Dinamismo, drammaticità e privilegio assegnato allo sviluppo

Qualsiasi discorso sullo stile interpretativo passionale di Bernstein va approfondito subito, se non si vuole correre il rischio di incappare in una catena di esasperanti luoghi comuni. In realtà, se da un lato è vero che in generale lungo tutto l’arco dell’esecuzione di un brano per Bernstein conta l’espressione diretta della vita, dall’altro lato non è vero che questa pretesa interferisca sempre con una resa accurata del brano stesso, in nome di una non meglio definibile visceralità.
Se ascoltiamo infatti attentamente, per esempio, le sinfonie di Beethoven dirette da Bernstein, ci accorgiamo che mentre l’esposizione risente spesso di una mancanza di accuratezza da imputarsi senz’altro a una visceralità un po’ affettata, gli sviluppi vengono invece interpretatati e fatti eseguire con una accuratezza da miniaturista.
Ora, è importante riconoscere che questa disparità di “trattamento” non è frutto del caso, dell’errore, o di entrambi, bensì corrisponde a una concezione bernsteiniana ben precisa (come notò anche Zurletti), secondo la quale in un brano in forma sonata (e non solo, come vedremo), conta la sequenza dialettica: tesi-antitesi-sintesi (cioè esposizione-sviluppo-ripresa).
Coerentemente con tale concezione l’esposizione-tesi non ha valore estetico in sé, ma solo come preparazione all’antitesi-sviluppo, ritenuta (in parte senz’altro a ragione) come la parte più importante della composizione, il tutto in preparazione dell’apoteosi (che Bernstein intende sempre, in tutte le sinfonie, in modo trionfalistico) della coda-ripresa, ossia la sintesi.
Bernstein è talmente innamorato di questo procedimento dialettico da applicarne i principi non solo ai brani in forma sonata (cioè essenzialmente i primi e gli ultimi tempi di sinfonia), ma anche, sia pure per forza di cose solo parzialmente, ai tempi intermedi, fino a sacrificare l’attenzione alla liricità di essi.
Se prendiamo per esempio il secondo movimento della prima di Beethoven, notiamo come, incurante delle sottigliezze mozartiane che costituiscono parte delle velleità del primo Beethoven, Bernstein dà al secondo movimento della prima uno slancio e un dinamismo nettamente a-contemplativi.
Il ritornello eseguito puntualmente a ripetere l’esposizione non salva l’ascoltatore dall’impressione che nulla contino per Bernstein le esposizioni e in generale le prime parti di brani sinfonici.
Sprovvisti di una valenza estetica autonoma, essi servono per il Nostro, puramente da preparazione dialettica per le parti di sviluppo, in cui Beethoven rielabora il materiale tematico esposto.
Ma, se da un lato la ripetizione di una esposizione interpretata un po’ sciattamente non vale l’esecuzione senza ritornello (come fa invece, ad esempio, Furtwängler) di quella stessa esposizione interpretata però in modo più accurato (rispettare la forma del ritornello non libera infatti dall’obbligo dell’accuratezza), dall’altro lato il taglio raffinato-contemplativo non sembra far parte del repertorio del direttore americano, per il quale vale sempre e comunque la sequenza dialettica (l’esposizione intesa cioè sempre come preparazione allo sviluppo-coda) e il dinamismo.
Si veda invece come Furtwängler sia più accurato in tutto il brano, e contemplativo, anche a scapito della resa drammatica della parte centrale, e come faccia “uscire” l’oboe per la coda, resa magnificamente.
Per Bernstein è invece fondamentale la parte centrale, resa a sua volta magnificamente, qui a scapito anche della coda, vista come semplice corollario della parte centrale stessa.


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