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Gli Ugonotti secondo Liszt-Cohen

 Non so trovare in questa interpretazione di Arnaldo Cohen della lisztiana Fantasia su temi degli Ugonotti nessuna minore qualità rispetto a quanto espresso da Arrau nei suoi Studi di esecuzione trascendentale di Liszt.

Il Luchesi di Plano

Sono contento del fatto che la marea montante delle esecuzioni pseudo-filologiche su strumenti d'epoca con presunto stile esecutivo d'epoca, da cui siamo stati invasi a partire da un certo periodo degli anni '90 fino a tutto il primo decennio degli anni duemila, inizi a mostrare la corda: sciocche e patetiche parodie di rappresentazioni storiche su strumenti inadeguati, il cui suono, fioco e sgradevole, spesso è inudibile e non soddisfa (sono tanti gli interpreti che vi si cimentano, alcuni anche eccellenti, ma il suono è brutto lo stesso).  Invece, le sonate Op. 1 di Andrea Luchesi suonate al pianoforte da Roberto Plano suonano in maniera convincente e mi fanno riallacciare il discorso ad altri post su tale argomento: l'utilizzo del pianoforte per la musica per tastiera di Autori (chi più, chi meno) appartenenti al periodo pre-pianistico è la scelta più indicata a rendere l'intimismo e il potenziale espressivo di tali composizioni. Vale lo stesso per il Bach di Go...

Due parole sugli Studi di esecuzione trascendentale S139 di Liszt (Arrau 1974/1976)

Si delinea qui un progetto culturale in qualche modo analogo e affine a quello messo in atto da Pollini con Chopin a partire dalla sua incisione degli Studi Op. 10 e Op. 25 del 1972 e cioè l'approfondimento dell'Autore e la sua elevazione al rango dei grandissimi. In particolare colpisce, di Arrau, l'interpretazione degli studi n. 9, 10, 11 e 12, come se vi fosse un crescendo di profondità dal primo all'ultimo studio della serie, con un incremento esponenziale negli ultimi.

Barenboim e il notturno op. 15, n. 1 di Chopin

Ciò che azzecca in pieno qui Barenboim non è il micro-fraseggio di dettaglio, come Pollini, né l'individuazione di un timbro peculiare, come Arrau, né il controllo dinamico, come Pollini e Arrau, né le sfumature di colore diverso, come Benedetti Michelangeli e Hrowitz. Ma il macro-fraseggio, la macrostruttura del brano con tutte le sue implicazioni. E così, l'op. 15, n. 1 diviene  il più bel notturno, scorrevole e narrativamente lucido. E' il senso generale del romanzo, della narrazione, la sua corretta suddivisione in capitoli, ciò che coglie in pieno Barenboim.

Sui notturni op. 48 n. 1 e n. 2 di Chopin

Mi sembra che l'unico a cogliere quella certa gravitas, una vertigine non priva di humor dell'op. 48, n. 1 sia Arrau, laddove Rubinstein non cambia passo e rimane leggero anziché seguire il climax lisztiano del brano. Anche nel n. 2 dell'op. 48 mi sembra che Rubinstein non colga nel segno, quando si rifiuta di seguire nella loro macchinosità i tortuosi ghirigori della melodia principale, al contrario di Arrau che vi scova il fascino della ruminazione che si eleva lentamente a meditazione distesa.