I limiti delle esecuzioni filologicamente corrette


Tutto un gruppo di pensatori, critici ed esecutori (restando ferma la domanda - cui forse si deve rispondere caso per caso - se questi ultimi siano da considerarsi “artisti” al pari dei compositori) ritiene che la musica barocca vada eseguita con strumenti d’epoca, che l’intonazione debba essere regolata su quella d’epoca (sensibilmente più bassa di quella odierna) e che lo stile esecutivo debba essere quello (supposto) dell’epoca (p. es.: assenza di vibrato, od anche un vibrato estremamente lento ed oggettivamente poco brillante).
Ma, a parte il fatto che nessuno di noi potrà mai sapere con esattezza come si eseguissero all’epoca i brani, occorre precisare, prima di ogni proclama, i presupposti di fondo, pena la ricaduta nel dogmatismo. Chi sostiene la necessità di esecuzioni filologicamente corrette si appella al rispetto dell’intenzione del compositore, in ottemperanza a quella convinzione che vuole l’esistenza di una e una sola interpretazione ottimale, da identificarsi con quella più vicina all’ intenzione originaria dell’Autore.
Molto si potrebbe dire in merito a simili presupposti, idealmente accattivanti, ma non certo al riparo da critiche di fondo (p. es.: esiste davvero una e una sola “intenzione originaria dell’Autore”?). Ma anche soprassedendo ad ogni critica sui presupposti di fondo, grande è il dubbio sullo scarto tra il concetto di fedeltà al compositore e la sua pratica realizzazione a mezzo di strumenti d’epoca.
Non si rischia cioè, con l’uso di tutti gli accorgimenti di cui sopra, di riportare in vita non già l’intenzione genuina del compositore, quanto piuttosto una prassi esecutiva del suo periodo storico, prassi certo non aliena da vizi e difetti che magari il compositore stesso aveva in odio? Per prassi esecutiva intendo qui in senso ampio anche i limiti degli strumenti stessi dell'epoca, che come è noto in molti casi stonavano ed emettevano un suono afono e/o sgradevole.
La domanda, legittima in generale, viene ad assumere un peso enorme nel caso della musica di Bach che, per espressa indicazione dell’Autore, impone l’astrazione dal timbro di qualsiasi voce e strumento e perciò una concentrazione massima sull’intreccio della struttura contrappuntistica, via dal colore del suono inteso come mezzo espressivo. L’astrattezza della musica di Bach impone l’indifferenza strumentale più assoluta, con il che vengono a cadere gran parte delle tesi dei filologi.

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