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Perahia e Michelangeli nel n. 15 di Mozart

Per Michelangeli il ritmo è una maniera, è un'esposizione di Art déco. Per Perahia è il centro di questo concerto. Per Michelangeli conta il timbro e la bellezza del suono. Per Perahia è il flusso alla Festival di Marlboro che conta.

Il manierismo di Michelangeli

 Nel manierismo di Michelangeli, la bellezza dell'esecuzione conta molto di più della bellezza del brano. Molto spesso (come avviene anche in Rampal ed in alcuni altri virtuosi del proprio strumento), Michelangeli suona molto meglio di quanto il brano che sta eseguendo meriti. Spingendosi ancora oltre nel tentativo di una definizione filosofica del manierismo interpretativo, si potrebbe anche affermare che nel manierismo non conta neanche l'ortodossia o l'originalità dell'interpretazione stessa, ma bensì la perfezione dell'involucro, dell'incartamento o impiattamento, ossia dell'esecuzione. La perfezione dell'esecuzione si fa evocazione di un mondo poetico essa stessa, non un è un mezzo per il raggiungimento di un fine estetico altro da sé.

Sempre il suono innanzitutto

La volutamente affettata pseudo-semplicità para-mozartiana con cui Michelangeli conduce l'esordio del pianoforte nel primo movimento del primo concerto di Beethoven, con Giulini sul podio, costituisce l'espressione di una provocatoria maniera, e già dalle prime acciaccature e poi dagli accordi durante la ripresa del tema principale del pianoforte al minuto 5,30, si nota qualcosa di strano e di sospetto, oltreché di inauditamente bello: Michelangeli fa risplendere le dissonanze date dalle acciaccature e da alcuni accordi, sicché si intuisce che la forma dei temi è solo una trama su cui egli intesse un preziosissimo broccato e damascato di grappoli di note belle come perle, e il suono diventa magicamente il regista incontrastato della sua interpretazione, il concerto risultando solo ormai un canovaccio volto a dar risalto alla bellezza di quel suono.

Pollini ed Abbado (1992) nel terzo e nel quarto di Beethoven

E' nel quarto concerto per pianoforte di Beethoven che Pollini ed Abbado eccellono. Basti pensare, nel primo movimento, alla progressione di Pollini al minuto 5,30, o a quella al minuto 12,30, di impressionante maestria. Il secondo movimento, che talora risulta a rischio di staticità enfatica e un po' retorica, è risolto da entrambi con il reperimento dell' intimismo tramite un registro espressivo come di canto soffuso: una vera celebrazione di bellezza. Il terzo movimento è di incanto poetico in alcuni passi e in altri, come la coda, di travolgente vitalità e forza, pur essendo movimento di non poca asprezza nelle interpretazioni di molti. L'intera esecuzione e interpretazione del concerto è così potente e a così alti livelli di maestria che difficilmente si potrebbe riuscire a concepire qualcosa di meglio. L'intesa poi tra i due è qualche cosa di veramente unico. E pensare che nel terzo concerto per pianoforte di Beethoven, la stessa coppia fornisce un'inter...

Confronti

Le differenze tra le varie esecuzioni riflettono sempre differenze più o meno profonde di approccio interpretativo tra i vari interpreti. A volte, a cambiare è l’intera mentalità, per così dire il “segno” dell’estetica sottostante l’interpretazione. L’ascolto analitico comparato di uno stesso brano in diverse esecuzioni ci mette in grado di far venire alla luce le differenze macroscopiche e microscopiche che contraddistinguono ogni interpretazione dalle altre. A volte - è appena il caso di notarlo - differenze apparentemente macroscopiche non corrispondono a interpretazioni di segno radicalmente opposto, laddove invece differenze minori e più sottili possono essere la spia di un cambiamento radicale di mentalità: tale infatti è la struttura di ogni brano musicale, per cui basta il mutamento di un particolare anche misero ed apparentemente insignificante per dare all’intera struttura un senso completamente diverso. Alcuni esempi di confronti tra brani: Beethoven, Sinfonia...

Tra due (anzi tre) accordi

https://www.youtube.com/watch?v=KCXalr9IgPE&t=139s Se si prende l'intervallo di tempo tra: 1) il penultimo accordo ; 2) l'accordo pianissimo  che fa da eco a quello che io chiamo il penultimo e 3) l'accordo conclusivo della cadenza del pianoforte, alla fine del primo movimento del primo concerto di Beethoven , suonato da Michelangeli , con Giulini sul podio, si avverte, in tutta la sua enorme portata, la voragine, la vertigine di fronte all'immensa potenza della natura, ciò che Kant definì come sublime nella Critica del giudizio . In questo caso, quando cioè l'artista riesce ad esprimere il sublime, si fa egli stesso natura e lascia gli spettatori sbalorditi di fronte ai propri prodigi come di fronte ad un'immensa voragine naturale. E si può altresì toccare con mano come i dettagli possano assumere (debbano assumere) un'immensa forza espressiva e come l'arte sia rendere vivo ciò che apparentemente è inerte. Mi riferisco al fatto che la distanz...

I colori del minuto ''5,30

https://www.youtube.com/watch?v=KCXalr9IgPE Nel primo concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven , diretto da Giulini , Michelangeli produce un suono come di un organo colorato, al minuto ''5,30, (ripresa del tema da parte del pianoforte). Sentire, al confronto, i grigiori brendeliani nello stesso passo ( https://www.youtube.com/watch?v=YeuyV8DA1bE ).

Gli scarti del tempo

La funzione del rubato in Michelangeli è quella di far spazio alla bellezza del suono mettendo in secondo piano la (presunta) struttura del brano, cioè quella forma logica che al secondo ascolto, e poi via via, rischia di stancarci come un romanzo già letto. Mentre invece il piacere del suono, mai pago di sé, può rinnovarsi ad ogni ascolto.

Michelangeli, Karajan e il suono

Senz'altra ragione che il suono, Michelangeli interpreta Mozart magistralmente. Mi fa venire in mente Karajan , per il quale sembrava che i diversi autori e i diversi brani che eseguiva con la sua orchestra filarmonica di Berlino fossero meri pretesti per dispiegare la bellezza sonora, o meglio fossero diverse manifestazioni nella realtà di una medesima, ideale, bellezza sonora. Come se il suono fosse il motore immobile dal quale si dipartono le diverse traduzioni fenomeniche della bellezza stessa.

Il suono quale vettore principale di interpretazione

Michelangeli e il concerto n. 20 di Mozart . Nel secondo movimento , il (micro) rubato è funzionale allo scardinamento della struttura formale, per porre l'attenzione non sulla scansione ritmica e sulla regolarità agogica , ma sul suono quale vettore di interpretazione. Nel terzo movimento , poiché, dato il veloce andamento ben ritmato, tale strumento interpretativo (il micro-rubato) è interdetto, Michelangeli usa un suono doppiamente distante, non solo spazialmente, ma anche temporalmente. Un Mozart suonato dall'ottocento. Una doppia distanza che stabilisce un fascino del ricordo e dell'oblio. Tralascio il commento del primo movimento , perché è così celebre che fatico a distogliere la mente dalle incrostazioni date dai cliché di tutte le interpretazioni del mondo.

Il grande accompagnatore

Giulini è in grado di far cantare le orchestre nei concerti solistici per vari strumenti, come nessun altro sa fare. Bastino gli esempi del terzo di Beethoven con Michelangeli e del concerto per violino con Perlman.

Il suono

Anche Schubert Michelangeli risolve in bellezza di suono, annientando eroismo, mistero, ricerca della liberazione romantica dalla forma, ripetitività (coazione a ripetere). Gli accordi iniziali della sonata in la minore, nelle successive ripetizioni del tema, devono essere separati per far cogliere la pienezza e ricchezza di suono. A scapito della regolarità della scansione ritmica (vedasi soprattutto le libertà che Michelangeli si prende nei concerti di Mozart). E' in tal senso che, come penso, Rattalino definisce manieristico lo stile di Michelangeli. La tensione eroica e misteriosa del romanticismo si risolve in bellezza di suono.

Barenboim e il notturno op. 15, n. 1 di Chopin

Ciò che azzecca in pieno qui Barenboim non è il micro-fraseggio di dettaglio, come Pollini, né l'individuazione di un timbro peculiare, come Arrau, né il controllo dinamico, come Pollini e Arrau, né le sfumature di colore diverso, come Benedetti Michelangeli e Hrowitz. Ma il macro-fraseggio, la macrostruttura del brano con tutte le sue implicazioni. E così, l'op. 15, n. 1 diviene  il più bel notturno, scorrevole e narrativamente lucido. E' il senso generale del romanzo, della narrazione, la sua corretta suddivisione in capitoli, ciò che coglie in pieno Barenboim.