Schoenberg da due punti di vista



Se consideriamo l'arco generale della produzione schoenbergiana le vedute d'insieme, da parte della critica, sono molteplici, e possono giungere ad esiti contrapposti tra loro pur restando formalmente tutte corrette.
Basti citare ad esempio, da una parte, la famosa critica di Adorno, che vede nel progressivo dissolversi del sistema tonale attuato con l'arte schoenbergiana un processo drammatico dalle radici politico-sociali (Theodor Wiesengrund Adorno, Philosophie der neuen Musik, Tubingen, 1949; trad. it. di G. Manzoni, Filosofia della musica moderna, a cura di Luigi Rognoni, Torino 1959) e, dall'altro lato, la prospettiva essenzialmente tecnica e anti-drammatica dalla quale Glenn Gould guarda Schoenberg.
Gould arriva infatti ad affermare che non è "il caso di drammatizzare troppo lo sconvolgimento subìto dal placido mondo della Belle Epoque. Che cosa fosse il dolore lo si sapeva già prima di Guglielmo II... <è> un grave errore interpretare in chiave unicamente sociale la straordinaria trasformazione della musica contemporanea." ("Arnold Schoenberg: una prospettiva" in L'ala del turbine intelligente, Adelphi Edizioni, Milano, 1988, p. 201.). Gould esaltava la componente astratta di Schoenberg, l'accento sulla struttura in funzione edificante ed irenica, cosa che attuò con le sue composizioni l'allievo di Schoenberg, Anton Webern. Mentre il lato doloroso, il grido di dolore di tipo umanistico, affine alla visione che di Schoenberg aveva Adorno, fu messo in risalto dall'altro allievo di Schoenberg, Alban Berg.

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