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Visualizzazione dei post con l'etichetta Pollini

Il Luchesi di Plano

Sono contento del fatto che la marea montante delle esecuzioni pseudo-filologiche su strumenti d'epoca con presunto stile esecutivo d'epoca, da cui siamo stati invasi a partire da un certo periodo degli anni '90 fino a tutto il primo decennio degli anni duemila, inizi a mostrare la corda: sciocche e patetiche parodie di rappresentazioni storiche su strumenti inadeguati, il cui suono, fioco e sgradevole, spesso è inudibile e non soddisfa (sono tanti gli interpreti che vi si cimentano, alcuni anche eccellenti, ma il suono è brutto lo stesso).  Invece, le sonate Op. 1 di Andrea Luchesi suonate al pianoforte da Roberto Plano suonano in maniera convincente e mi fanno riallacciare il discorso ad altri post su tale argomento: l'utilizzo del pianoforte per la musica per tastiera di Autori (chi più, chi meno) appartenenti al periodo pre-pianistico è la scelta più indicata a rendere l'intimismo e il potenziale espressivo di tali composizioni. Vale lo stesso per il Bach di Go...

Gli Studi Op. 10 di Chopin secondo Pollini, 1972

Dotato in questo famoso disco di un virtuosismo esplosivo (che personalmente mi interessa meno, anche se suppongo avrà entusiasmato ascoltatori e pianisti dilettanti, innamorati del potere del virtuoso sullo strumento), Pollini rimane indimenticabile nel secondo, celeberrimo studio in La minore, per il tocco ed il fraseggio, il cui  risultato estetico è costituito da una sorta di intimismo quadrato, pacato, perfettamente giusto.

A proposito di Horowitz

Per quanto riguarda Horowitz, è improprio parlare solo di tecnica o di virtuosismo. Nemmeno la ricerca dell'effetto, o l'esibizionismo, sono i fattori principali. Spesso ci si impunta erroneamente su di una presunta e artificiosa contrapposizione tra chi suona per lo strumento e chi per la musica che esegue. In realtà, in musicisti come Horowitz (al pari di Rampal per il flauto e per certi versi di Karajan con la sua orchestra) ciò che colpisce è l'espressione. Ossia, non possono eseguire nulla senza essere espressivi, senza rendere, di ogni passo di ogni brano, un'espressività che consiste quindi, alla prova dei fatti, in una ricerca metafisica di natura prettamente musicale. Ossia, la musica esiste solo in quanto esprime. Può sembrare un approccio sempre portato in avanti, all'attacco, esposto, mai fermo alla lettera. La lettera, in effetti, per tali musicisti non esiste: non esiste cioè alcun testo da svelare con un'operazione di interpretazione sovrapposta, ...

Due parole sugli Studi di esecuzione trascendentale S139 di Liszt (Arrau 1974/1976)

Si delinea qui un progetto culturale in qualche modo analogo e affine a quello messo in atto da Pollini con Chopin a partire dalla sua incisione degli Studi Op. 10 e Op. 25 del 1972 e cioè l'approfondimento dell'Autore e la sua elevazione al rango dei grandissimi. In particolare colpisce, di Arrau, l'interpretazione degli studi n. 9, 10, 11 e 12, come se vi fosse un crescendo di profondità dal primo all'ultimo studio della serie, con un incremento esponenziale negli ultimi.

Un confronto incrociato tra le esecuzioni del primo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms (Pollini 1980 e Gould) e del secondo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms (Pollini 1977 e Zimerman-Bernstein)

Impareggiabile per stile epico il primo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms di Gould, ma ugualmente mitologica l'esecuzione di Pollini 1980, sempre nel primo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms, all'enunciazione del secondo tema da parte del pianoforte. Indubbio cavallo di battaglia di Pollini il secondo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms (1977), ma, nel terzo movimento, Abbado adotta un andamento più lento rispetto all'esecuzione di Bernstein-Zimermann. In particolare, l'apertura del violoncello solista nel terzo movimento sembra più convincente nell'edizione dei Wiener con Bernstein, rispetto a quella dei Wiener con Abbado (1977). Segnalo  il mio saggio su Glenn Gould  per chi volesse approfondire la sua estetica.

3 Chopin

 1) Quello dal fraseggio impeccabile e dal tocco sublime di Pollini, cerebrale e mai svenevole (Studi e Scherzi le sue prove migliori); 2) quello rapsodico, quotidiano, al tempo stesso giocoso e malinconico, agogicamente interessante di Ashkenazy nelle Mazurke; 3) quello soavissimo della Joao Pires nei notturni.

La sonata per piano n. 2 di Chopin di Pollini, 1984

 Pervasa da una frenesia novecentesca, per cui risulta di qualità attuale e umana.

Fase terza

Riassumendo del tutto liberamente il pensiero espresso da Mario Bortolotto nel suo Fase seconda , la musica contemporanea mostra il suo tratto distintivo nel "tempo liberato", ossia nel non avere un ritmo o comunque un ritmo non regolare, simboli dell'imborghesimento o addirittura della "sozzura dell'umano". Di "incretinimento" parlava Nono, a proposito della musica pop e rock, considerata commerciale. Si può notare tale linea di pensiero di Nono, per esempio, nel dialogo con i ragazzi in uno dei concerti gratuiti tenuti da Abbado e Pollini negli anni '70 del '900 ( https://www.youtube.com/watch?v=f4etOJ7Thag , minuto 37). Invece il ritmo, ossia l'organizzazione del tempo - anche con tenuta metronomica, ossia minuziosa, della regolarità agogica - ha continuato ad avere importanza. Erano i compositori di musica seria del '900 (ma non tutti e non in ogni brano) a sognare una musica senza scansione ritmica regolare, ma la pretesa non h...

Abbado Pollini Bartok

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Sempre l'amore per l'aura culturale, per il suonare bene e per il bel suono: loro due sempre. Anche nel barbarico Bartok.  

Abbado, l'orchestra e l'impegno.

Dal minuto 40 al minuto 43 di questo documentario , si vede quanto siano veritieri alcuni luoghi comuni "buonisti" su Abbado nel suo rapporto con l'orchestra... Mentre al minuto 37 un dissidio tra studenti e musicisti intellettuali: questi ultimi cercano di convincere i primi che la musica di Luigi Nono è più autentica della musica rock e pop. Una serie di concerti gratuiti il cui sviluppo anni dopo Pollini definirà, in un documentario a lui dedicato, una delusione. Un'epoca interessante che conteneva tante contraddizioni e tante pretese, forse troppe idee, molte delle quali confuse, mentre oggi il vuoto delle idee è la norma.

Muti e Pollini nel concerto n. 21 di Mozart

Basterebbe l'ascolto della mancata sincronia del pizzicato degli archi all'inizio del celeberrimo secondo movimento per abbandonare la nave. Ma occorre resistere. Un primo tempo frettoloso, ma dal carattere tutto sommato operisticamente azzeccato precede un secondo movimento che, stecche dell'orchestra a parte, è pianisticamente accorato e reso con giusta sensibilità. Peccato che a Pollini sia sempre mancato il senso dell'umorismo, altrimenti avremmo accostato la sua interpretazione a quella, inarrivabile, di Kempff. Di Muti non parlo: sarà la storia ad emettere l'ardua sentenza. 

Pollini 1990 e la sonata di Liszt in si minore

Affondato in un'arcigna serietà novecentesca, che richiama al ricordo fabbriche e musica contemporanea, il Liszt di Pollini è come sempre freddo e intenso allo stesso tempo. Non si saprebbe dire esattamente in che cosa, ma di certo l'edonismo viaggia molto lontano dai cieli di Pollini, quale che sia l'Autore affrontato. L'interpretazione è lì, sublime in quanto terrificante nella sua perfezione accigliata, che volutamente parla al lato cerebrale, più che a quello emotivo.

Nunc Stans a parti invertite: Pollini 1988, la porta si apre sul secondo di Brahms

Incredibilmente (ma così è la musica), mentre nell'interpretazione del primo concerto di Brahms Pollini 1988 delude rispetto a Pollini 1980 , nel secondo concerto di Brahms Pollini 1988 riesce in pieno là dove Pollini 1977 aveva deluso. Si noti in particolare, nel primo movimento , l'articolazione del fraseggio nella progressione ai minuti dal 7,26 al 7,50 e poi ai minuti dal 14,51 al 15,15. Per definire tale evenienza utilizzerei la metafora del contagio, che ho già utilizzato in Scritti sulla musica (2016)   ai paragrafi 47, 107, 111, 195: come un'aria che coglie le persone inconsapevolmente in alcuni attimi e in altri no, mentre sono intenti a fare delle cose, l'ispirazione viaggia senza sosta da un capo all'altro del mondo e del tempo e si posa ora su questo, ora su quell'interprete, ora sullo stesso in momenti diversi della sua vita, mentre suona brani uguali o differenti.

Minuto 5,40 18 anni dopo: la porta non c'è più

Nell'edizione del 1988, con Abbado sul podio dei Berliner , Pollini non ripete la magia dell' edizione del 1980 del primo concerto di Brahms per pianoforte e orchestra (allora l'orchestra erano i Wiener e il direttore era Bohm ). Senza sapere con certezza perché (i tempi sono simili, il pianista è lo stesso), la magia non si ripete. Per esempio, nel passo al minuto 5,40 (il conto dei secondi è quasi uguale nelle due edizioni) non si verifica l'accesso al mondo parallelo che si era verificato nel 1980. Non ha luogo il Nunc Stans . Dinamica? Timbro? Agogica? Non si riesce a stabilire con certezza quale combinazione di tali fattori fa sì che in un caso si abbia un'esecuzione letteralmente dell'altro mondo e nell'altro invece no.

Fenomenologia sinestesica in funzione estetologica

Se noi uniamo il metodo di Husserl  (discendente obbligato della gnoseologia kantiana ) con la sinestesia , avremo da cercare correlazioni e natura delle immagini evocate dai passi musicali, con ciò connotando, come ho fatto rilevare in Scritti sulla musica (2016) , una geografia dell' estetica  (o estetica regionale), afferente ad un cosiddetto mondo parallelo che non ha, se non pallidamente, correlazioni con la storia e la geografia musicali dell'aldiquà fenomenico (storia e geografia degli uomini). Partendo da tale assunto (fatalmente assolutistico), noi potremo intraprendere la ricerca geografica accedendo da qualsiasi porta spazio-temporale di collegamento tra l'aldiquà fenomenico e l'aldilà fenomenologico del mondo parallelo. Si può prendere, per esempio, il minuto 5,40 del primo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms in Pollini 1980 , così come si possono prendere infiniti punti d'ingresso e accedere in zone volta a volta differenti del mondo pa...

Pollini 1980 nel primo di Brahms

Non solo, come di consueto, articolazione del fraseggio perfetta, ma anche vigore massimo e giusta temperie emotiva: qui Pollini 1980 si supera. E - incredibilmente (l'avverbio è d'obbligo) - risulta ancora più convincente del già strabiliante Gould 1962. Gli è che qui non vi è - come invece altrove in Pollini (basti riferirsi al suo secondo di Brahms 1977, non convincente, né pari per esempio all'edizione Zimerman/Bernstein) - né fretta, né freddezza, né meccanicità nella perfezione esibita. I passi più sublimi (verrebbe da dire "sublimissimi") del noto primo movimento vengono da Pollini 1980 articolati meglio del canadese (si pensi al passo del minuto 12,00 di Pollini 1980, o a quello del minuto 19,30), laddove l'emergere delle note nel loro giusto peso e dei timbri fa acquisire più espressività a quei passi che Gould volle mettere in rilievo tramite l'andamento complessivo, più lento rispetto a quello preso da Pollini e da diversi altri interpreti (ese...

Schumann è un bravo ragazzo?

Confronto Pollini - Richter nel concerto per pianoforte di Schumann . Se noi prendiamo due pesi massimi di tal fatta, riesce difficile istituire l' optimum . Però si possono cogliere alcune differenze di carattere, aldilà del virtuosismo. Nel caso di Richter, una concezione più fluida della scansione ritmica e una maggiore escursione dinamica sono gli strumenti espressivi al servizio di una concezione che si potrebbe definire quasi  dostoevskiana   ante litteram del concerto di Schumann, in cui vi è un elemento quasi demoniaco . Nel caso di Pollini invece, ritroviamo una logica quadrata, assai nobile negli intenti come nella realizzazione, ma che parrebbe tradire una sorta di petitio principii a proposito dell'innocenza del romanticismo schumanniano: Schumann pare qui un bravo ragazzo che rivela la propria giovane età, i propri sogni. Richter sembra dimostrare il contrario. Tra i molti passi in grado di asseverare la notata differenza interpretativa tra i due, vi è ...

Pollini ed Abbado (1992) nel terzo e nel quarto di Beethoven

E' nel quarto concerto per pianoforte di Beethoven che Pollini ed Abbado eccellono. Basti pensare, nel primo movimento, alla progressione di Pollini al minuto 5,30, o a quella al minuto 12,30, di impressionante maestria. Il secondo movimento, che talora risulta a rischio di staticità enfatica e un po' retorica, è risolto da entrambi con il reperimento dell' intimismo tramite un registro espressivo come di canto soffuso: una vera celebrazione di bellezza. Il terzo movimento è di incanto poetico in alcuni passi e in altri, come la coda, di travolgente vitalità e forza, pur essendo movimento di non poca asprezza nelle interpretazioni di molti. L'intera esecuzione e interpretazione del concerto è così potente e a così alti livelli di maestria che difficilmente si potrebbe riuscire a concepire qualcosa di meglio. L'intesa poi tra i due è qualche cosa di veramente unico. E pensare che nel terzo concerto per pianoforte di Beethoven, la stessa coppia fornisce un'inter...

Confronti

Le differenze tra le varie esecuzioni riflettono sempre differenze più o meno profonde di approccio interpretativo tra i vari interpreti. A volte, a cambiare è l’intera mentalità, per così dire il “segno” dell’estetica sottostante l’interpretazione. L’ascolto analitico comparato di uno stesso brano in diverse esecuzioni ci mette in grado di far venire alla luce le differenze macroscopiche e microscopiche che contraddistinguono ogni interpretazione dalle altre. A volte - è appena il caso di notarlo - differenze apparentemente macroscopiche non corrispondono a interpretazioni di segno radicalmente opposto, laddove invece differenze minori e più sottili possono essere la spia di un cambiamento radicale di mentalità: tale infatti è la struttura di ogni brano musicale, per cui basta il mutamento di un particolare anche misero ed apparentemente insignificante per dare all’intera struttura un senso completamente diverso. Alcuni esempi di confronti tra brani: Beethoven, Sinfonia...

Klára Würtz e Maurizio Pollini nel primo movimento della sonata per pianoforte n. 1, op. 11 di Schumann

Pollini offre come sempre all'ascolto un fraseggio rimarchevole ed impeccabile. La Wurtz offre il famoso tema iniziale della sonata avvolto in una bruma fascinosa e profonda, tale da investire con la sua allure l'intiera interpretazione del primo movimento. Là dove Pollini vede il principio del contrasto dialettico tra temi, frasi o semifrasi, in continua alternanza di tensione e rilassamento, la Wurtz omogeneizza le fonti di ispirazione del brano, traducendole nel medesimo colore, molto profondo e brunastro. Non so se sia una scelta perfetta, perfettibile oppure no, quella della Wurtz, ma penso che le interpretazioni sicuramente sbagliate a volte abbiano un fascino che perdura a lungo anche al confronto con scelte stilistiche teoricamente impeccabili. In una sonata così volutamente, tipicamente e tremendamente romantica, si preferiscono gli svenevoli errori alle esatte puntualizzazioni.