brani si spalancano ad un ritmo di regolare camminata.
Vi si celebra il tripudio della quotidianità.

123) Il Fabbro di Kempff e quello di Richter

In questo brano di Handel che racchiude i segreti del mondo occorre mettere nella giusta evidenza il prepotente e inquietante processo di accumulazione progressiva della forza.
Apre la porta quindi Kempff che va in questa direzione.
Non così Richter, che “tira via” con glaciale noncuranza.

124) Apocalisse

Ciò che sembra sfuggire al “fabbro Richter” è che il brano non ha un carattere innocente.
L’intensificazione progressiva della variazione non conosce soste o variazioni, pertanto assume un carattere minaccioso.
Di tipo apocalittico.

125) Chiesa vuota

Le suites di Handel suonate da Gavrilov e Richter sembrano risuonare in una chiesa vuota o sconsacrata.
Occorre indagare che cosa questo significhi a livello fenomenologico.
E’ come una apoteosi del profano o una sua sacralizzazione.

126) Gioiosa innocenza

L’ultimo movimento della suite n. 12 di Handel fa da contraltare al fabbro armonioso.
Tanto il primo è intriso di una sadica coazione a ripetere, catastrofica e apocalittica dietro un velo di innocenza, tanto il secondo è invece realmente innocente e dell’innocenza riproduce lo stupore e la bellezza della scoperta.
La scoperta del gioco.

127) La follia di Gavrilov

Spalancare ad ogni costo le porte del mondo parallelo può portare alla follia?
E bisognerebbe guardarsene, in nome di una non dimostrabile adesione ai canoni esecutivi dell'epoca?
Gavrilov spalanca quelle porte, facendoci ritrovare su un marciapiede grigio in città (marcia funebre in luogo di un lieve brano, andamento lento che spappola il  senso del ritornello facendo emergere colore ed armonia).
(Suites di Handel per clavicembalo: variazioni sul tema della follia).

128) Claire de lune

La musica impressionistica suggerisce già nel titolo la propria rappresentanza regionale?
Nel caso del Claire del lune di Debussy sembrerebbe di sì.
Non è possibile scacciare l'immagine di un bosco di notte e di un lago (o del mare) su cui si riflette – frastagliato – il chiaro dei raggi di luna.

129) James Levine

Leggo oggi del pensionamento dal Metropolitan per Levine.
I direttori operistici anglofoni (Levine e Solti) mi sembrano eccellere in chiarezza melodica (e di dizione) e in virtuosismo (scelta dei tempi quasi sempre elettrica).
Ricordo un buon preludio di Carmen, in cui tale elettricità dovuta (il dinamismo dell’esecuzione) venne magistralmente reso da Levine (pragmatismo a-ideologico che onora l’aspetto ritmico della musica).

130) Il secondo movimento della quarta sinfonia di Mahler

Apparentemente (come diceva spesso Bernstein) non ci sarebbe bisogno neanche di un interprete.
Si è già nel mondo parallelo quando, condotta dalle trombe, si segue una carovana di zingari, circensi, girovaghi.
Il cui colore è di un giallo oro intenso.

131) Ancora sulle armonie del fabbro

Quando parlo di coazione a ripetere per il Fabbro armonioso, mi riferisco all’insistenza e all’intensificazione subite dal tema.
Tema che si presenta all’inizio come una cantilena infantile, per poi diventare demoniaco.
E nei bambini troviamo altrettanto innocenza (come nell’altra Suite) e sadismo (come in questa), pulsione di vita e pulsione di morte, come insegnò Freud.

132) Estroversione e introversione

In Vivaldi, non solo grazie al ritmo, abbiamo una vitalità che richiama l’estroversione, mentre in CPE Bach abbiamo un discorso che tende all’introversione.
Entrambi paiono far parte di una simile corrente che nei concerti porta dalla Teoria degli affetti di un Barocco tardo e molto umano (Vivaldi) all'Empfindsamer Still dal volto umano (CPE Bach) che costituisce la terra di mezzo tra il Barocco e il Classicismo, nelle sue mille sfumature di primo stile galante che evolve in stile galante maturo, che a sua volta si trasforma in Sturm und Drang passando appunto per l'Empfindsamer Still per poi giungere al Classicismo maturo, in un vivo e bellissimo trascolorare che – in quanto periodo di transizione – costituisce uno dei periodi più affascinanti della storia della musica.

133) Complicazione al potere

Una caratteristica importante della musica di CPE Bach (per esempio nei concerti) è la complicazione.
La complicazione fa parte dell'universo poetico e ciò non solamente in relazione alle frequenti modulazioni (spostamento degli affetti) caratteristiche dell'Empfindsamer Still, ma anche in relazione all'estrema (e occulta, per l'ascoltatore) difficoltà a livello strumentale, virtuosistico, dei brani di CPE Bach.
Un virtuosismo mascherato che non è avvertibile dall'ascoltatore non musicista e che è in funzione della complicazione intesa come diramazione dell'interiorità e non in funzione dell'esibizione virtuosistica della propria bravura di esecutore, come sarà invece in Paganini e come talvolta si ha in Vivaldi.

134) Il modo del singhiozzo

Nelle sonate e nei concerti di CPE Bach, la voce del violino, nel modo minore, risulta come spezzata in un singhiozzo.
Si tratta di una caratteristica che rende struggente il fluire delle frasi.
Quasi lacrima che sgorga, in un moto affettivo liberatorio al quale persino Kant – nella sua Critica del giudizio in cui il Bello pare disegnato freddamente e gli affetti vengono relegati ad una manifestazione estemporanea– riconosce un valore.

135) Ancòra sul suono di Rampal

Nella coraggiosa edizione completa di Erato, si nota – al primo CD – come il suono di Rampal cambiasse molto, in forma, ma anche in bellezza, da un'incisione all'altra.  Forse per il gusto di una ricerca di un certo tipo di suono (anche se di rado esso è “forzato”), o forse per scarso amore nei confronti di alcuni brani (e – al contempo – senso del dovere nel riscoprirli ed eseguirli tutti, anche se spesso di autori sconosciuti), fatto sta che pare diseguale, tra un'incisione e l'altra, pure la qualità di quel meraviglioso suono.
In alcune incisioni pare un po' schiacciato, e non mancano grappoli di note “scrocchiate”.
Ma in altre – e sono la grande maggioranza – si verifica quel miracolo: un suono di una bellezza inspiegabile, perché inconcepibile.
Verrebbe da dire, data l'incredibile fluidità virtuosistica nei passaggi legati e staccati (la nonchalance, o “sprezzatura” con cui riesce ad eseguirli) che si tratta di un suono naturale come il respiro o il canto.
Ma gli è che troppo spesso è più bello, quel timbro e quella fluidità, di qualsiasi canto.
E' qualcosa che va dritto al cuore della perfezione e quindi prescinde da qualsiasi riferimento alla perfezione umana o naturale: riguarda la metafisica.

136) Letteratura per flauto

La letteratura per flauto coincide con il preromanticismo musicale?
O forse tale impressione è dovuta al fatto che si sia scavato e scoperto, nella letteratura per flauto (specialmente grazie a J.P. Rampal) tutto un mondo di autori che anche nella letteratura per altri strumenti o per orchestra sono presenti e non sono ancora stati scoperti perché non sono mai stati cercati, molti dei quali sono preromantici?
E' importante lasciare aperto tale interrogativo.

137) Il concerto di Chacaturjan

Il concerto, suonato per flauto da molti virtuosi, è sempre stato oscurato, nella sua valenza estetica, dalla sua difficoltà tecnica.
Le interpretazioni dei virtuosi di razza, come Galway, ne fanno uno spinoso e sgradevole esercizio di stile, irto di difficoltà esibite, in una concezione pseudo-paganiniana, fraintesa nel modo peggiore (esibizionismo della tecnica).
Invece, con Rampal si manifesta la poetica, ricca di bruma e di nonchalance, che lo rende indimenticabile, inquadrandolo nel post-romanticismo “metallico” novecentesco, tipico - per esempio - dei concerti per pianoforte di Prokofiev.
Questo grazie a un maestro come Rampal.

138) Il Leclair di Rampal

Brani lenti suonati con molto rispetto della regolarità di scansione (canto lontano, aura mitica, autunno dai palazzi).
Brani veloci molto veloci
Caratterizzazione dei brani molto marcata, in cui si intuiscono molte possibilità di esecuzione (libertà, piuttosto che ricerca della verità).

139) Ancòra sul Leclair di Rampal

I grandi adagi sono suonati con rispetto della metrica, come se fossero parte di un unico grande adagio universale (cfr. Borges): molto belli.
I tempi “allegro” e simili sono suonati tutti velocissimamente, come se si trattasse di un brano in cui esibire virtuosismo.
Nel Leclair di Rampal manca la dimensione intermedia del grande “Allegro” drammatico, cui pure numerosi brani di queste splendide sonate si presterebbero: sembra che per Rampal non si tratti di un compositore epico.

140) Una drammaticità necessaria (il regno dello Sturm und Drang)

L'Allegro drammatico che non vede in Leclair (risolto in frenesia agogica ed in fioriture), Rampal lo “legge” in Telemann (per esempio, nel secondo movimento della sonata in fa minore – originaria per flauto dritto – con clavicembalo).
Qui risulta chiara la tensione, l'avvincente andamento e quella peculiarità in modo minore, tipici dello Sturm Und Drang (cfr., su tutte, l'Op. 9 e 20, ossia i famosi quartetti di Haydn).
Potremmo riassumere il preromanticismo (o la grande letteratura per flauto che lo rappresenta e coincide in larga parte con esso) come l'alternanza di grandi adagi cantabili e di Allegri drammatici, dalla netta scansione ritmica e dal vorticoso andamento: in modo minore.

141) La Ballata per flauto di Reinecke

Rappresentanza regionale double face: è una foresta (ma artificiale) ed anche un viale alberato autunnale.
Misconosciuta, si tratta di uno dei capolavori del romanticismo per il flauto.
Non mi risultano esecuzioni di grandi interpreti: forse il suo tempo è a venire.

142) Libertà e rigore

Una cosa giusta hanno apportato le esecuzioni filologiche che iniziavano a farsi strada nell'ultimo ventennio del XX secolo e sono dominanti nella prima metà del XXI: il rigore, la scienza filologica (per quanto non assoluta) dell'interpretazione.
Se facciamo il paragone con le interpretazioni di Rampal (pur scopritore di una montagna di tesori barocchi e valorizzatore di compositori sconosciuti, quindi artefice di storia della cultura) notiamo che il quesito fondamentale che fa da guida alle sue interpretazioni di ogni passo, di ogni frase è il seguente: “è bello?”; “Sta bene?”.
Ciò porta a molta variabilità nelle interpretazioni e a una noncurante incoerenza interna alle interpretazioni stesse, laddove il quesito dei fautori dell'interpretazione filologica è il seguente: “è corretto questo modo di suonare questo passo, a livello storico-critico?”; “Vi è coerenza interna nel mio modo di suonare questo brano?”.
Quando i filologi, come già stanno incominciando a fare, abbineranno a questa prospettiva della giustezza storica e, soprattutto, della coerenza formale interna al brano, anche quella estetologica (della bellezza), che era l'unica prospettiva rampalliana, le esecuzioni loro saranno ancora più belle di quelle di Rampal (Bellezza = Verità).

143) Fraseggio
Anche sul fraseggio di Rampal, come sulla sua interpretazione in generale della musica, vale il discorso già fatto in precedenza.
La domanda interna di Rampal è sempre: “è bello questo modo di articolare la frase?” e non “è giusto questo modo di articolare la frase?”.
Ciò porta a delle idee geniali sulla suddivisione delle frasi, ma anche a una certa incoerenza nel mantenerle, all'interno dello stesso brano (una delle prassi esecutive più fastidiose, che Rampal non smentisce, ma anzi spesso applica, è quella di eseguire in modi diversi una stessa figura ritmica o frasi simili quando queste si ripetono: un esempio ne è l'incipit della celebre sonata in si minore di Bach, nella seconda edizione Erato, in cui i primi due fa diesis del brano (in figura di spondeo) sono suonati molto staccati tra loro e i secondi due - nell'ambito della stessa figura ritmica modificata - sono suonati legati, con scelta stilistica che sembra vieppiù gratuita, laddove invece, essendo già variate le prime note della stessa figura ritmica, sarebbe meglio mantenere le due coppie di fa simili tra di loro).

144) Non dimostrare niente

Quando Rampal affronta Luigi Gianella nel Concerto lugubre, né virtuosistico, né noto, dà il meglio di sé.
Ciò perché, non essendo virtuosistico, il concerto spinge Rampal a non voler dimostrare niente, a non pensare di essere un virtuoso.
Ed essendo il concerto sconosciuto, scovato da lui prima che da altri, non avrebbe potuto suonarlo, se non con amore.

145) Il concerto di Mercadante di Rampal

E' stato premiato e non a caso.
Qui prende radici l'aura mitica che può far dire – quanto a rappresentanza regionale – che si tratti delle vicende di un borgo medioevale romantizzato.
Dove esistono giardini all'italiana e corti con gli archi in pietra.

146) Le cantate, sonate e camminate di J.S. Bach

Quanto detto sopra sulla camminata si ritrova molto in Bach padre, anche in alcune sonate per flauto, per esempio.
E' un principio di costruzione formale, cui è sottesa una ben precisa posizione ideologica, oltreché fonte di ispirazione.
E' l'espressione della tendenza alla rivelazione immanente (orizzontale) che trova il suo correlato fenomenico nella processione.

147) Intimismo in sonate originariamente per organo e flauto

La scelta di Rampal di suonare con l'accompagnamento del clavicembalo sonate di Bach riservate all'organo, va nella direzione tracciata in molte sue incisioni, che è quella di creare una interpretazione della storia della cultura e di contribuire alla storia della cultura.
Oggi tale operazione non sembra più possibile perché i filologi hanno trionfato sul mercato dei concerti dal vivo e delle incisioni, imponendo strumenti e prassi originali, ma nel caso di Bach, da una prospettiva estetologica e non pedissequamente filologica, poiché il concetto centrale della sua musica è l'ininfluenza dello strumento scelto (può essere scelta qualsiasi voce, purché bella), si rivela una scelta quantomai opportuna.
Qui Rampal vi ritrova un intimismo cameristico addirittura superiore – a tratti – rispetto alle sonate per flauto e clavicembalo, noto cardine del repertorio bachiano.

148) Storia della cultura

Rampal fa storia della cultura, creando il preromanticismo (e romanticismo) musicale flautistico (quella certa regione oscura di sera), attraverso il modo di suonare i grandi adagi concertistici per flauto (adagio del concerto per flauto di Pergolesi, dei concerti di Mercadante, solo per citarne alcuni).
Ciò significa che la sua concezione estetica (il suo universo poetico) si sovrappone – con larghe coincidenze – con la poetica espressa in un dato numero di brani, dando accesso a vaste porzioni del mondo parallelo, che poi sono state catalogate, nella storia della musica, in modo frammentario e incoerente, sotto la falsa legge del criterio cronologico, autorale e stilistico.
La sua è la vera storia della musica.

149) Il concerto per flauto e arpa di Mozart

Qui attraverso una vetrata verde bottiglia, entriamo in un locale, di sera (sono gli anni '90 del XX secolo, la gente ancora può fumare dentro).
Si tratta di una di quelle sere in cui anche un locale umile diventa magico.
Fuori c'è profumo d'autunno.
Tale è la rappresentanza regionale.

150) I primi tre gradini

Le prime tre note (“la”, ripetuto tre volte) del flauto nel secondo movimento del concerto per flauto e arpa di Mozart (ovvero i primi tre gradini per scendere nel lago dorato all'interno di quel bosco miniaturizzato – in cui vi è riunita la dimensione della magica avventura e del salotto nel quale la si narra) dovrebbero essere profonde, ma uguali.
Rampal suona il primo “la” staccato, il secondo un po' più lungo e il terzo più lungo ancora.
Tale è il vizio denunciato sopra, di variare le medesime figure ritmiche ad libitum: così però s'inciampa un poco.

151) Valori assoluti

In termini di valori assoluti, nessuno è mai riuscito ad avere uno staccato (ma talmente dolce da apparire legato) come Rampal: ne il fenomeno Galway, né altri prima o dopo di lui.
Ne è un esempio tra mille il Prestissimo del concerto in do maggiore di Stamitz.
Si tratta di valori assoluti ed è curiosa la coincidenza (per sprezzatura, nonchalance, per moda degli anni '70 del secolo XX che dava più peso agli ideali di perfezione che alla perfezione del prodotto e della merce esibita) con le numerose, a volte clamorose note “scrocchiate” (steccate) nei passaggi invece più facili del brano, caratteristica alquanto ricorrente nel volume dei CD Erato di Rampal con le incisioni di quegli anni.

152) La migliore incisione di sempre

E' – per Rampal – quella registrata in Giappone nel 1975.
E' vero che un buon ingegnere del suono ha reso possibile un leggero riverbero “ad effetto” e la distanza dal microfono era quella ideale.
Ma nessuno staccato fu mai così, nessun adagio e nessun coacervo di passi impossibili fu mai suonato così.

153) Evoluzione nel tempo

E' possibile tracciare una linea evolutiva del suono di Rampal. Morbido, pulito, puro negli anni '50 e '60 del XX secolo (talora un pochino opaco, non sempre brillante, ma inappuntabile).
Negli anni '70 del XX secolo diventa multiforme, brillante nel registro medio e acuto, con maggiore escursione dinamica, tondo nel registro medio, a volte un po' forzato nel registro grave, talora scrocchiante nel fortissimo (forse subì la rivalità con la rivoluzione del suono di Galway, senza mai snaturarsi, però).
Comunque, a metà anni '70, in alcuni brani, complessivamente il virtuosismo sonoro di Rampal raggiunse l'apice, da lì in poi aumentò un po' la discontinuità secondo i brani eseguiti, ma non vi fu mai, neanche negli anni '80 un vero e proprio declino: permase negli adagi l'intoccabile purezza metafisica.

154) Minuetto e danza degli spiriti beati di Gluck, da Orfeo ed Euridice

Andrebbero suonati insieme, anche nei recitals? Anche l'intiera opera, volendo, insieme ad essi. Ma gli è che la danza ha una valenza propria. E' un inno al dolore o alla soavità? Forse si tratta di soavità del dolore o dolor soave. Vi è, di certo, una fotografia così dall'alto delle umane ambasce, da derivarne un senso di sublime molto  altolocato, come nella migliore tradizione barocca. E' forse la rimembranza dopo la morte di una persona cara, ma una rimembranza scevra dall'eccesso di dolore, priva di disperazione

155) Metafisica dello staccato

Sempre parlando di tecnica (ma la tecnica è sempre legata alla metafisica, com'è vero che tout se tiens) ciò che risulta – ad oggi – non solo ineguagliato, ma inspiegabile, è lo staccato di Rampal.
E' molto più di un'articolazione fluida, con la lingua molto indietro sul palato, dello staccato “doppio”.
Gli è che in certi passaggi, sembra che gli sia più facile articolare i suoni con uno staccato simile, che con il legato: è un unicum nella storia della tecnica flautistica di riproduzione dei suoni.

156) Il due e il tre

Male fa il DEUMM a criticare Scrjabin per la marcia del finale della seconda sinfonia, quasi che la marcia fosse uno stereotipo sconveniente.
L'orecchio (e il cervello) umano divide il tempo (tutti i tempi) in due o in tre, gli altri tempi (5/4, 6/8, ecc...) sono tutti derivati e si possono ridurre a combinazioni di due e/o di tre (celebre il caso dell'adagio della Patetica di Ciaikovsky, che il direttore batte come 2+3).
Pertanto – a rigore – tutti i brani di tutti gli autori di tutti i tempi possono essere ricondotti o a una marcia o a un walzer: nulla di disdicevole in ciò, anzi, il ritmo è l'essenza di tutta la musica strumentale.

157) Sonate di Quantz e Benda (esteriorità-interiorità: il suono “giusto”)

In queste sonate, Rampal ha un suono meraviglioso, perché la poetica del brano coincide con la poetica dell'interprete: è l'interiorità.
Quando l'interpretazione aderisce alla poetica del brano, il suono è il migliore (dolce, vellutato, agilissimo, leggermente malinconico, appunto come se il suono fosse rivolto verso l'interno e non verso l'esterno).
Nemmeno una nota scrocchiata nel tentativo di risultare tenori dal do di petto tonante (e quindi niente forzature di suono che non sono nella pelle di Rampal e – di conseguenza – nessuna nota scrocchiata).

158) Le sonate per flauto di J.S. Bach

Qui non si tratta né di tipo di suono (timbro, strumento utilizzato), né di espressione raggiunta tramite articolazioni diverse (virtuosismo) del fraseggio.
Abbiamo la necessità di ottenere il massimo di simmetria attraverso il massimo di semplicità: è una musica che si suona meglio se letta nella mente.
Per tali motivi qui né Rampal, né altri raggiungono vette strepitose di interpretazione.

159) Greensleeves (variazioni: forma aperta)

In questa, come in tutte le altre variazioni, la forma musicale è aperta.
Nel tema e variazioni si rinviene in nuce il mito della musica perpetua.
Esse non finiscono mai, ne ascoltiamo un pezzetto, ma non finiscono mai: c'erano prima del nostro arrivo e proseguono altrove quando abbiamo finito di ascoltarle.
Le potremo reincontrare in altro tempo-luogo: esse ci avranno preceduto e muoveranno da lì dopo che noi ce ne saremo andati.

160) Struggimento

Importante caposaldo, spesso in modo minore, le sonate per flauto di Handel, suonate da Rampal, hanno per rappresentanza regionale lo struggimento.
Incisione non a caso premiata.
Qui può essere concepibile un fraseggio talora differente da quello adottato, o dei tempi un po' più lenti o un po' più veloci, ma lo spirito ne è colto in pieno e il veicolo interpretativo ne è un suono di una purezza abbacinante.

161) Le origini dello Sturm Und Drang

Difficile stabilire questo.
Sicuramente le sonate di Handel (la sua musica da camera in generale) vi hanno un ruolo.
Di quelli che saranno i tratti caratterizzanti dello Sturm Und Drang, le sonate possiedono l'elemento ritmico, preponderante e febbrile, e il modo minore come prevalenza di fondo.

162) Concerti per clavicembalo e orchestra d'archi di J.S. Bach, trascritti per flauto e suonati da J.P. Rampal

Pur elegante, fluida ed ammirevole, l'esecuzione non può che far venire in mente il gotha, lo zenit, il top, la coincidenza assoluta tra poetica del brano e poetica dell'interpretazione del brano stesso così come svoltasi in quell'incisione: mi riferisco all'incisione con Glenn Gould al pianoforte.
E' da precisare il fatto che la rappresentanza regionale è (non può non essere) un gazebo innevato, la sera di Natale.
Fenomenicamente e non fenomenologicamente, si tratta di un carillon.

163) Terre di mezzo: tesori inaspettati

Il concerto per flauto di Hoffmeister unisce un'inventiva felice e mozartiana ad un vigore ritmico Beethoveniano.
Fenomenicamente: fu allievo dello stesso allievo di Beethoven e fu amico sia di Mozart, sia di Beethoven.
Fenomenologicamente: siamo qui in una regione estetica colorata, festosa, come lo sono tutte quelle regioni estetiche illuminate dai compositori “di mezzo”, non trascritti a chiare lettere nella Storia della musica ufficiale, ma che rendono ragione della distanza – in termini di regione estetica – tra un grande compositore e l'altro (in tal caso: la regione estetica tra Mozart e Beethoven): onore al merito di Rampal per aver scoperto tale regione estetica, tramite la riscoperta e l'incisione del concerto di questo compositore.

164) La notte di Rampal

Nel famoso concerto vivaldiano per flauto e archi, la rappresentanza regionale sono gradini di pietra dalla forma ammorbidita, la cui discesa, leggermente scivolosa, porta nelle segrete di un castello (o nel corridoio di una villa che porta al bagno).
Il fraseggio rampalliano, in questo come in altri concerti di Vivaldi, è molto ben studiato ed appropriato, perché rispetta una logica estetologica.
Non ne vien fatto luogo di virtuosismi, ma di uno stile esemplare.

165) Mattine domenicali bianche

Tutto questo richiama l direzione d'orchestra italiana tra gli anni '50 e i primi anni '60.
Per esempio Giulini e Gavazzeni.
La rappresentanza regionale potrebbe essere il percorso che dall'uscita della chiesa porta ad una trattoria lungo un bel viale molto alberato e molto trafficato.

166) Benedetto autunno

Il primo movimento del concerto per violoncello di Schumann rappresenta l'autunno (sulla funzione di collante universale del violoncello già si è detto).
Indubbiamente la rappresentanza regionale sa di ebano
E' possibile – come spesso in Schumann – che dopo aver camminato (forse persino corso e gridato) lungo un viale alberato di pomeriggio, si stia mormorando qualcosa su in casa, seduti sul letto (si sono appena accesi i lampioni e il giorno ancora non si è spento: certo si continua, sotto altra forma, a fuggire la villa e abitare la villa, sempre dentro e fuori le mura di casa).

167) Due spiagge vicine

Largo del concerto in la minore per flauto di Vivaldi e adagio del quartetto per flauto in si minore di Mozart.
Rappresentano due regioni estetiche confinanti, marine: sono due spiagge vicine fra loro, deserte.
Dalla riva del mare – guardando verso l'orizzonte – un cielo blu immenso.
Fenomenicamente: è ben possibile che Mozart  nel suo adagio si sia ispirato al largo di Vivaldi.

168) Una precisazione

Per rappresentanza regionale s'intende la regione estetica che rappresenta sé stessa in un brano musicale.
Essa si rappresenta tramite quel brano.
Viene a rovesciarsi il rapporto in base al quale la musica esprime, perché essa è invece l'espressione di qualcosa (mondo parallelo).
Il mondo parallelo si esprime attraverso la musica.

169) Incpit della Grande Sonata per flauto e chitarra di Giuliani

Qui il fenomenico e il fenomenologico (il mondo parallelo e il nostro) si fondono, dal momento che la rappresentanza regionale è, in un tardo pomeriggio estivo in un'assolata città di mare, il flautista che inizia a suonare la sonata.
L'inizio riverbera l'inizio, si crea un corto circuito estetico.
E' in casi come questi che si può attraversare la porta ed andare nel mondo parallelo.

170) Sturm Und Drang ante litteram

Solitamente attribuito – casomai – a CPE Bach, lo Sturm Und Drang può essere attribuito al padre, per la Suite in do minore per flauto e clavicembalo.
Quella nervosa e insofferente tendenza al ritmo e all'azione, quel non essere mai paghi di un ritmo, di una melodia, di un concetto.
Quell'aggrovigliarsi disposto all'eroismo (o alla prevaricazione) si ritrovano anche qui.

171) Schubert e Schumann interiori

Mentre è più consueto per il secondo, l'aggettivo non viene così spesso usato per il primo.
Ciò perché si esaspera – nell'eseguire la sua musica da camera – l'escursione dinamica (ogni pianissimo dev'essere morente, ogni fortissimo dev'essere apocalittico).
Invece nell'introduzione e variazioni per flauto e pianoforte, Rampal riesce a trovarvi la dimensione in prevalenza intima, equiparandolo a Schumann ed entrando sùbito nella porta.

172) La sonata per flauto di Prokofiev

Si può definire, al pari di altra musica da camera dell'Autore, romanticismo meccanico, o metallico.
Mentre nel concerto per pianoforte si udiva l'eco del porto (le sirene delle navi), qui pare trattarsi di un meccanismo, in cui vengono interpolati momenti di assoluta poesia.
Come avviene, per altri versi, con Stravinsky (dal barbarico al poetico con passaggio repentino e standardizzato).

173) Il corretto andamento per il primo movimento del concerto brandeburghese n° 5 di J.S. Bach

E' quello scelto da Eduard Fischer, direttore non di grande fama mediatica, ma che ha lavorato con J.P. Rampal (incisioni Erato).
Il tempo è la chiave di questo brano (e di tutta la musica).
Una volta scelto il tempo giusto, abbellimenti, rubato, ornamenti ed altri espedienti retorici non servono e il brano, secondo il rasoio di Occam, risulta semplice nella maniera più bella, bello nella maniera più semplice.

174) Un giardino con una fontana in pietra come cortile di una casa

E' la rappresentanza regionale del secondo tema del primo movimento del concerto per flauto di Reinecke.
Qui abbiamo l'esempio di un romanticismo per metà avventuroso e per metà casalingo.
Come se affrontassimo l'avventura in un bosco, che in realtà è un parco urbano allestito a bosco.

175) Meditation, (Massenet, Thais)

Qui è veramente difficile entrare nella porta.
Vi riuscii una volta, quando ero molto stanco e sovrappensiero, avevo circa 20 anni.
Penso che sia fondamentale cantarla con aria svagata, ma comunque non entrano nella porta (anzi sbattono contro il muro) né Uto Ughi (troppo veloce), né l'orchestra della Fenice di Venezia (troppo lenta: meditazione non significa ieratica staticità, ma casomai sguardo dalla riva all'orizzonte).

176) Concerto in sol maggiore di Platti per flauto, archi e continuo

La rappresentanza regionale è una strada bianca, assolata al mattino (ci possono essere zone in ombra, come nei passi ripetuti in modo minore).
L'impressione fenomenica è che si risenta in parte di Vivaldi, in parte di Telemann e in parte di Mozart.
Ma non vi è una banale insistenza nel modo maggiore, come invece avviene nella musica da camera di Locatelli.

177) La brezza sulle cime

Il concerto per flauto e archi in fa maggiore di tartini ha per rappresentanza regionale una forza ascendente.
può essere descritta come brezza sulle cime o come odore di acqua salmastra proprio di alcuni quartieri che si trovano nelle vicinanze del porto.
Il cielo è diafano, c'è molta luce, ma è nuvolo.

178) La condizione umana

Ancora una volta Schumann (3 Romances per  flauto e pianoforte, Rampal) non dimostra nulla.
Mostra la condizione umana, così come può manifestarsi in un giorno qualsiasi.
Vista con gli occhi dell'altro (che è il contadino ingenuo, il pastore o il boscaiolo della tradizione mitica del “buon selvaggio” di tradizione romantica) tale condizione quotidiana è inspiegabile, soprannaturale: la rappresentanza regionale è tanto più nitida ed eclatante quanto più il brano è languido, quasi sonnacchioso.

179) Coincidenze

Quando la regione estetica del mondo parallelo espressa da un brano coincide con la regione del “mondo di qua”, si attua un incrocio, una coincidenza tale per cui il luogo e il momento dell'esecuzione subiscono un processo di mitizzazione.
E' qui il motivo della mitizzazione di concerti, interpreti, ecc...
(N.B.: ci riferiamo con il termine “fenomenico” agli eventi del mondo di qua e con il termine “fenomenologico” alle rappresentanze estetiche regionali del mondo parallelo).

180) Vissi d'arte

Qui il coinvolgimento panico sorge dallo sfondo rispetto alla voce principale della cantante, risiede cioè nell'accompagnamento dell'orchestra.
Questo, tirato come un arco in modo infinito, assorbe e riespande interamente l'energia del brano.
La rappresentanza regionale è ancora una volta di tipo marino.

181) La matematica di Handel

La perfezione e la preconcezione della costruzione, spietata, calcolatrice, semplice eppure tagliente.
Non vi sono i cedimenti che si trovano invece in J.S. Bach.
La rappresentanza regionale di Handel è un campo aperto in pianura, mentre in Bach sono presenti – inaspettatamente - punti scoscesi, avvallamenti e salite: che nell'Empfindsamer Stil diverranno il cuore del paesaggio.

181) Adagio del concerto in sol maggiore D105 per flauto e archi di Tartini

La rappresentanza regionale non è lontana dalle notturne e lussureggianti regioni degli adagi dei concerti per flauto di Quantz.
Ma mentre questi ultimi sono probabilmente vicini a un'oasi di vegetazione rigogliosa,
quest'adagio si trova non distante da un negozio di vendita di abiti all'ingrosso.
In un tardo pomeriggio uggioso e grigio, per questo eterno, di molti anni fa.

182) Il centro misterioso

E se tutte le musiche, ossia tutte le strade del mondo parallelo, tendessero al finale misterioso della sonata di Reinecke per flauto e pianoforte? Se fosse il centro misterioso di tutto il mondo parallelo?
Se tutti i brani precedenti, contemporanei e successivi di tutti gli autori alludessero a quello?
Se una polizia segreta volesse impedire ad un investigatore privato di scoprirlo ed annunciarlo al mondo? (Ricordiamo le trame e le recensioni di romanzi immaginari del grande Borges).

183) Eroismo operistico

In attesa di risolvere il mistero ultimo (forse la verità assoluta, il centro del mondo parallelo), due parole su De Croes (concerto per flauto in si minore n° 2).
Fenomenicamente: eroismo operistico di ascendenza mercadantiana (ed in ultima istanza rossiniana).
Fenomenologicamente, la rappresentanza regionale è una statua di marmo (il riferimento ulteriore è a Foscolo).

184) La coda del primo movimento della prima sinfonia di Beethoven

Fenomenicamente è l'espressione della forza.
Tecnicamente tale effetto si raggiunge con il “tutti” che segue la frase dell'oboe  e con la scansione ritmica.
Fenomenologicamente – come in tutte le sinfonie di Beethoven – vi è lo stabilirsi, o meglio il ristabilirsi di un ordine.
La rappresentanza regionale è quadrata: è la soddisfazione per l'ottenimento di un risultato. Il punto è che Beethoven buca la porta. Ci fa prendere pezzi di mondo parallelo e ce li fa portare di qua. E' un ponte di collegamento con il mondo parallelo o, se si preferisce, una sua profanazione.

185) La sonata preferita di J.S. Bach

In mi maggiore.
Fenomenicamente, l'aspetto ritmico si compenetra con quello melodico (v. allegro del secondo movimento).
Fenomenologicamente: la rappresentanza regionale sono dei capitelli arancioni di un muretto.

186) Studi trascendentali di Arrau

In questo brano di Liszt, Arrau porta in rappresentanza regionale un suono dal tocco di chitarra argentina.
Leggerezza (acqua fresca che usciva da un rubinetto di un posto qualsiasi, negli anni '50 del secolo XX).
Non esiste la definizione per la poeticità assoluta, così come non ne esiste una per il colore rosso o per un altro colore.

187) La sonata di Vinteuil

Com'è noto, la “sonata di Vinteuil” è un artificio letterario della Recherche di Proust, cioè un brano di cui si descrivono moltissime cose (un universo intero) all'interno della narrazione del romanzo e che in realtà non esiste perché Vinteuil è un compositore immaginario.
Naturalmente sono stati fatti numerosi tentativi d'interpretare questa sonata; taluni vi scorgono il riferimento alla sonata per violino e pianoforte di Franck, in base alle descrizioni del romanzo, in particolare per il suo stile vago, indefinito e al contempo passionale e cangiante, tardoromantico e ipercromatico (singolare che si ritenga possibile arguire il riferimento storico-stilistico dalle descrizioni verbali di una sonata inesistente, ma la critica sarebbe capace di questo ed altro, come rivelò inequivocabilmente l'episodio delle finte “facce” di Modigliani recuperate dall'Arno).
Il punto vero è che tale “sonata” è borgesiana intimamente, nel senso che J.L. Borges ci ha suggerito che ciò che è sognato o immaginato non è meno reale di ciò che è toccato o “vissuto”.

188) Una giostra o una ninna nanna

E' l'aura che Rampal riesce a dare alla Siciliana della sonata in mi maggiore di J.S. Bach.
Sospetto che vi siano rimembranze della senna o del porto di Marsiglia.
E' possibile che tutto si svolga (come del resto – diceva Borges – l'intera vita) in un sogno: specialmente laddove la frase è ripetuta piano, appare nitida la meditazione.

189) Giga e Double della Suite BWV 997 di J.S. Bach

L'incredibile (infernale) effetto di tale sequenza di due brani appaiati (formalmente uno la variazione dell'altro) sta nel fatto che la seconda danza (double) riprende la prima in questi termini.
E' l'ascolto dall'altra stanza di un discorso in cui viene presa una decisione.
Ma mentre nella stanza dove si svolge il discorso (la Giga) è la scansione ritmica a definire la decisione, nella seconda stanza, oltre a sentirsi tutto più piano (attraverso la parete) il discorso si fa disarticolato, perché l'eco della scansione ritmica (della decisione) giunge disarticolata e quindi contraddice sé stessa (non più un tono deciso, ma un'eco vaga e tanto affascinante quanto flebile): tale è la rappresentanza regionale di questo doppio brano.

190) Drammaticità in J.S. Bach
La Suite in do minore per flauto (primo movimento) esprime, a livello fenomenico, con il suo ritmo in contrattempo, tale drammaticità.
A livello fenomenologico, la rappresentanza regionale è un avvallo pesante nel terreno del mondo parallelo, dove s'inciampa e che si decide di chiudere, per evitare di farsi male.
Di qui, l'urgenza narrativa che pervaderà poi l'intera Suite come una febbre.

191) Il primo movimento del concerto per flauto di Stamitz

A livello fenomenico (stilistico), è azzeccata – in questo caso - la scelta di suonare la nota successiva a quella puntata in modo stretto, anziché scandito (anche se la lettera del testo contraddice tale prassi stilistica).
Da notare il fatto che nell'incipit della prima sonata per flauto di Leclair, Rampal adotta la scelta opposta.
Ulteriore esempio è il famoso inizio della sinfonia londinese di Haydn, in cui Antal Dorati sceglie la soluzione stretta e Bernstein quella larga e scandita: la cosa curiosa è che entrambe le soluzioni non lasciano ben intravvedere quale sia la corretta forma ritmica del fluire del tempo.

192) Concerto per flauto di Benda

A livello fenomenico: squilibrio tra la parte dell'orchestra, ben costruita, e quella per flauto, che a tratti sembra di puro accompagnamento.
A livello stilistico: è l'Empfindsamer Stil statu nascenti.
A livello fenomenologico: la rappresentanza regionale è un bambino che si sta riprendendo da un quasi svenimento dovuto al caldo umido e allo sbalzo di temperatura nella sala di attesa della piscina, dopo aver fatto nuoto, e che poi uscendo all'aperto, pur debole, si rianima.

193) I pericoli del momento del risveglio

Poiché (con buona pace di Freud) il sogno non è una formazione di compromesso tra io cosciente, censura del Super-io e pulsioni inconsce, ma è una finestra sul mondo parallelo, esattamente come la musica, bisogna citare i pericoli del risveglio.
Sulla scorta di Kafka e Borges, mettiamo in guardia: poiché il risveglio è un buco nero, luogo di passaggio tra i due mondi paralleli (il nostro e l'altro, cioè quello del sogno e della musica) facilmente può succedere, come con il teletrasporto di Star Trek, che a causa di qualche oscura turbolenza, si scambino i due mondi, e rimaniamo perennemente intrappolati nell'altro, che da paradisiaco diventerebbe perciò stesso un incubo perpetuo, o che ci rimanga il dubbio se questo sia il sogno o la realtà, e viceversa.
Tale è anche il momento di maggiore probabilità di trapasso fisico-fenomenico da un mondo all'altro, cui diamo il nome di morte.

194) London Trios di Haydn

Qui la porta si apre grazie alla fusione del timbro del flauto e di quello dell'oboe.
Il procedimento è simile a quello della ninna nanna o dell'ipnosi.
La rappresentanza regionale è una strada sterrata che conduce al mare.

195) Il fascino delle epoche intermedie

I periodi della storia della musica (ma vale anche per la filosofia e – suppongo – per le altre discipline) più interessanti sono quelli di passaggio da uno stile all'altro.
E' chiaro che la premessa di quanto sopra dichiarato è senza senso (che cosa è di passaggio nella storia? Tutto).
Gli è che l'Empfindsamer Stil, per esempio, con le misteriose e magiche assonanze di CPE Bach, Quantz, Benda e gli altri, ci fa percepire un momento in cui c'era qualcosa di nuovo al quale si incominciava a lavorare (e anche, come accennavo sopra, una sorta di contagio dell'ispirazione).
Lo stesso vale – altro esempio – per i concerti per oboe dei barocchi veneziani (Albinoni, Vivaldi, Alessandro Marcello, e gli altri).
Ulteriore esempio: lo Sturm und Drang (che possiamo considerare la fase matura dell'Empfindsamer Stil, incentrato su primi tempi di un allegro agitato, teso e drammatico, con un'aura di vento prima della tempesta, in autunno).

196) La Fantasia di Doppler

Nell'edizione di Rampal (s'è già citato, del resto, il fatto che il disco che contiene questo brano è il migliore che egli abbia mai inciso), quello che è impressionante perché crea l'interpretazione è il timbro del suono e la sua fluidità.
Esistono brani per la fluidità, in cui l'elemento ritmico è un vizio nascosto e tutto si gioca sul respiro e sul timbro.
E' un brano, in questa edizione perfetta, imprendibile: la rappresentanza regionale può essere il risveglio al mattino, ma è altrettanto un gatto.

197) Il mondo di Mahler

Possiamo dire che vaste regioni del mondo parallelo, fino ai primi decenni del secolo XX sconosciute al nostro mondo di qua, disvelarono sé stesse nella musica di Mahler.
Si tratta di regioni del pianto, sicuramente, ma non del piagnisteo.
La rappresentanza regionale è l'eroismo della povertà e della fragilità.

198) Notturno in Do Minore op. KK Ivb/8 di Chopin

Opera postuma, ma considerata giovanile (in senso svalutante: si parla di estrema semplicità e di pecche strutturali), è forse invece davvero l'ultimo notturno di Chopin.
A livello fenomenico tutto è possibile: può darsi davvero che fosse il primo notturno (e che la visione assoluta del mondo parallelo, così chiara all'inizio, si sia inquinata nei notturni successivi, forzatamente intimisti e a volte dolciastri).
Potrebbe darsi invece che, intravvedendo la fine della vita, alla fine del ciclo di notturni Chopin vedesse con semplicità la verità (che bisogno c'è di usare tante parole, quando si dice la verità?).
Il punto è che con questo notturno, a livello fenomenologico, entriamo nel mondo parallelo con la stessa facilità con cui potrebbe entrarvi un bambino.

199) Hic et nunc e Nunc stans

Borges afferma che lo spazio è uno degli attributi del tempo. Cita spesso il fatto che “siamo fatti di tempo”, il che sembrerebbe far prevalere la dimensione temporale su quella spaziale.
Ci dice però – alla fine di “Storia dell'eternità” (saggio che dà il titolo all'omonima raccolta) - che il tempo è un illusione, facendo riferimento ad un episodio di estasi in cui vede un muretto rosa in una via di sera e lo concepisce come il medesimo del secolo precedente (cita, altrove, Schopenhauer che ci dice che lo stesso gatto che vedo è quello che gli egiziani venerarono secoli addietro); di seguito, definendo quest'istante eterno, ci dice che il tempo è un'illusione.
Per non pensare che Borges si contraddica, dobbiamo far ricorso all'intera dottrina del tempo che Schopenhauer abbraccia: quando Borges ha l'istante di estasi davanti al muretto rosa, ha percepito quello che per Schopenhauer è il nunc stans, l'istante che si dilata all'infinito e che coincide con l'eternità (istante eterno di faustiana memoria: “Fermati, attimo, sei bello!”).
Quando invece Borges ci dice che il tempo è un'illusione, si riferisce all'inafferrabile successione di istanti, cioè all'hic et nunc (l'”attimo fuggente”, cioè il carpe diem di Orazio).
Pertanto, riassumendo, per Borges lo spazio è un attributo del tempo, il tempo è la sostanza di cui siamo fatti, ma tale tempo scorrevole, fatto di istanti (hic et nunc, carpe diem) è a sua volta un'illusione, in quanto il vero tempo, che coincide con l'eternità, è il nunc stans, l'attimo che comprende in sé passato, presente e futuro, l'estasi.

200) Su Chopin

La critica reale a Mozart potrebbe adattarglisi.
Troppe note.
Basterebbero pochi frammenti per l'estasi poetica di un mito: essendovene troppi, viene meno la tensione.

201) Dolenzia di Arrau

Arrau aveva il dono della profondità, non della leggerezza.
Così, mentre il suo Liszt è sontuoso e dal timbro argentino, il suo Chopin, con le note rattenute e i tempi non scorrevoli, è dolente.
L'uno si prestava alla seriosizzazione più dell'altro: indimenticabile comunque l'interpretazione del notturno in Do Minore op. KK Ivb/8

202) La struttura del ricordo

Ricordo inatteso, inaspettato, come in Bergson e – in maniera più invasiva e ontologicamente determinata – in Proust.
Ciò si può rilevare dalla struttura del breve e bistrattato notturno di Chopin in Do Minore op. KK Ivb/8.
Per abbreviazione strutturale successiva prima, distrazione poi (procedimento del tipo A-B-C) e repentina, inaspettata reminiscenza della frase B (quindi A-B-C-B), come una cosa ricordata dopo innumerevoli anni: che invece, come nei sogni, è accaduta pochi istanti prima.

203) Chopin in sudamerica

Nei meglio interpretati da Arrau tra i notturni di Chopin, si sente un'aura di dialogo interno, da interno di piano bar dove a bassa voce discutono persone note in giorni sempre uguali.
Qui – dalla quotidianità che confina con l'intimità e talora con l'indolenza - si riverberano talora bagliori: ricordi o speranze.
La speranza è un ricordo del futuro.

204) Origine della teoria del sogno

Troviamo scritto in J.L. Borges, “Tlon, Uqbar, Orbis tertius”, (in Finzioni, Opere complete, Mondadori, p. 632) che “...mentre dormiamo qui, stiamo svegli da un'altra parte, e che dunque ogni uomo è due uomini”.
Qui ha origine la teoria del sogno come accesso al mondo parallelo, non meno reale di questo.
Con l'implicazione che noi qui siamo il sogno del mondo parallelo di là.

205) Onde che attraggono e onde che respingono

Il rubato in Chopin non è uno strumento stilistico esecutivo, ma bensì un elemento strutturale.
Ciò rende più difficile entrare nella porta del mondo parallelo, come se – venendo meno la regolarità agogica – occorresse infilarsi tra un'onda e l'altra, trovando il giusto modo di rubare per rendere sublime la frase che si sta suonando.
Ciò rende più difficile la chiave interpretativa, ossia la coincidenza tra il mondo poetico dell'esecutore in quel momento per quel passo di quel dato brano e la poetica del brano stesso, in quanto – essendo il rubato molto connaturato ai propri aspetti fisiologici e anche idiosincratici (il nostro modo di rubare è molto specifico per ciascuno, come il modo di respirare) - spesso nell'esecuzione-interpretazione si avverte più la personalità (mondo poetico) dell'esecutore-interprete che quella del brano.

206) La chiave di Liszt

Perché Arrau la possieda, è un mistero.
Quasi svanisce la sua sovranità in Chopin.
Forse il motivo risiede nel rubato, che segue il climax ascendente nel caso di Liszt, ed è invece un'onda imprevedibile in Chopin.

207) Liszt apodittico

Prendere sul serio Liszt come fa Arrau porta a una vertigine quasi metafisica.
Forse il connubio – come già ricordato sopra – tra caratteristiche opposte (presunte) del compositore e dell'esecutore porta alle migliori chiavi interpretative.
Qui l'interiorità dell'esecutore e la presunta esteriorità del compositore porta ad un Liszt apodittico: gli Studi trascendentali sono trascendentali per profondità prima che per tecnica virtuosistica.

208) In mezzo al turbine, il trionfo della nostalgia

Tale è la rappresentanza regionale dello Studio d'esecuzione trascendente di Liszt, S. 139 ,n° 12 (Chasse-neige).
La mano sinistra rappresenta il turbine, mentre la destra con l'insistenza finale sulla dominante, in modo minore, allude alla conclusione.
Ormai è autunno.

209) Un'espressione poetica e non diretta

Motivo della minore aderenza della chiave di Arrau per Chopin rispetto alla sua chiave per Liszt, sta a mio avviso nel fatto che Arrau non affronta i notturni scopertamente romantici di Chopin con un'interpretazione altrettanto scopertamente romantica.
La concezione di Arrau dell'interpretazione musicale non prevede la musica come espressione diretta del sentimento, come invece i romantici concepivano e come Arrau dichiarò di non concepire in un'intervista riportata dal settimanale “L'Espresso” degli anni '80 del XX Secolo.
Si può notare tale imbarazzo interpretativo soprattutto nel notturno Op. 9, n° 2.

210) “Funes” di Finzioni di Borges e la “merenda nel verde” di Descrizione di una battaglia di Kafka

Nella famosa frase di Descrizione di una battaglia, in cui due donne parlano, una sul balcone, l'altra in giardino e una chiede all'altra cosa stia facendo e l'altra le risponde “Come, non vedi cara? Merendo nel verde”, vi è una delle esemplificazioni del dubbio espressionistico, il dubbio kafkiano sull'affidabilità della percezione: una cosa non può essere la stessa se vista da due punti differenti di osservazione, da due osservatori differenti, o in momenti diversi.
Così anche Funes, il protagonista ultra-memore dell'omonimo racconto di Borges nella raccolta Finzioni, dotato di una percezione infinita, non può riconoscere lo stesso oggetto come il medesimo, se lo guarda da due punti di vista differenti (perché lo sommergono particolari infiniti e posti in una sequenza differente dello stesso oggetto visto prima).
E, in fondo, forse che entrambi non esprimono a loro volta il convincimento eracliteo che un fiume non sia mai lo stesso, perché l'acqua dentro cambia in continuazione?

211) Squartare il pianoforte

La rappresentanza regionale dello Scherzo e marcia di Liszt (1827) è una macelleria.
Lo scherzo è di un'irruenza sinistra che “ricorda” (virgolette d'obbligo, dato l'anacronismo) l'espressionismo.
E' questo che ha di incredibile Liszt: sembra agitato da forze demoniache.

212) Sogni reciproci

Sogni che dormono e che sognano il mondo parallelo, sogni che vegliano, sognati dai sogni dormienti del sogno parallelo.
Sogno e realtà è una falsa distinzione, come suggerisce Borges in Finzioni.
Appena sogniamo, si sveglia e prende vita, di là, il nostro doppio e appena lui dorme e sogna, noi ci svegliamo e conduciamo la nostra giornata.

213) L'organizzazione del delirio

Scherzo e marcia di Liszt ha una struttura A-B-A, quella classica del minuetto.
Ne è la parodia feroce.
Come il delirio, se organizzato, esprima il grottesco.

214) Il mito è la narrazione del mito

In Arrau prevale la narrazione.
Ecco spiegata l'introversione.
È ricordo. Dal passato al presente.

215) È sicuramente mattino

Gli studi trascendentali di Liszt-Arrau hanno per rappresentanza regionale sicuramente il mattino.
Il colore riguarda un bar sudamericano.
Potrebbe essere un momento di festa all'uscita di una messa.

216) Nostalgia

La narrazione che media l'espressione diretta rappresenta la nostalgia.
È il ricordo del sentimento, non la sua espressione diretta.
Così l'introverso Arrau trova la chiave di Liszt negli studi trascendentali.

217) Onde alte

Serie come Arrau le concepisce, le onde degli studi trascendentali di Liszt ricordano il sublime kantiano.
Un senso di terrore misto ad ammirazione.
Non sono meno oggettive delle sublimi melodie barocche, in cui le passioni son viste dall'alto.

218) La bottega dei concerti per oboe di CPE Bach

A differenza di quella dei concerti per oboe del tardo barocco veneziano, ha la porta aperta.
Pertanto entra il vento.
Si alza lo sguardo, mentre va il meccanismo.

219) Regione stagionale, stagione regionale

Nel mondo parallelo lo spazio-tempo è sincronico.
Pertanto le regioni si moltiplicano con le stagioni e sono contemporanee.
Per esempio, il movimento lento della patetica è sotto Natale, gli studi trascendentali di Liszt sono estivi.

220) Analogie

Correnti di pensiero dominante, ascolto, cosciente influenza reciproca.
Uno o più di tali fattori.
Certo è che le sinfonie di CPE Bach, non tanto nella forma, ma nell'alternanza di tutti e gruppi ristretti (specialmente di fiati), nonché nell'impasto timbrico, ricordano quelle di Mozart.

221) C'è CPE

Tra Mozart e Beethoven, lungo quella terra sconosciuta.
Ogni domenica mattina, tra la messa e il pranzo.
Taciuto, dimenticato, assoluto.

222) Così parlarono i timpani

Il loro ruolo nell'inizio del celebre poema sinfonico di Richard Strauss è fondamentale.
Rappresentano la nietszcheana volontà di potenza.
Sull'aspetto morale di questo tipo di espressione musicale converrebbe aprire un capitolo a parte.

223) La dimensione del sonno

Nella musica per viola da gamba di CPE Bach vi è la dimensione del risveglio.
Siamo distanti molti chilometri, nel mondo parallelo, dall'uso passionale del violoncello.
Qui lo stesso strumento, usato fenomenicamente in due momenti diversi, apre due porte differenti di due regioni differenti dello spazio-tempo del mondo parallelo.

224) Respiri sbagliati

In J.S. Bach, la fine di ogni fine frase è anche l'inizio della frase successiva, perciò non bisognerebbe mai prendere fiato.
In alternativa, si potrebbero prendere molti fiati, tutti sbagliati, nel ritornello.
Come alternativa al ritornello con abbellimenti.

225) Non offendere

Ciò che non capirono i romantici.
Non è necessario strappare serenità alle orecchie con continui, molesti passaggi dal pianissimo al fortissimo.
La foto, o la narrazione, che lasciano il fruitore a debita distanza dalle passioni e dal fastidio fenomenico dell'eccesso di escursione dinamica, aprono un portone sul mondo parallelo.

226) Intimità

Nei concerti per flauto di CPE Bach, troviamo intimità.
Questa passa, anzitutto, dal suono, che è morbido.
Poi dal fraseggio, o meglio dell'articolazione gotica e ascendente delle frasi.

227) Definizioni di J. S. Bach

Fluido, scorrevole, sereno, che fa festa,
Che non muore mai, legato, libero,
Spirituale, ascendente, immanente, trascendente, trascendentale.

228) Regressione dell'io, fenomenologia e mondo parallelo

Con il metodo psicoanalitico, il mondo parallelo ha in comune la regressione dell'io, di cui è una realizzazione.
Con la filosofia ha in comune il metodo fenomenologico, in quanto lo psicoanalitico ascolto del vissuto è anche filosofica e fenomenologica osservazione del fenomeno.
Lo scopo è la ricerca della verità.

229) L'ultimo movimento del concerto in re minore di CPE Bach

Sempre altrove grazie all'universo modulante.
Drammatico, febbrile.
Una decisione va presa subito.

230) Blu al neon

Il bar è l'ultimo avamposto del mondo di qua.
Dietro, dal lato del barista c'è solo l'orizzonte.
Dietro, di là, è il mondo parallelo.

231) Legno

A volte sul flauto, specie se lo strumento è antico, di legno, si schiaccia un po' il suono per renderlo più timbrato, specie nel registro grave, facile ad esser flebile.
Ciò rende il suono simile al legno.
La rappresentanza regionale è una sedia che cade su un piede.

232) Adagi dei concerti per flauto di CPE Bach

Regioni separate e contigue.
Sono contigue temporalmente, perché sono la notte
Notte in questa e quella regione del mondo parallelo, ma a differenza delle regioni notturne di Quantz, che rappresentano l'amore, queste sono più dolenti.

233) Adagio del concerto per flauto di Reinecke

La foresta non è tragica, è mendelssohniana.
Ma non è autoironica.
Non credo che la musica possa esserlo.
Tutto punta verso il sole.

234) La quinta di Ciaikovsky

Mentre adorava la quarta, l'autore disprezzava la quinta, oggi più ammirata.
Il motivo sta nella linfa, più mesta.
Non c'è verve trionfalistica nella sua regione.

235) Bambù

E' la rappresentanza regionale del flauto antico, di legno.
Richiama capanne su spiagge di sabbia fine, dorata.
E' una spiaggia di canne di bambù.

236) Hotel

E' la rappresentanza regionale dell'incipit del concerto per violoncello di Schumann.
L'hotel dovrebbe essere a Venezia.
E' un po' piccolo ed è caro.
Ma splende e fuori è sera.

237) Sensualità in Liszt

Per Liszt una porta privilegiata è il timbro del suono?
Da lì si percorrono le sue regioni?
Se facciamo eccezione per il Liszt apodittico-eroico di Arrau, sembrerebbe di sì.

238) Berceuse di Liszt per pianoforte

La rappresentanza regionale è l'acqua.
L'acqua scende dolcemente dal piano di sopra, da qualche parte e invade la casa, mentre dormiamo.
Ma poi ci svegliamo: era un sogno.

239) Il primo movimento della prima sinfonia di Brahms

La rappresentanza regionale è sicuramente montana (linee melodiche ascendenti e discendenti, a spirale, a terrazza).
Vi è, in più, una robusta possanza beethoveniana.
In termini di rappresentanza regionale, essa esprime la soddisfazione di vincere l'insoddisfazione tramite la forza: è come se qualcuno battesse i pugni sul confine del mondo parallelo, facendo risuonare i colpi di qua e di là.

240) Il primo movimento della quarta di Brahms

La rappresentanza regionale sembrerebbe essere un dramma medioevale.
Il timbro, il colore, ricordano il rosso amaranto e le mura di una chiesa.
C'è l'odore di umidità e di piante.

241) L'ultimo movimento della terza di Brahms

Qui vi sono strappi.
Come quando si toglie un cerotto dopo molte ore.
In un certo senso, c'è qualcuno che sta battendo i pugni sul muro di confine del mondo parallelo.

242) Primo movimento del primo quartetto per archi di Brahms

Questo è l territorio del romanticismo più fitto.
Vi è un'accesa discussione, vibrate proteste.
Alla fine della discussione, si possono notare dei fiocchi viola sul tappeto.

243) Secondo movimento

C'era quel rigoglioso cespuglio,
la fresca verzura,
l'ombra azzurrina.
Ora non c'è più nulla.

244) L'inizio della seconda di Brahms

Qui a possedere la chiave è Muti.
L'aspetto lirico-melodico è fondamentale
L'impasto di archi e ottoni dev'essere avvolgente e l'agogica asciutta, mai slabbrata.

245) La regione del primo quartetto di Brahms e quella del primo di Schoenberg

E' contigua (nonostante il periodo cronologico fenomenico e l'”etichetta” storico-musicale siano diversi).
La differenza in termini fenomenologici sembra risiedere nel fatto che mentre nel caso di Brahms (brani laterali) vi è un gruppo indigeno che s'accapiglia oltre misura, nel caso di Schoenberg vi è un gruppo che s'accapiglia un po' meno, ma si tratta di stranieri.
Tale è la rappresentanza regionale.

246) Il motivo della coda dell'ultimo movimento della Quarta di Brahms

Qui le chiavi devono essere forgiate con precisione.
Troppo facile è farlo scadere in una tranquilla melodia fuori luogo, come di uno che continua a cantare sotto le bombe, perché non ha capito la gravità della situazione.
Né dev'essere un lirico rilassarsi, che affosserebbe l'energia della stretta finale.
Per preparare tale stretta, il motivo dev'essere premonitore, come lo erano i voli degli uccelli nell'antichità; e proprio del passaggio di un uccello deve trattarsi: sorprendente nella sua grazia nostalgica, apparentemente fuori luogo rispetto alla tempesta, ma in realtà premonitore della feroce stretta finale.

247) Il finale del primo movimento della sesta di Ciaikovsky

Qui si hanno – a livello fenomenico - due moti , uno parzialmente ascendente che è la linea melodica e uno discendente che è la linea ritmica.
La rappresentanza regionale resta sospesa a mezz'aria.
Apre – come le scatole cinesi – una porta nella porta.

248) Aspetti ritmici dell'ultimo movimento della quarta di Brahms

Si tratta di precisazioni isteriche.
Puntualizzazioni gridate.
La chiave (ampiamente posseduta da Abbado) consiste nell'amplificare al massimo la loro capacità retorica, lasciandole asciutte e strette a livello agogico.

249) Le chiavi di Maazel

Penso soprattutto al concerto per violoncello di Saint-Saens.
Qui la sinuosità, la morbidezza, la sensualità, il colore e il calore del violoncello di Yo-Yo Ma sono perfettamente calibrati con il timbro e il fraseggio dell'orchestra.
Galante, leccato, superficiale?
So solo che – attraverso l'”etichetta” - Maazel entra nella porta.

250) L'importanza storica (geografica) del secondo e terzo movimento del secondo quartetto per archi di Schoenberg

In termini fenomenici, si tratta di due movimenti mahleriani, disperati, che segnano l'ultimo atto dell'umanesimo visibile nella storia della musica: ultimo atto in quanto a partire dal terzo quartetto l'umanesimo – a sua protezione – sarà reso invisibile da Schoenberg, invertendo i segni del linguaggio, come in un codice segreto dei sentimenti che non deve essere scoperto dai nazisti (per evitare la strumentalizzazione del sentimento e il suo utilizzo a fini propagandistici di regime).
A livello fenomenologico, si tratta di una moglie/madre (il soprano, scelta tecnica originale per un quartetto) che piange o teme la morte di suo figlio/marito.
E' un passaggio storico a livello fenomenico (l'ultimo affido dei sentimenti alla melodia, prima dei successivi, aggrovigliati quartetti in cui tutto è nascosto) e geografico a livello fenomenologico, in termini di universo parallelo (le due regioni – quella dei due movimenti finali di questo quartetto e quella dei due quartetti successivi, sono in realtà contigue, solo che la seconda è separata dalla prima da un burrone).
Postilla: inutile dire che Boulez, nel suo celebre saggio “Schoenberg è morto” era adirato perché voleva smascherare precisamente il romanticismo che era stato nascosto da Schoenberg nell'atonalità prima e nella dodecafonia poi (per Boulez la freddezza, non il sentimento, era garanzia unica di libertà).

251) Importanza

La preoccupazione è giustificata.
Il padre-marito-figlio è morto in guerra e la madre-moglie-figlia muore di dolore.
L'espressione fenomenologica della realtà tragica (rappresentanza regionale del tragico) è bellezza e verità.
Nulla – nell'espressionismo musicale – è contro-propaganda che strumentalizza la musica per scopi altri da sé (fossero pure quelli, nobili, della denuncia sociale e umanitaria), ma bensì è l'espressione estetica fenomenologica del dolore e del tragico nella sua pura bellezza (l'aspetto umano) che è riuscito a rappresentarsi con le opere degli autori espressionisti.

252) Cieli gelidi

L'interpretazione di Celibidache del movimento lento dell'Italiana di Mendelssohn.
La ieraticità: chiave centrata, porta aperta (anche nel mondo parallelo vi sono chiese e templi).
Gelido, cristallizzato il cielo: non tira un alito di vento per permettere al miniaturista di sistemare tutti i dettagli del presepe senza che un solo dettaglio vada fuori posto.

253) Abbado e il sacro Pergolesi

Stabat Mater, Abbado, Berliner, 1968. soprano Gundula Janowitz.
Grazie al cesello del fraseggio superbo, il bassorilievo si anima, si possono vedere figure in lontananza che si avvicinano, gruppi danteschi di narratore e ascoltatore (qualcosa è successo, sta succedendo).
E – prima che siamo giunti alla fine del brano – abbiamo passato almeno due stagioni: all'inizio era estate e siamo finiti dritti nella notte di Natale.

254) Concerto per flauto in sol maggiore n. 161 di Quantz-Galway

La chiave è il miele, l'oro, il canto.
La rappresentanza regionale sono i giardini fioriti, gli allegri drammatici (Sturm Und Drang: bisogna andare a fare qualcosa) e l'incredibile adagio.
Qui siamo in un negozio di tappeti, con luci e suoni soffusi (fuori è sera) e in un angolo vediamo uno che fa un buco enorme a un tappeto: squarcia il velo di Maya, tridimensionalizza e attraversa la storia della musica dei libri e raggiunge il romanticismo musicale.

255) Nave con murales

Come una  nave in partenza da un piccolo porto festoso per raggiungere un isolotto talmente vicino che forse si può raggiungere anche a nuoto.
Sulla fiancata della nave sono dipinti dei murales molto colorati.
Tale è la rappresentanza regionale del primo concerto per pianoforte di Prokofiev; i riferimenti fenomenici alla piccolezza hanno forse riscontro nella brevità del concerto (denunciata da Rattalino) e il riferimento alla nave è dettato dal suono come di sirena di una nave che chiude il concerto.

256) In autunno

In generale, la rappresentanza regionale dei concerti per pianoforte di Prokofiev è uno in una stanza in penombra, con le veneziane abbassate: fuori sta succedendo qualcosa, dentro c'è quiete, ombra e fresco. Fenomenicamente potrebbe essere la morte, o un sonnellino di un bambino nella camera della nonna, tanti anni fa.
L'incipit del secondo concerto per pianoforte è invece una passeggiata al rallentatore in una via moderatamente assolata d'autunno, quando si tirano su molte foglie secche camminando.
Il finale a sorpresa del primo movimento è la trasformazione di questo movimento umano in un meccanismo che s'inceppa (volutamente sciocche ripetizioni ritmiche del pianoforte, a livello fenomenico), fino all'arrivo della nave da guerra che certamente chiude un capitolo e ne apre un altro.

257) Laguna blu

Il caso vuole che il titolo di questo film per adolescenti (non è necessariamente un sottogenere) sia la rappresentanza regionale del secondo tema del primo movimento del primo concerto per pianoforte di Brahms.
La profondità raggiunta dal pianoforte nell'enunciare il tema può riguardare un parco urbano.
La stagione è la primavera inoltrata.

258) Su una poltrona

Le sirene o i tutti con ottoni dei concerti per pianoforte di Prokofiev transitano nelle vicinanze delle regioni del mondo parallelo delle sinfonie di Shostakovich.
Tuttavia, la rappresentazione fenomenica del comporre, del mondo parallelo, potrebbe essere quella di un vecchio uomo su una poltrona, visto di spalle, con un quadro di fronte, negli anni '70 del 900.
Quell'uomo è morto, ma molto tempo dopo.

259) Scatole cinesi

Quanto sopra pone una questione.
Se anche aspetti fenomenici del comporre entrano a far parte del mondo parallelo, si pone il problema di quel che rimane nel mondo di qua.
E se quel che rimane può rientrare anch'esso nel mondo parallelo, sarà come con le scatole cinesi.

260) La questione dell'agogica

Nel mondo fenomenico (e ciò avrà ripercussioni, immagino, nel mondo parallelo), grande importanza ha la questione della tenuta agogica dei pianisti.
Secondo Gould il rubato tipico del modo di suonare il pianoforte di molti era un modo per mascherare una non perfetta padronanza tecnica dello strumento, mentre secondo altri, gli unici ad avere il vero senso del tempo sono proprio i pianisti, in quanto hanno sempre presenti la mano destra e la sinistra, il canto e l'accompagnamento, o le due voci che s'intrecciano polifonicamente, o la melodia e l'armonia, o il lirismo da un lato e il ritmo dall'altro.
Certo è che, specialmente nella musica barocca, niente mi ha mai dato più fastidio di un andamento libero e rapsodico, di un abuso del rubato, mentre invece ritengo giusto quanto sostiene a proposito del rubato Barenboim, che se non erro si può riassumere come segue: affinché il rubato funzioni, ogni volta che rubi qualcosa, la devi poi restituire entro la fine della frase.

261) La porta dei brani

Fin qui si è parlato della chiave degli interpreti (per entrare nel mondo parallelo), ma occorre affermare il medesimo concetto anche per la porta dei brani interpretati, ossia per l'attitudine dei brani a essere rappresentanza di porzioni del mondo parallelo.
Possiamo ipotizzare, analogamente a quanto abbiamo fatto per le interpretazioni, che non tutte le parti di un brano (e ciò vale per ogni brano di ogni autore di ogni tempo) siano porta per il mondo parallelo, ma bensì muro.
Il muro non va inteso come barriera respingente, ma come indispensabile supporto per le porte (senza muri, le porte non stanno in piedi): fenomenicamente, possiamo descrivere i muri come parti del linguaggio musicale – ridondanti – la cui funzione è di preparazione retorica ad un momento importante del brano stresso (come per esempio i “crescendo” sono la preparazione al “tutti”).

262) Possibili conseguenze e rifiuto

Quanto sopra implicherebbe un'evoluzione importante nella nostra teoria del mondo parallelo e cioè che non vi sarebbe – schematicamente – l'interprete che sta nel mondo fenomenico e il brano interpretato che è rappresentanza del mondo parallelo, ma bensì, l'interprete potrebbe stare sia nel mondo fenomenico, sia nel mondo parallelo (v. 258 “Su una poltrona”) e altresì il brano interpretato starebbe nel mondo parallelo, ma anche nel mondo fenomenico (i cosiddetti “muri” citati in 261, “La porta dei brani”).
Ciò porterebbe però ad un'impasse per quanto riguarda la nostra teoria, perché, se spogliamo i brani della loro natura solo di mondo parallelo, rischiamo di cadere in una teoria metafisica tradizionale, indipendente dalla musica (la musica diventerebbe ininfluente nella teoria, in quanto anche la musica si dividerebbe in una parte rappresentante dell'aldiquà e in una parte rappresentante dell'aldilà, in base a ragioni estrinseche alla musica stessa, cioè in base ad una vicinanza maggiore o minore rispetto ad una dimensione metafisica ulteriore).
Pertanto, conviene rifiutare, per il momento, quanto sostenuto in 261 e mantenere (esplorare) quanto affermato in 258: diversamente rischieremmo di ridurre quella che per alcuni potrà pure essere definita una “metafisica musicale” (la nostra teoria estetologica del mondo parallelo) ad una mera porzione della metafisica tradizionale.

263) L'esplorazione di 258

L'esplorazione di ciò cui allude 258 (e il contestuale rifiuto di 261) ci porta secondo me ad un'evoluzione esaltante della nostra teoria.
Se l'interprete entra nel mondo parallelo (il compositore entra nel mondo parallelo con tutta la sua poltrona mentre sta componendo), allora può darsi che piano piano, tutta la realtà fenomenica venga risucchiata dal mondo parallelo, come gli oggetti su un tappeto, che, tirando il tappeto, se ne vengono via anche loro.
Si pongono le premesse per l'ingresso dell'intera realtà nel mondo parallelo, attraverso la musica e quindi per un processo di poetizzazione di tutta la realtà.

264) Precisazione importante

Per “interprete”, in 258, 262 e 263, intendo “interprete del mondo parallelo”, non distinguendo tra interprete inteso come esecutore, strumentista, direttore d'orchestra, ecc..., e compositore.
Infatti – a rigor di termini – entrambi (l'interprete inteso come esecutore e l'interprete inteso come compositore) sono interpreti, cioè interpretano la realtà del mondo parallelo.
Quanto enunciato qui sopra spiega il rifiuto di 261, espresso in 262: il compositore è strumento di rappresentanza del mondo parallelo, pertanto non possono esservi parti fenomeniche nelle sue composizioni, ma è bensì sul piano fenomenologico del mondo parallelo che vanno spiegate le parti apparentemente ridondanti, chiamate “muri” in 261.

265) L'Andante della quarta sinfonia di Haydn

Qui siamo in una regione della pace e della tranquillità, vicina a quella dell'Aria sulla quarta corda di Bach.
Come del resto in tutte le prime sinfonie di Haydn, i cui movimenti intermedi contengono splendide serenate per archi che ricordano il mondo dei quartetti.
Quello splendido parco di una villa settecentesca (possibile coincidenza di luogo fenomenico e fenomenologico).

266) Il Minuetto e Trio della sinfonia n. 6 di Haydn (e anche della n. 7 e n. 8)

Il minuetto è meccanismo (sarà molto importante riprendere il discorso sul valore del meccanismo).
Il Trio è voce dall'altra stanza (qualcuno risponde dall'altra stanza).
La rappresentanza regionale, attraverso uno snodo danzante, è una regione boschiva,  territorio di caccia.

267) L'adagio cantabile della sinfonia n. 13 di Haydn

Qui vi è il diletto cello, collante del mondo.
La rappresentanza regionale è duplice (una forma di strabismo, forse, mi fa vedere come ducplice ciò che è molteplice).
Prima siamo in un negozio di mobili, poi in strada, lungo il marciapiede con a fianco il muro in lastroni di porfido della casa popolare (nel passato o nel futuro: messianesimo di periferia, forse, come suggerisce il ricordo di una lettura di Walter Benjamin).

268) L'importanza del meccanismo

Nelle sinfonie di Haydn.
Fenomenicamente, possiamo attribuirla al ritmo.
Il meccanismo ritmico potrebbe essere il cuore (il motore immobile, anzi, il cuore pulsante) del mondo parallelo: questo aprirebbe su basi fenomenologiche la disputa fenomenica cui si accennava all'inizio del libro, se cioè la musica tragga origine da un presunto canto senza tempo o da un ritmo danzante; le sinfonie di Haydn hanno come dato strutturale l'incorporamento del ritmo danzante.

269) Fioriture

Se nella musica, ad essere originario è il ritmo (cuore pulsante del mondo parallelo che rappresenta sé stesso nelle sinfonie di Haydn), allora la melodia è nata come abbellimento del ritmo.
Come la fioritura sul ramo dell'albero.
Il melos, secondo questa ipotesi, non esisterebbe senza il ritmo: quindi la musica non esisterebbe senza tempo; la centralità del tempo sarebbe in analogia con la definizione di musica come una delle forme del tempo; la definizione è di Borges che la desume da Schopenhauer (la definizione di Borges qualifica questa forma del tempo che è la musica, ma ora non ricordo che qualifica il poeta le assegna).

270) Diramazioni

A livello fenomenico, se credessimo all'evoluzionismo musicale di una pretesa storia della musica, criticata da Gould come “Sindrome di van Megeeren”, potremmo affermare che la sinfonia è centrale per la musica, la sinfonia nasce come ritmo, il padre della sinfonia è Haydn, da Haydn – o meglio dalle sue sinfonie che contengono il ritmo come fattore originario e la melodia come fioritura, o abbellimento del ritmo - si diramano (o meglio proseguono) due tradizioni: quella del melos puro che porta dritto a Mozart e quella del ritmo che porta dritto al Beethoven sinfonista (con apice  e punto di svolta storico-musicale nella terza).
Una bella schematizzazione di una diramazione imaginaria che però forse non ci dice molto, anche se a livello schematico funziona (tutto funziona sempre a livello schematico, dal momento che decidiamo noi che cosa mettere e che cosa omettere in ogni schema che creiamo e che lo schema rassicura sempre ogni spettatore sul fatto che “dietro questa spiegazione c'è una logica”, anche quando non c'è nulla da spiegare e anche quando la logica schematica con cui si spiega tale nulla si fonda su grossolani errori logici: lo schema è la quintessenza del meccanismo di difesa inconscio della razionalizzazione).
A livello fenomenologico, per ora accontentiamoci di dire che brani come il Minuetto e Trio della sinfonia n. 26 (in modo minore, con ritmo teso e vibrante) gravitano molto vicino al nucleo ritmico (meccanismo) – in quanto brani Sturm Und Drang: e poi dovremo anche dire perché i brani Sturm Und Drang gravitano secondo noi vicino al nucleo – e che una delle caratteristiche del nucleo centrale dell'universo parallelo (il mecanismo haydniano) è il ritmo anche in quanto ripetizione (ripetizione ritmica come cuore pulsante originario).

271) Prende forma

La questione della forma sonata (ma anche delle forme di tuttti i tipi): è un'organizzazione cosciente di frammenti provenienti dal mondo parallelo, ma è in quei frammenti, più o meno saggiamente organizzati, che sta l'oro.
La forma sonata attesta anzi la teoria del mondo parallelo, nel momento in cui vuole riorganizzare materiale celeste secondo la trama del romanzo della vita di qua.
Uno dei primi esempi di tale organizzazione si ha nelle sinfonie di Haydn a partire dalla n. 36, con culmine nella bellissima, dramatica 39, ancora una volta porta nella porta (a livello fenomenologico) e punto di svolta trans-storico (a livello fenomenico): basti pensare che l'aria che si respira è la stessa della sinfonia n. 40 di Mozart (mi riferisco in particolare, come sempre, ai primi movimenti di ambedue).

272) L'importanza della forma sonata

Mi sono sempre chiesto il perché del fascino della forma sonata (quintessenza del meccanismo).
Proprio il calco, che può sembrare vano (“bitematica e tripartita”, ecc...) è ciò che giustifica il mondo parallelo.
Se le parti divine sono l'oro che viene dallo spazio, il fatto di incardinarle (imbrigliarle?) nella quotidianità, nella routine quotidiana della forma detta forma sonata, definisce la felicità (l'infinita bellezza del mondo parallelo, per altro così simile al nostro) come segue: la celestiale profondità che prende vita nel quotidiano (che coincide con il quotidiano); altrimenti, possiamo anche definire le perle dell'ispirazione come persone e lo stampo della forma sonata come gli oggetti del nostro quotidiano.

273) Sturm Und Drang e forma sonata

Nelle sinfonie dalla 42 alla 45 di Haydn, abbiamo il noto corridoio di foglie autunnali.
Questa regione è vicina a quella – altrettanto nota – degli omologhi quartetti.
Non siamo distanti, chilometricamente, dall'incipit del secondo concerto per pianoforte di Prokofiev.

274) 49 e 52

Le due sinfonie di Haydn 49 e 52 sono tra le più febbrili e tutti citano a tal proposito lo Sturm Und Drang, come se si trattasse di un periodo passeggero (una febbre), mentre invece è la rappresentanza di una zona (il che non esclude che prima e dopo la composizione di tali sinfonie la cui rappresentanza regionale è quella zona, il compositore sia stato ispirato dalla rappresentanza regionale di altre zone).
Una domanda fenomenica al riguardo potrebbe essere: per Haydn fu solo una posa? (Cioè, egli in realtà non fu mai febbrile, seguiva una moda del tempo, o una febbre che era nell'aria in alcuni, pochi anni, della seconda metà del '700?).
La domanda qui sopra ne sottointenderebbe un'altra (nostalgica, forse): come si fa ad abbandonare lo Sturm Und Drang dopo averlo trovato?

275) L'andante della sinfonia n. 60 di Haydn

Il motivo è così tipizzato da rappresentare una concentrazione vitale regionale tale da poter essere identificata con una persona o con uno stato.
La rappresentanza regionale è la convalescenza.
E' come intingere al mattino un biscotto in una tazza dopo una lunga malattia, quando ancora non si sa bene se quella sensazione strana che si prova di fronte alla normalità sia da attribuirsi alla guarigione o a un assaggio della morte.

276) Presto della sinfonia n. 60 di Haydn

Di tutti i motivi e movimenti citati ad esempio dello Sturm Und Drang, questo ne è a mio modesto parere la quintessenza.
Qui c'è qualcosa da prendere.
Perciò si corre febbrilmente.

277) Il Minuetto e Trio della sinfonia n. 57 di Haydn

Qu si ha quel colore dell'autunno ancora chiaro.
Le sere hanno luce a sufficienza.
Stiamo guardando la strada attraverso la vetrina di un negozio e il caldo svapora in quel profumo umido di fine estate.


278) Minuetto e trio della sinfonia n. 58 di Haydn

Qui, come spesso nel Minuetto e trio di Haydn (e su su fino a Beethoven) vi è uno splendido cambio di passo (scena) tra la A (minuetto) e la B (trio).
La rappresentanza regionale è l'uscita di casa d'inverno.
Dentro era caldo e luminoso e fuori è freddo e il grigio ci investe subito, ma non ci dispiace e andiamo.

279) Prevedibilità

Una delle caratteristiche del mondo parallelo è la prevedibilità, nel senso elogiativo di quotidianità che – come già i grandi scrittori del passato compresero – coincide con la felicità.
In tal senso la ripetizione del meccanismo è il versamente fenomenico (tecnico-stilistico) di cui si serve la rappresentanza regionale della porzione di mondo parallelo delle sinfonie haydniane.
Io immagino che il versante fenomenico felice sia stato aiutato dagli immensi, bellissimi parchi e giardini della reggia dove Haydn viveva, ospite dei suoi mecenati.

280) Ogni metafora è un luogo comune

Sull'andante della sinfonia n. 60 di Haydn, ancora c'è da dire che si sbuca da un cespuglio di rose.
Il meccanismo è quello del secondo movimento dell'ottava di Beethoven.
Entrambi conducono su di un piroscafo che salpa per il nuovo mondo nell''800, e più precisamente al secondo movimento della sinfonia n. 9 di Dvorak.

281) Lo scrittore ipnagogico e ipnopompico

E se noi riuscissimo a scrivere come quando immaginiamo, prima di dormire, senza un freno, senza un filo, con la sola, rigorosa logica delle immagini, delle sensazioni,  dei suoni, dei sapori e degli odori?
Se riuscissimo a creare come nella sensazione dal sapore benefico che ci dà il notro volto quando – a ragione – oltrepassiamo l'ora in cui ci svegliamo presto?
Se quel sapore fosse l'unica cosa esistente, né pensiero, né parola, né fatto, né atto, né coscienza, né incoscienza, magnifico portento?

282) Il primo movimento della sinfonia n. 72 di Haydn

RR= (la rappresentanza regionale è): scale mobili a scendere e a salire in un ampio negozio di lampadari.
Oppure (RRA= rappresentanza regionale ambivalente): la casetta dei bambini da cui si entra ed esce, in quanto tana, nascondiglio, ecc...
Oppure (RRP= rappresentanza regionale polivalente): il gioco del nascondiglio in soffitta, in un cottage in cima a una salita in mezzo al bosco. (La soffitta è la rappresentanza regionale del Flauto magico di Mozart).

283) Primo movimento della sinfonia n. 80 di Haydn

C'è qualcosa che cola, o che pende, semisolido, da una grondaia grigia.
L'aria è fresca e il cielo terso.
La RR è una sensazione.

284) Sillogismo

La RR è sempre una sensazione.
La sensazione è sempre una RR.
(RR= sensazione)
La RR è imortale.
Pertanto, qualunque sensazione è imortale.
(Si tratta forse della verità ultima, nascosta, citata nella premessa?).

285) L'ultimo movimento del concerto per flauto di Pergolesi

Si tratta di scendere e salire dalle scale in ferro.
Ciò ha a che vedere con un gioco di cowboy.
Non si tratta di un soppalco: le scale, le assi in legno che fanno da libreria, sono uno spazio sconfinato (giù c'è il vuoto, la città illuminata da lontano).

286) Il secondo movimento della sinfonia n. 76 di Haydn

La rappresentanza regionale è un'insistenza esasperata.
Dopo l'ennesimo errore.
Il rimprovero continua mentre si sta pattinando sul ghiaccio.

287) La quintessenza del meccanismo

E' l'allegretto della sinfonia n. 82 di Haydn.
Qui la ripetizione vi gioca un ruolo particolare, insieme al manierismo del motivo melodico.
La R.R. È un gioco in cui tutte le miniature si muovono sincronicamente.

288) L'essenza schilleriana della forma sonata

Portata al suo apice da Beethoven, questo principio di carattere schilleriano è inaugurato da Haydn.
Si tratta di uno spirito volto a coniugare il massimo di libertà con il massimo di sistema (come le anime belle sdi Schiller, appunto, che sono virtuose lieramente, senza esservi costrette).
Se ne può notare un esempio nel primo movimento della sinfonia n. 87.

289) Maggiore e minore

Uno degli strumenti espressivi – lato fenomenico – per esprimere la libertà all'interno dello spirito di sistema è l'utilizzo del modo minore nello sviluppo (e nel trio, sezione centrale del rondeau minuetto).
Haydn lo utilizza in modo potente nelle sinfonie (all'inizio dello sviluppo il primo tema è presentato in modo minore).
Beethoven usò questo e altri segnali per significare il fatto che la ragione poteva organizzare il sentimento, secondo l'ideale schilleriano.

290) Ultimo movimento della sinfonia n. 89 di Haydn

Fenomenicamente: l'uso della sincope nella sezione B di un tradizionale minuetto,  usato in modo alquanto inusuale come forma dell'ultimo movimento (solitamente in forma sonata) rende tutto più frizzante.
Fenomenologicamente: la sezione B, con lo stacco non solo di modo (da maggiore a minore), ma anche di ritmo significa qualcosa di molto importante:
nei corridoi di un vecchio edificio abbandonato (è tardi ormai e sono andati tutti a casa) si sta scoprendo una verità ultima.

291) Il problema dell'incipit della sinfonia n. 88 di Haydn

Acciaccatura o appoggiatura per la prima nota?
Accento sulla prima (Bernstein) o sulla seconda nota (tutti gli altri direttori)?
Il dilema è un rovello incessante, perché la musica cambia completamente: è come avere ai piedi due scarpe diverse.

292) Rischio

Tra Mozart (canto) e Beethoven (ritmo), c'è il rischio di accentuare troppo, nell'interpretazione delle ultime sinfonie di Haydn, la componente beethoveniana.
Ciò perché la robustezza (volume sonoro complessivo e preponderanza dell'aspetto ritmico) inducono a vedere nell'ultimo Haydn un Beethoven ante litteram.
Secondo me invece è bene pensare al melos, senza spingere troppo sulla forza, come invece fa Bernstein (che inevitabilmente pensa a Beethoven in quanto è+ il centro della sua poetica interpretativa).

293) L'alba di un mattino di un giorno dal sole radioso

E' il finale (non il movimento intiero e nemmeno la coda, ma proprio le battute finali) della sinfonia n. 89 di Haydn.
Come ciò risulti evidente, nel passaggio da un'analisi fenomenica ad una fenomenologica, non è del tutto chiaro (“emerge” sarebbe forse il termine più adatto, se non richiamasse in modo troppo meccanico e smaccato la procedura fenomenologica husserliana).
Forse, per capirlo, serve complicare, anziché semplificare il discorso, e ciò si può fare aggiungendo qualcosa, cioè accennando ad altro: possiamo dire che questo finale è un pezzo, un lembo di paradiso del quale Mozart ci dà continui esempi, tramite le sue passeggiate nei giardini fioriti dell'eden, in cui senza soluzione di continuità e senza la concatenazione logica beethoveniana (la “ragione degli avvocati”, come ebbe a definirla il grande Jankelevitch), ma bensì tramite una successione che ha una logica del tipo “a vista” (vedo questo e poi più in là vedo quello e più in là qualcos'altro di diverso e di ancora più bello...), emerge il bello.

294) Organizzazione e Eden

Nelle ultime sinfonie di Haydn si percepiscono – con logica fenomenica a posteriori, quindi di valore solo suggestivo – le due diramazioni, Mozart e Beethoven insieme.
L'uno sceglierà Eden (nessun piano organizzato, ma successione di giardini fioriti), l'altro sceglierà l'organizzazione (devo mettere queste oasi in una logica concatenata).
Quale fosse l'anima prevalente di Haydn, non saprei.

295) Versante fenomenologico

Sul versante regionale (fenomenologico), possiamo far disendere da 294) che la regione di Haydn (la macroregione, meglio) si situa grosso modo, tra quella di Mozart e quella di Beethoven.
Non quindi, come la cronologia storica vorrebbe suggerire (e nonostante l precisazioni sull’evoluzione stilistica di Haydn e sulla lunghezza della sua vita di compositore, lo suggerisce ugulamente), prima di quella di Mozart e ancor più lontana da quella beethoveniana.
E’ proprio la regione estetica, non lo stile, ad essere intermedia e ad avere connotazioni estetiche un po’ dell’uno (Eden) e un po’ dell’altro (organizzazione concatenata logicamente).

296) La via della demenza

Fu davvero così, per Haydn?
Quali elementi vi contribuirono? Sembrerebbe infatti che la composizione e il contesto di parchi e ville bellissime non facilitassero la demenza.
Fu il cattivo rapporto con la moglie? I dispiaceri? Si potrebbe eventualmente  intuire qualcosa di questa presunta degenerazione cognitiva dai suoi ultimi brani? Sembrerebbe proprio di no.

297) L'andante della sinfonia n. 94 di Haydn

Altro cuore, forse ancor più famoso, del meccanismo.
Il procedere attraverso le variazioni lo rende unico e – probabilmente – il sentiero delle variazioni (di qualsiasi tema e variazioni di qualsiasi compositore di qualsiasi tempo) porta, come all'altro capo di un labirinto – nella medesima regione della “Follia”.
Di tutte le follie (Corelli, Handel, Rachmaninoff, Alessandro Scarlatti <Alessandro Scarlatti ne scrisse due, come attesta Roberto Zanetti, "La musica italiana nel settecento", in Storia della musica italiana da Sant'Ambrogio a noi, tomo secondo, p. 1105, ecc...) e di nessuna, ossia del tema originario e di tutte le sue possibili conseguenze, diramazioni ed evoluzioni.

298) Non offendere (2)

Nelle ultime sinfonie di Haydn, alla magniloquenza s'accompagna inevitabilmente un sentimento magmatico del brano, quasi tardoromantico.
In ciò, l'aspetto più aspro è l'alternanza continua fortissimo pianissimo (offendi-udito).
Quale discesa al miele, al confronto, i primi concerti per piano, tranquillo dialogo alternato tra strumento e piccolo gruppo orchestrale, perle cameristiche diafane, lisce, ragionevoli.

299) Don Giovanni

Nella bellissima aria del Don Giovanni mozartiano "Fin c'han dal vino”, nell'edizione di Giulini che tiene il tempo tenacemente ed adotta un accorgimento espressivo geniale (l'accelerando finale), emerge che Don Giovanni non è dominus, ma è agìto da una pulsione irrefrenabile.
Non conduce il gioco della seduzione, ma ne è condotto, non è un eroe, più o meno romantico, della libertà.

300) I concerti 20 e 21 di Mozart di Bernard Klee con Kempff

Non si tratta solo di valorizzare lo stile operistico di questi concerti, né solamente di renderne – magnificamente – l'aspetto “dilettantistico” della parte per pianoforte (virtuosistico, ma facile e un po' impacciato).
Qui c'è anche il colore di tutti quei suoni.
I profumi di quei sentieri boschivi di montagna.

301) Fu vera gloria? (Età fenomenica ed ingresso nella porta)

L'età fenomenica (in senso soggettivo, non anagrafica) ha il suo peso nell'ingresso della porta.
Il soggetto dentro non è più lo stesso (esteriormente può essere simile, ma cambiatissimo, viceversa esteriormente può essere cambiatissimo, ossia invecchiato, e invece dentro essere il medesimo).
Così Bernstein non entrava nella porta di “Francesca da Rimini” di Ciaikovsky da giovane, all'epoca della sua registrazione del brano, in cui risultava lento, impacciatissimo, e vi entrò invece da vecchio, nella sua ultima incisione dello stesso brano; caso analogo e opposto è quello di Giulini, che centrò in pieno la porta con il suo Don Giovanni giovanile e che nelle ultime incisioni (Brahms su tutti, ma non solo) mi ha sempre fatto venire sonno.

302) Pace e serenità

E' la rappresentanza regionale dei due “Adagio” dei due concerti per corno di Haydn.
Tutto si scioglie, tutto si risolve.
Mai il corno ebbe suono più dolce, sensibile eppure così distante dal corno romantico, che pure fu giustamente ritenuto (il corno in epoca romantica) lo strumento romantico par excellence.

303) I concerti per violoncello di Haydn

La R.R. È il mattino, e non la sera, come invece sarà nell'uso romantico del violoncello.
Importante è l'identificazione dell'orario diverso con due regioni diverse.
Nel mattino possiamo mettere il preromanticismo (il mattino già sveglio e operoso, non la fase del risveglio che è appannaggio dei romantici), mentre nella sera possiamo mettere tutto il romanticismo cameristico: testiamo sui brani tale distinzione fenomenologica regionale (orario diverso come regioni diverse, una preromantica e l'altra romantica) e verifichiamo se è vera.

304) Maggiore e minore

Questo possiamo pensare dell'alternanza tra modo maggiore e modo minore (lo stesso tema ha due facce).
Il modo maggiore potrebbe essere il velo di Maya di Schopenhauer, la realtà come istituzione, ciò che gli altri pensano di sé stessi.
Il modo minore è come noi vediamo gli altri, incuranti del freudiano “dato di realtà”, come bene esemplifica la vicinanza della morte: l'unica realtà è quella interiore.

305) Il passaggio come scoperta della verità

Il passaggio da maggiore a minore, la modulazione, potrebbero rappresentare il disvelamento della verità.
In tal senso, il maggiore è il velo di Maya di Schopenhauer, mentre il minore è la volontà schopenhaueriana.
Nel momento del disvelamento, si scopre la verità (questa metafora è la plenipotenziaria del mondo parallelo).

306) La romanza del terzo concerto per lira organizzata di Haydn

Forse il cuore del meccanismo sta qui, come del resto in tutti i concerti – bellissimi e sottovalutati – per lira organizzata.
Indimenticabile l'incisione di Rampal e Pierlot.
Sono brani luminosi, né classici, né rococò: qui forse vi è l'Haydn più vero.

307) Pace e bene

E' la R.R. Dela Missa in tempore belli di Haydn.
Così com'è e come dovrebbe essere tutta la musica sacra.
Pacificatrice, commemorativa, edificante.

308) La musica sacra in generale

Il motivo del fascino dello Stabat mater di Pergolesi sta nella vicinanza della morte?
Si tratta di un'amica morte? E' diverso dal Requiem di Verdi, ma è diverso anche da molta musica sacra rinascimentale (preghiera a Dio), o sacra del periodo classico, con grande organico orchestrale (celebrazione fastosa di Dio, come in Haydn).
Noi abbiamo confidenza con Dio o con la morte?

309) L'equivoco della tristezza

Il quintetto in sol minore di Mozart, la cavatina di Barbarina, il primo movimento della sinfonia n. 40 di Mozart non sono tristi.
Quel leggero sollevarsi da terra e, comodi come quando si era a terra, viaggiare vedendo dall'alto una serie di cose, tra le quali eventi concitati altrui, non è tristezza.
Poi si riatterra, sulla comoda poltrona, nel punto dove eravamo.

310) L'equivoco della durata

La durata in quanto bellezza dipende dall'armonia delle proporzioni e dalla lancinanza delle intuizioni, non dalla maggior durata in sé.
Cioè: non è più bello ciò che duradi più, ma ciò che manifesta proporzioni e intuizioni geniali, quale che sia la durata.
Così, la Cavatina di Barbarina non è meno bella del primo movimento della nona sinfonia di Beethoven.

311) L'inizio della Creazione

Si trova nella stessa regione dell'inizio della Fantastique.
Roba da non credervi.
Abbiamo visto cestoni pieni di pupazzi e dopo aver ingerito il noto sonnifero, iniziano e visioni distorte della donna amata: alla faccia della storia della musica che vorrebbe le due composizioni divergenti quant'altre mai per stile, epoca, ecc...

312) Portato e intenzione

Se nell'Empfindsamer Stil ravvisiamo il portato e nella musica romantica l'intenzione, verrebbe fatto di decretare la superiorità del primo sulla seconda.
Il portato è la naturale ricaduta dell'azione quotidiana, come tale non intenzionale, né involontaria, in quanto già dentro.
Se tale azione è rappresentata, anziché vissuta, avremo il romanticismo musicale nella sua accezione storico-ideologica, di cui gli autori divenivano preda nella rappresentazione che essi avevano di loro stessi e del loro operato: ma non di quello, bensì necessariamente di altro, parlava la loro musica; la musica è sempre aldilà o al di qua dell'intenzione.

312) Sentire e vedere

Come Heidegger preconizzò in Essere e tempo nel 1927, il predominio della visione è diventato totale.
Prevale sul sentire, con l'implicazione che la curiosità prevale sul senso interno.
Quel senso interno che, come abbiamo accertato in queste pagine, costituisce invece la verità ultima.

313) Nebbia in una mattina domenicale d'inverno

= R.R. “Infedeltà delusa” di Haydn = R.R. “Il dissoluto punito” (Don Giovanni) di Mozart.
La storia delle infedeltà deluse e dei dissoluti puniti è un classico del melodramma ottocentesco.
Non credo che i compositori vi aderissero ideologicamente, ma penso che si trattasse di un tipo di libretto di maniera che andava di moda all'epoca: la convergenza nella stessa regione, ariosa, lirica, estremamente gioiosa ha come versante fenomenologico dal lato dell'interprete alcune sessioni di prove orchestrali, viste in bianco e nero, con Giulini, alcune domeniche mattina d'inverno (cfr. l'immaginazione fenomenologica della poltrona, già vista, con il compositore sopra: poltrona con compositore sopra sono dentro il mondo parallelo).

314) Chi s'impaccia di moglie cittadina

Questa lunga e bellissima aria dall'Infedeltà delusa di Haydn ricorda i momenti più belli delle arie luminose di Mozart.
Sole che può essere pallido e mattutino, ma che intorno a mezzogiorno scalda.
E l'odore di una trattoria dove probabilmente non entreremo.

315) Altre precisazioni isteriche

La coda dell'ultimo movimento dell'Appassionata di Beethoven, un galop,  veniva definita (cito a memoria) da Gould come quel genere di brano in cui il virtuoso di razza riesce a strappare gli applausi del pubblico anhe in una delle sue serate più deludenti (a causa della sua connotazione di esaltazione, rifiutata da Gould).
D'altro canto, credo si tratti di precisazioni isteriche, al pari della coda dell'ultimo movimento della quarta di Brahms.
Se l'andamento viene mantenuto in modo pignolo, quasi pedante, e si insiste sulla precisione degli arpeggi, ecco che il brano assume quella connotazione regionale di puntualizzazione isterica.

316) La pelle e la progressione

La progressione del pianoforte nel primo movimento del secondo concerto di Brahms equivale, come la coda dell'appassionata e i passaggi del tutti orchestrale dell'ultimo movimento della Quarta, a una puntualizzazione isterica.
Potremmo definire questo come l'aspetto idiosincratico (psicosomatico) dell'interpretazione-ri-creazione atistica, ciò che permette a qualcuno di avere la chiave di accesso alla regione estetica di quel particolare brano e  qualcuno un po' meno (non esistono chiavi completamente sbagliate, anche se non è vero che “ogni accesso è un modo di possedere l'opera” come sostenuto da Eco e riportato da Zurletti).
Così ad esempio Zimerman ignora la puntualizzazione della progressione del secondo concerto e Pollini la fotografa per amplificarla, ma vedendola da lontano, quale aspetto culturale (in ciò in sintonia con un aspetto della direzione di Abbado messo in luce da Zurletti e con una connotazione umanistica, come messo in luce da Rattalino): la precisazione idiosincratica  dei passaggi strumentali-orchestrali rappresenta la pelle quale interfaccia io-mondo di schopenhaueriana memoria e costituisce il momento in cui – sulla soglia del mondo parallelo – si decide se riusciamo ad entrare dalla porta nascosta o se sbatteremo contro il muro (come in alcuni episodi del telefilm Star Trek serie classica).

317) L'incredibile op. 9 di Haydn

All'improvviso, entrando e uscendo da una porta girevole, ci ritroviamo sbalzati nell'autunno.
A fianco a noi c'è un muretto dal quale si vedono alberi dall'altro lato, e foglie che cadono.
Il cielo è diafano e il marciapiede grigio.

318) Il mistero dell'Op. 9

Io non so se questa sia stata qualcosa di particolare.
Non vi è che l'idea platonica, ma è vissuta.
E' una cosa mai vissuta, ma è la quotidianità

319) Il mistero dell'Op. 9 (2)

Il mistero dell'Op. 9 riguarda la vita.
Poiché non pare esservi nulla oltre l'Op. 9, nulla che non sia compreso, in particolare, dal primo movimento del primo quartetto, nulla che non sia descritto, nessuna verità più ultima, nessuna scena più profonda.
Non si capisce perché, dopo, Haydn abbia continuato a comporre e come abbia potuto comporre ciò che ha composto dopo aver composto l'Op. 9 e non prima (possiamo pensare a una regressione).

320) L'ultimo movimento del quartetto n. 4, Op. 33

Apparentemente è un minuetto dalla normale forma  A B A C A.
Solo che nell'episodio C si trascende.
Si apre qualcosa di imprevisto, e a nulla vale il grazioso finale pizzicato, per mascherare lo squarcio sul velo.

321) Il divenire di una perpetua fioritura

= R.R. Andante del quartetto per archi n. 2, Op. 77 di Haydn.
Si tratta dell'albero del vicino.
La cui fragranza giunge fin qui.

322) Broccato

= R.R. Finale quartetto di Haydn n. 1, Op. 74.
Trame di lusso intessute finemente.
Arzigogolo della bellezza.

323) Caracollano

= R.R. Finale quartetto di Haydn n. 3 O. 74.
Forse sono obbligati a giocare.
Di qui la drammaticità.

324) Orizzonti regionali

Delle regioni possiamo dire che esse potrebbero essere tacciate di finitudine.
Ma sono infiniti gli orizzonti attorno.
Come da noi, del resto.

325) Finalmente dolenzia (secondo movimento del quartetto op. 20, n. 5)

Nonostante il girarci intorno, si arriva lì.
Quella è la regione della dolenzia, dell'Op. 9, della pioggia, del cielo diafano, del muretto, del marciapiede grigio e della porta girevole, dell'autunno e del viale lastricato di foglie, quella dei palazzi grigi, dei cortili, delle periferie (mi riferisco alla sezione A del minuetto).
Non so se Sturm Und Drang sia il giusto termine o se sia restrittivo.

326) Quesiti di storia della musica

Mentre nell'Empfindsamer Still – a differenza che nell'età barocca della teoria degli affetti - le emozioni (modulazioni) si susseguono all'interno dello stesso tema, con Haydn inizia una partizione netta tra sezioni in modo minore e sezioni in modo maggiore.
Beethoven applicherà in modo inesorabile questo spirito di sistema che finirà per fare impuntare Brahms e che sarà rotto dai romantici (aspirazione all'eliminazione della forma).
Mozart naviga in acque sue, non essendo fedele in modo esclusivo ad alcun calco, ma bensì adottando il calco quale canovaccio.
327) Un altro autunno

Molto slanciato, quasi frettoloso (non posso starti a sentire adesso, devo fare una cosa):
sicuramente Sturm Und Drang.
= R.R. Primo movimento del quartetto n. 4, op. 17 di Haydn.

328) Le Ultime Sette Parole di Gesù sulla Croce

(M.f.= mondo fenomenico): in questa, che è forse una delle più belle composizioni di Haydn, gli stretti limiti imposti dalla commissione esaltano la potenza espressiva dell'Autore.
(M.F.= mondo fenomenologico, o parallelo): vi è terra arida, secca ed è quella dove accadono le cose più stupefacenti.
La mia versione preferita è quella originale con spiegazione della voce recitante, meglio se in lingua originale, in quanto meno comprensibile.

329) Arpeggione

La sonata Arpeggione di Schubert è il cuore del romanticismo notturno.
Si sta sicuramente andando nella notte, molto veloci.
Più verso qualcosa che via da qualcosa (cfr. invece il “moto da” la villa, verso la campagna di Schumann).

330) Discorsi articolati a margine di una festa

= R.R. Primo movimento del quartetto op. 55, n. 1 di Haydn.
La regione è insolitamente vicina a quella dei più luminosi quartetti di Beethoven e alla Suite lirica di Berg.
Sole, forse d'inverno, unito a molta lucidità.

331) La sonata della sete di Haydn

La quinta delle sette ultime parole di Gesù sulla croce è la mia preferita.
Note ribattute, insistenti (fantasia della pioggia, allucinazione forse).
E il sottofondo è appunto di terra arida.

332) Un buco nero nell'universo parallelo

Sono i trii per pianoforte di Haydn.
Dimensione romantica par excellence ante litteram.
Temi ben definiti, sviluppati in intreccio, un genere unico, bellissimo (ovunque dimensione della quotidianità molto lirica e alta).

333) Gli stupefacenti trii per flauto e piano di Haydn

Qui siamo veramente in una regione in perfetto equilibrio tra la forma sonata, piena e non ancora ideologizzata, la vena melodica netta (il meglio di Haydn) e l'Empfindsamer Still, con il suo intimismo inteso in senso alto.
Il meglio di Haydn.
R.R. = un balcone colorato – visto da lontano e dal quale si può vedere tutto.

334) Splendido meccanismo

= R.R. Trio numero 16 di Haydn, primo movimento.
Secondo movimento: un androne scuro colore amaranto dove si trova la verità.
Terzo movimento: frenesia e cura, ma balconi al sole, in lontananza.

335) Abbondanza

Ho definito “buco nero” i trii di Haydn perché, in particolare quelli per flauto, costituiscono secondo me un dislivello regionale strepitoso, quasi un mondo parallelo nel mondo parallelo.
Vi è abbondanza di tutto, come ho già accennato: meccanismo, forma sonata, modulazioni, motivi melodici unici, intimismo.
Soprattutto quest'ultimo tratto mi fa considerare i trii come chiave privilegiata di accesso alla verità ultima (sua rappresentanza).

336) Far capire quando inizia lo sviluppo

Vi è uno stacco che non va sottaciuto, ma anzi sottolineato.
Lo sviluppo è l'esplorazione di una terra incognita.
Ciò che prima era familiare non lo è più (spaesamento, straniamento, perturbante): altrimenti perde il suo fascino.

337) Il “Vivace assai” del trio n. 16 di Haydn

Fenomenico e fenomenologico qui coincidono.
La danza come espressione esteriore della bellezza in movimento (la grazia secondo Lessing), qui chiamata “versante fenomenico”, coincide con l'espressione interiore del sentimento (aspirazione di genesi romantica riferita all'arte in generale e soprattutto alla musica in quanto è l'arte più indefinita e quindi infinita), qui  chiamata “versante fenomenologico” (o del mondo parallelo).
Soprattutto lo stacco dalla sezione A alla B del Rondeau costituisce un “passaggio attraverso” (entriamo in una galleria di mondo parallelo mentre stiamo percorrendo una strada di “mondo di qua”).

338) Trio per piano con violino n. 13 di Haydn

Qui siamo nelle stesse regioni mozartiane dei movimenti lenti dei concerti per pianoforte.
Vi è un giardino fiorito, un posto dove si è e uno dove si va, il sole giallo, aria tiepida, buoni profumi nell'aria.
E una compagnia di persone che sono già dentro e non sono individui in relazione e nemmeno un  gruppo.

339) Precisazioni

L'oggetto di 338 è il primo movimento.
Qui abbiamo un tema e variazioni in cui il noto intreccio tra violoncello e pianoforte dà luogo al sole giallo e a quel giardino da cui si va e si viene, ma che è anche sosta e memoria di sé stesso.
Vi è il mito e il racconto del mito che è coevo al mito stesso (abolizione del tempo che scorre, cioè dell'hic et nunc, equivale a nunc stans).

340) L'importanza della sincope

La sincope è uno iato (salto, stacco, dislivello) spaziotemorale nel mondo parallelo.
A differenza del mondo geografico di qua (o forse similmente) tali iati sono possibili e sempre presenti nel mondo parallelo (se credessimo in una corrispondenza emotiva tra il mondo parallelo e quello dell'interiorità, imposteremmo una contrapposizione tra interiorità e oggettività, tra ragione e sentimento, che però è stata già smentita dalla scienza del '900).
Tale è la R.R. del  primo movimento del trio HOB XV:19 di Haydn che – insolitamente e significativamente  per un primo movimento - non è in forma sonata, ma in forma di tema e  variazioni.

341) L'importanza dei balconi

Il balcone domina, condivide, gioisce, è illuminato e luminoso ed è un piccolo buco nero nel mondo parallelo, dal momento che anche nei balconi del mondo di qua è chiaro che siamo già tutti dentro.
Tale è l'impressione – a livello letterario – dei balconi di Kafka, come quello del colloquio con lo studente e quello di Brunelda in Amerika.
Tale è anche la R.R., per esempio, del secondo movimento del concerto per flauto di Pergolesi (i movimenti lenti dei concerti del periodo Barocco della storia della musica fenomenica sono spesso balconi, e tramite la poltrona sono trasportati anch'essi, con la loro fenomenicità storicistica, nel mondo parallelo, con il risultato finale della poetizzazione del mondo).

342) L'insostenibile ritmo del finale del trio Hob XV:23 di Haydn

Qui si crea una discrasia anche se formalmente il ritmo è del tutto privo di irregolarità.
Anche per me che ho buon orecchio per il ritmo non è stato possibile comprendere il ritmo (¾ con incipit in levare), se non andando a verificare lo spartito.
Ed è questa la forza di questo semplice, incredibile brano.

343) Casa spartitraffico

= R.R. Primo movimento del trio Hob XV:21.
V. note ribattute (macchine) su cui si staglia l'arco di note della mano destra (casa).
Vedi meccanismo poetico.

344) Empfindsammer Still e Sturm Und Drang

Il primo è più vario nell'invenzione e utilizzo di mezzi espressivi (ma anche nell'imbarazzo sulla loro scelta).
Il secondo è più deciso e preciso e identifica pressoché una sola regione estetica (l'autunno agitato e mitico: questa è la sua forza e il suo limite).
Entrambi sono tra le più belle età di mezzo della storia della musica fenomenica.

345) I presentimenti (vaticini) delle code di Brahms

Così nel finale della quarta (cfr. supra) ed anche nel finale del quintetto con pianoforte.
Ciò significa che quella regione del mondo parallelo sceglie di esprimersi attraverso Brahms, oppure forse invece che Brahms ha esplorato quella regione?
La risposta sta nella poltrona, in quanto egli proviene da quella regione e detta al proprio io fenomenico l'aura e i dettagli di quella regione dal sogno, che è canale di comunicazione tra noi e il mondo parallelo.

346) Come in un sogno

Come in un sogno, vengono dettati i brani regionali al compositore.
Non necessariamente nel sogno mentre dorme, ma in quel sogno (barlumi, bagliori o frammenti del mondo di là) che ha luogo con l'ispirazione.
I meccanismi, le tecniche, lo stile, servono a dare un sostrato fenomenico alla trama del sogno.

347) Le vestigia fenomeniche dell'ispirazione

I resti della colazione, gli abiti in disordine;
la non rispettata fame, l'assillo del creditore;
un feretro, infine, e – al massimo – una targa d'ottone o una statua davanti ad un'istituzione bancaria.

348) La cartolina della perfetta forma sonata

In ciò consistendo sia l'apice di sé stessa come simbolo ideologico (che Beethoven porterà alle sue estreme conseguenze), sia il seme della sua fine (che arriverà circa due secoli dopo nella storia della musica fenomenica).
E' cioè tutto troppo bello e ordinato per essere vero.
= R.R. Trio Hob XV:27 di Haydn.

349) Un anacronismo

La spiegazione del profumo di decadenza ante litteram di cui al 348) risiede – fenomenicamente, ossia tecnicamente – nel motivo assai orecchiabile e vagamente nostalgico del primo tema e nello sviluppo così breve e così lontano.
Nei trii di Haydn in generale, il fatto che lo sviluppo si trovi in terre così lontane e per così brevi momenti costituisce il culmine dell'esotismo che solo Beethoven e  - molto più tardi – Mahler sapranno eguagliare.
In ciò è svelato un meccanismo interno alla forma sonata, ossia il teletrasporto, che la rende così affascinante.

350) L'avventura dei romantici

Prendo ad esempio il trio Hob XV:27 di Haydn per illustrare la perfezione edenica, ma anche gli angusti limiti della forma sonata da cui i romantici cercarono di sfuggire.
Contenuto senza forma, o rottura della forma come espressione massima di libertà di espressione interiore, furono i loro idoli.
Vi riuscirono solo con forme imperfette, che in quanto tali erano e sono poetizzabili, cioè alludono ad altro, ad un mondo aperto.

351) la via nordica e quella mediterranea alla verità

Abbiamo notato l'ultimo movimento della Undine di Reinecke (via nordica).
Altrettanto dobbiamo fare per la suite delle melodie della Carmen di Bizet e per la Danza delle ore di Ponchielli (via mediterranea).
Al centro c'è probabilmente uno scrigno con più meccanismi (haydniani senz'altro e di altri autori e regioni) e all'interno dell'ultimo meccanismo vi è una poltrona (non sappiamo se la poltrona è anche una porta, stante la possibilità teorica di ridurre a significante ogni significato, ma al momento abbiamo scartato tale ipotesi).

352) La via mediterranea a Bach: risoluzione di un paradosso e non coincidenza della geografia fenomenica con quella fenomenologica

Per l'importanza della via mediterranea a Bach, si ascoltino i concerti brandeburghesi diretti dal latino Pablo Casals.
Ciò spiega la seconda parte del titolo (non coincidenza della geografia fenomenica, ossia del mondo di qua, che vorrebbe Bach, in quanto di origini nordiche, sulla via nordica alla verità, con quella fenomenologica, ossia del mondo parallelo, in cui è evidente l'aspetto mediterraneo dei concerti brandeburghesi (se non fosse vera tale non coincidenza, a nulla sarebbe valso lo studio e l'intento dell'Autore di scrivere appunto concerti in vari stili di tipo mediterraneo).
La risoluzione del paradosso, introdotto più sopra in questo libro con l'esempio del “freddo” Karajan che dirige il passionale Ciaikovsky meglio del “caldo” Bernstein, sta nel Deus ex machina, cioè nel concetto più volte enunciato di meccanismo, grazie al quale ciò che sembra più esterno e meno conforme al nostro essere fenomenico, ci proviene proprio dal mondo parallelo e costituisce la verità (in termini fenomenici: l'ispirazione giusta per la corretta interpretazione del brano che andiamo ad eseguire).

353) Regioni a differente densità estetica

Così per esempio, nel passaggio dai trii con pianoforte di Haydn ai lavori per liuto e archi: alcune regioni sono più rarefatte.
Tale è anche il motivo del fascino del genere “tema e variazioni”, dove un tema solitamente rarefatto, o comunque semplice, viene sottoposto a complicazioni e addensamenti progressivi fino a esserne stravolto nella fisionomia.
Se assumiamo l'ipotesi dell'analogia con la densità di popolazione, per regione a maggiore densità estetica possiamo definire quella in cui è maggiormente presente l'elemento umano, mentre le regioni a minore densità estetica sono meno fitte (dobbiamo includere nel concetto di densità anche i boschi non umanizzati, ma bensì appunto fitti, come quelli del boscaiolo di Schumann e Schubert, perché là l'esser fitto del bosco rimanda alla falsa antinomia uomo-natura, esaltata dai romantici come quintessenza del dramma umano).

354) La non intenzionalità come principio di una corretta interpretazione

Se è vera la tesi del mondo parallelo, allora le interpretazioni-esecuzioni-ispirazioni vengono all'interprete quale Deus ex machina, da un meccanismo esterno (sul concetto di meccanismo già si è detto), tale per cui non sembra che l'esecutore lo voglia.
Ciò ha a che vedere con una miriade di tracce culturali, una delle quali è il concetto di memoria involontaria di Henri Bergson.
E ciò spiega anche l'apparente paradosso degli opposti che si attraggono (p. es.: il freddo Karajan che dirige meglio del caldo Bernstein il caldo Ciaikovsky).

355) Una casa con le pareti di cristallo

E con la magnifica prerogativa della perfetta forma sonata.
= R.R. Concertino Hob XIV:12 di Haydn.
Il suono del secondo movimento ricorda molto i secondi movimenti dei concerti per clavicembalo e archi di J.S. Bach (carillon a livello fenomenico che rimanda a un gazebo nella neve a livello di regione fenomenologica, come sopra ricordato).

356) Il mito della trasparenza e i suoi antipodi

Alla trasparenza della casa di Haydn (già casa dei primi movimenti dei concerti preromantici e di svariate arie del Don Giovanni di Mozart) s'apparenta il mito della villa.
La villa illuminata di sera è la casa dal paesaggio trasparente quando è sera.
A ciò si contrappone il mito dell'oscurità del bosco dei romantici.

357) Guglie e capitelli alla maniera di Handel

= finale concertino Hob XVIII:f2 di Haydn.
Non si raggiunge il demoniaco, ma vi sono numerose cadute e risalite nel tono compiacente.
L'impressione è di caramello, in cui però vi è celato l'osceno (l'osceno è l'uso improprio del meccanismo: ne è un fulgido esempio il genere “moto perpetuo”, in cui una melodia innocente viene degradata/innalzata/snaturata tramite la coazione a ripetere, spesso facendola sconfinare nel delirio di onnipotenza o nel cupio dissolvi).

358) Fauré

Jankelevitch ha mostrato le sfumature e le differenze di colore fenomenologico di alcuni grandi musicisti francesi che, a livello di storia della musica fenomenica, costituiscono una sorta di colonna alternativa al romanticismo tedesco.
Fauré è in una zona di rappresentanza regionale del mondo parallelo sicuramente di colore blu, con alcune bordature dorate.
A livello tridimensionale, è sicuramente nel negozio di tappeti con luce bassa e la sera fuori, e si trova nei paraggi dell'insegna al neon del territorio di ingresso del mondo parallelo, al di là del confine (dietro al bar di confine).

359) L'intimismo pianistico delle sonatine di Haydn per piano

Qui siamo in una regione d'oltreoceano.
In questo sono stati portatori di chiavi intimistico-quotidiane i pianisti di estrazione culturale non europea, come Gould e Perhaya.
In un certo senso, questo modo di concepire e suonare rimanda ad una situazione da piano bar con luci soffuse, non distante dalla zona di confine tra mondo parallelo e mondo di qua.

360) Una discesa

= R.R. Sonata per piano Hob XVI:41 di Haydn, primo movimento.
Frammenti di un mondo intimistico precipitano vorticosamente lungo il viale autunnale che porta a un piano bar da una trattoria che la domenica mattina dà su di un teatro.
Là, lungo la via del nord o quella mediterranea.

361) Un problema fenomenico diventa una chiave di accesso fenomenologica

L'assolo per flauto del finale dello scherzo del Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn è un moto perpetuo così lungo che anche un respiro profondo rischia di non bastare (si può usare la respirazione circolare che però crea un effetto non bello).
Prendendo a modello la naturalezza del canto bisogna risolvere il problema tecnico fenomenico di cui sopra tramite la realizzazione dell'obiettivo estetico, confidando nel fatto che risolvendo il dilemma estetico si risolverà anche il problema tecnico e viceversa.
Si può scegliere un andamento spedito, avendo come limite il fatto di avere attenzione a non sacrificare l'aspetto canoro e melodico espressivo: così si trova la risoluzione del problema tecnico e contemporaneamente la chiave di accesso al mondo parallelo per questo passo.

362) Il regno della forma sonata matura

= sonata per piano Hob XVI:33 di Haydn.
Nonostante il fatto che – livello fenomenico – sia stata composta nel cosiddetto periodo dello Sturm Und Drang (più precisamente nel 1771).
Ciò a riprova del fatto che la geostoria fenomenologica non corrisponde a quella fenomenica.

363) Il ritmo come inserto della verità

Se il ritmo è l'inserto della verità, allora la verità sta nel tempo e la sua scansione (il ritmo, appunto) ne costituisce la porta.
Poiché sono possibili infinite scansioni, ne deriva che gli accessi al mondo parallelo sono infiniti, ma devono essere ritmati.
Gli altri aspetti, melodico ed armonico, costituiscono la trama visibile degli accessi.

364) Il trionfo dell'inaspettato
Come nei ricordi involontari di Bergson, le regioni del mondo parallelo a più alta densità, cioè quelle il cui versante fenomenico offre maggiori porte, hanno un corrispettivo nell'andamento inaspettato del brano.
Ciò non nel senso della distruzione o superamento romantico della forma, ma nello scarto tra l'intenzione (la scena) manifesta della composizione e le “cadute” (aperture) espressive della stessa (intenzione inconscia, scena nascosta della composizione, per parafrasare Freud). Analoga posizione è attribuita da Carl Dahlhaus alla "teoria del formalismo russo" (Beethoven e il suo tempo, EDT 1990, p. 91, tit. orig. Ludwig van Beethoven und Seine Zeit, 1987, Laaber-Verlag, Laaber).
Né il magniloquente progetto supersinfonico tardoromantico, né l'intimismo esasperato dei primi romantici, né la forma sonata in sé e per sé, come previsto nel classicismo secondo la visione retrospettiva ottocentesca (in realtà l'unico a fare della forma sonata un'ideologia fu Beethoven) sono garanzie della maggior apertura di porte, ma bensì ciò che era a malapena nelle intenzioni del compositore, quando fu contagiato dall'ispirazione e se ne andò dalla porta con tutta la sua poltrona.

365) La pronuncia quale tema fenomenico che riflette una chiave interpretativa fenomenologica
La pronuncia, o dizione, nella voce come nello strumento (per il quale trova più spesso il nome di fraseggio) è di importanza fondamentale per l'interpretazione, come la pelle quale interfaccia tra io e mondo (così nello psicoanalista Anzieu, ma già prima di lui per il filosofo Schopenhauer).
La scelta, o posizione idiosincratica di una caratteristica personale a fine estetico, con la sua maggiore immediatezza o maggiore elaborazione, costituiscono un cardine interpretativo.
Così, per esempio, mi piacciono le dizioni elaborate e costruite di Pollini, ma in altre circostanze (altri passi musicali di altri brani e autori) vengono aperte più porte da un tipo di fraseggio più immediato e diretto come quelli di Perahia o Ashkenazy.

Epilogo

“Bizzarro, incomprensibile, noioso”. Sono solo alcune delle impressioni che forse si saranno ricavate dalla lettura di questo libro.
Può darsi, così come - d'altro canto - a chi l'ha scritto potrebbe venire in mente “unico, bellissimo, geniale, ecc...”.
Forse non sono vere né le une, né le altre, se intese come definizioni e invece, se intese come impressioni, sono vere entrambe.
Dopotutto, un libro è qualcosa di aperto, come la vita.

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