Pollini ed Abbado (1992) nel terzo e nel quarto di Beethoven

E' nel quarto concerto per pianoforte di Beethoven che Pollini ed Abbado eccellono. Basti pensare, nel primo movimento, alla progressione di Pollini al minuto 5,30, o a quella al minuto 12,30, di impressionante maestria. Il secondo movimento, che talora risulta a rischio di staticità enfatica e un po' retorica, è risolto da entrambi con il reperimento dell'intimismo tramite un registro espressivo come di canto soffuso: una vera celebrazione di bellezza. Il terzo movimento è di incanto poetico in alcuni passi e in altri, come la coda, di travolgente vitalità e forza, pur essendo movimento di non poca asprezza nelle interpretazioni di molti. L'intera esecuzione e interpretazione del concerto è così potente e a così alti livelli di maestria che difficilmente si potrebbe riuscire a concepire qualcosa di meglio. L'intesa poi tra i due è qualche cosa di veramente unico. E pensare che nel terzo concerto per pianoforte di Beethoven, la stessa coppia fornisce un'interpretazione che lascia l'impressione di una certa genericità, tale da non sembrare al passo con altre celebri edizioni come, ad esempio, quelle suonate da Gould o da Michelangeli. Questi sono gli insondabili misteri, anche di tipo psicologico, dell'interpretazione.

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