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A proposito di Horowitz

Per quanto riguarda Horowitz, è improprio parlare solo di tecnica o di virtuosismo. Nemmeno la ricerca dell'effetto, o l'esibizionismo, sono i fattori principali. Spesso ci si impunta erroneamente su di una presunta e artificiosa contrapposizione tra chi suona per lo strumento e chi per la musica che esegue. In realtà, in musicisti come Horowitz (al pari di Rampal per il flauto e per certi versi di Karajan con la sua orchestra) ciò che colpisce è l'espressione. Ossia, non possono eseguire nulla senza essere espressivi, senza rendere, di ogni passo di ogni brano, un'espressività che consiste quindi, alla prova dei fatti, in una ricerca metafisica di natura prettamente musicale. Ossia, la musica esiste solo in quanto esprime. Può sembrare un approccio sempre portato in avanti, all'attacco, esposto, mai fermo alla lettera. La lettera, in effetti, per tali musicisti non esiste: non esiste cioè alcun testo da svelare con un'operazione di interpretazione sovrapposta, ...

Lo Chopin di Pollini e quello di Horowitz

Mi piace il contrasto tremendo, allucinante, tra la dimensione sacrale della scansione ritmica nello   Chopin di Pollini e invece, nello Chopin di Horowitz , lo spalancarsi della dimensione della libertà agogica. Praterie di libertà agogica che simboleggiano la libertà assoluta della musica, della fantasia e dell'espressione, individuando un vero e proprio parametro incognito, una nuova categoria dello spirito, inesplorata e mai prima descritta: la libertà assoluta dalla regolarità della scansione ritmica come simbolo della libertà. In Horowitz, il dominio assoluto della tecnica è al servizio esclusivo dell'espressione: i registri scolastici vengono spazzati via e il metronomo potrebbe essere un non-oggetto, liquido e bizzarro come gli oggetti dei quadri di Dalì.

Barenboim e il notturno op. 15, n. 1 di Chopin

Ciò che azzecca in pieno qui Barenboim non è il micro-fraseggio di dettaglio, come Pollini, né l'individuazione di un timbro peculiare, come Arrau, né il controllo dinamico, come Pollini e Arrau, né le sfumature di colore diverso, come Benedetti Michelangeli e Hrowitz. Ma il macro-fraseggio, la macrostruttura del brano con tutte le sue implicazioni. E così, l'op. 15, n. 1 diviene  il più bel notturno, scorrevole e narrativamente lucido. E' il senso generale del romanzo, della narrazione, la sua corretta suddivisione in capitoli, ciò che coglie in pieno Barenboim.