Post

Visualizzazione dei post con l'etichetta Giulini

Il microscopio di Giulini

Come al microscopio possiamo vedere una serie di dettagli che solitamente sfuggono all'occhio, così le interpretazioni dei brani orchestrali di Giulini rivelano, di qualsiasi autore, tracce nascoste e insospettabili, dettagli importanti. Tale effetto viene realizzato principalmente con l'attenzione a due fattori: 1) l'attenzione alla qualità del suono; 2) un andamento generalmente più lento della media degli altri direttori. Inutile dire che i due fattori si tengono insieme. Più si affrontano a velocità moderata i brani e maggiori possibilità si avranno di fare risaltare in maniera accurata e qualitativamente elevata tutti i dettagli sonori. E' una lettura che non manca mai di stupire, anche se alcuni a volte parvero lamentare una minore eccitazione - rispetto alle interpretazioni di altri direttori - dovuta precisamente alla minore concitazione agogica. Altri fattori resi possibili dall'andamento mediamente più moderato sono il vigore del crescendo e la retorica (i...

Gara di velocità (potenza, verità, bellezza)

Ho già scritto altrove di come Giulini prendesse i tempi richiesti dal brano e che, dove c'era da prenderli stretti, li prendeva stretti. E' il caso dell'ouverture delle Nozze di Figaro di Mozart. Qui secondo me Bernstein ed altri non colsero che, più che richiamare un clima genericamente giocoso e buffo, questa ouverture è una prova di forza dell'orchestra. Di tale avviso, Karajan ne scatenò il virtuosismo con la sua versione degli anni '50 , la cui velocità è mozzafiato. Questo brano mi fa venire in mente, di Karajan e i Berliner, il finale del primo e soprattutto dell'ultimo movimento dell'ottava sinfonia di Beethoven, nel senso che credo Karajan cogliesse non tanto una caratteristica stilistica o estetica del compositore, un suo tratto caratteristico, ma una categoria dello spirito che Nietzsche definì come volontà di potenza (giusto per definire un concetto anti-idealistico tramite un concetto idealistico). Questo aspetto della resa musicale come volo...

Le Nozze di Figaro di Giulini

Queste Nozze di Giulini (1959), caratterizzate da una certa austerità e drammaticità nei modi del fraseggio che a tratti sembra smarrire il lato giocoso dell'opera, sono però musicalmente altrettanto belle dell'indimenticabile Don Giovanni dello stesso Giulini (1959). Notevole l' ouverture (a proposito di chi - erroneamente - definì sempre più lenti della media i tempi di Giulini: Giulini prendeva i tempi dettati dalle necessità dell'opera e questa  ouverture , bella stretta, ne è una dimostrazione lampante). Per la cavatina di Barbarina, però, a mio avviso è preferibile l'andamento scelto da Muti (1987).

Problemi di ricezione di Sibelius

Perché Abbado (nessuna incisione e dichiarazioni di "non amore", v., p. es., la conferenza stampa riportata da Repubblica, del dicembre 1989, in occasione della sua nomina a direttore dei Berliner ) e Boulez (nessuna incisione) non amavano Sibelius? Probabilmente per le medesime ragioni che diedero luogo alla scomunica di Sibelius da parte di Theodor W. Adorno (Cfr., p.es., di Adorno, Introduzione alla sociologia della musica,  Giulio Einaudi Editore, Torino, 1971, pp. 181, 210, 258; Tit. Orig.:  Einleitung in die Musiksoziologie. Zwolf theoretische Vorlesungen , 1962, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main). Invece Bernstein (incisione del ciclo completo delle sinfonie e altro, come, ad esempio la puntata dedicata a Sibelius nell'ambito dei New York Philarmonic Young People's Concerts, del 19 febbraio 1965 ) e Maazel (due incisioni complete del ciclo delle sinfonie, una con i Wiener negli anni '60 del '900 e l'altra con la Pittsburgh Symphony Orchestra negli ...

Who is the boss?

Questa domanda, relativa al rapporto direttore solista, fu posta da Bernstein nella sua famosa uscita prima del concerto con Gould (primo concerto di Brahms). Sembra particolarmente pertinente nel caso dei concerti per solista e orchestra nei quali Giulini, direttore lontano dallo stile autoritario quant'altri mai, riusciva a imprimere sempre un suo inconfondibile stile, pacato, caldo, lirico e attento alla qualità del suono e del fraseggio. Un esempio su tutti: il concerto per pianoforte e orchestra di Schumann con Rubinstein al pianoforte.

La coda del primo movimento del concerto per pianoforte e orchestra di Schumann

Deve provenire da un altro mondo. Per ottenere tale effetto, che banalmente potremmo definire "di sorpresa", vi deve essere un deciso stacco ritmico. Ecco perché Rowicki, che stacca, supera Abbado e Giulini, che non staccano. Direi che qui, necessariamente, il pianoforte agisce di conseguenza e (con scusabile gioco di parole) "si accoda" alle scelte del direttore, che siano o meno dettate - a loro volta - dalla volontà (che necessariamente deve però essere concordata prima e a tavolino) del solista stesso.

Rubinstein 1967 nel concerto per pianoforte di Schumann

Con Giulini sul podio, il Maestro espande infinitamente il fascino lirico del primo movimento, mettendo un po' in sordina, ma senza snaturarli, gli elementi di fascino ritmico che costituiscono l'altro volto del concerto stesso. E' un'interpretazione che sta al pari di quella di Richter con Rowicki sul podio. Anzi, rispetto a quella, l'edizione Rubinstein-Giulini è come se fosse la negativa. Mentre Rubinstein e Giulini vedono come centrali le parti liriche e invece come parentesi le parti ritmiche più agitate, per Richter-Rowicki è il contrario.

Sempre il suono innanzitutto

La volutamente affettata pseudo-semplicità para-mozartiana con cui Michelangeli conduce l'esordio del pianoforte nel primo movimento del primo concerto di Beethoven, con Giulini sul podio, costituisce l'espressione di una provocatoria maniera, e già dalle prime acciaccature e poi dagli accordi durante la ripresa del tema principale del pianoforte al minuto 5,30, si nota qualcosa di strano e di sospetto, oltreché di inauditamente bello: Michelangeli fa risplendere le dissonanze date dalle acciaccature e da alcuni accordi, sicché si intuisce che la forma dei temi è solo una trama su cui egli intesse un preziosissimo broccato e damascato di grappoli di note belle come perle, e il suono diventa magicamente il regista incontrastato della sua interpretazione, il concerto risultando solo ormai un canovaccio volto a dar risalto alla bellezza di quel suono.

Tra due (anzi tre) accordi

https://www.youtube.com/watch?v=KCXalr9IgPE&t=139s Se si prende l'intervallo di tempo tra: 1) il penultimo accordo ; 2) l'accordo pianissimo  che fa da eco a quello che io chiamo il penultimo e 3) l'accordo conclusivo della cadenza del pianoforte, alla fine del primo movimento del primo concerto di Beethoven , suonato da Michelangeli , con Giulini sul podio, si avverte, in tutta la sua enorme portata, la voragine, la vertigine di fronte all'immensa potenza della natura, ciò che Kant definì come sublime nella Critica del giudizio . In questo caso, quando cioè l'artista riesce ad esprimere il sublime, si fa egli stesso natura e lascia gli spettatori sbalorditi di fronte ai propri prodigi come di fronte ad un'immensa voragine naturale. E si può altresì toccare con mano come i dettagli possano assumere (debbano assumere) un'immensa forza espressiva e come l'arte sia rendere vivo ciò che apparentemente è inerte. Mi riferisco al fatto che la distanz...

I colori del minuto ''5,30

https://www.youtube.com/watch?v=KCXalr9IgPE Nel primo concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven , diretto da Giulini , Michelangeli produce un suono come di un organo colorato, al minuto ''5,30, (ripresa del tema da parte del pianoforte). Sentire, al confronto, i grigiori brendeliani nello stesso passo ( https://www.youtube.com/watch?v=YeuyV8DA1bE ).

Don Giovanni

Nella bellissima aria del Don Giovanni mozartiano "Fin c'han dal vino”, nell'edizione di Giulini che tiene il tempo tenacemente ed adotta un accorgimento espressivo geniale (l'accelerando finale), emerge che Don Giovanni non è dominus , ma è agìto da una pulsione irrefrenabile.  Non conduce il gioco della seduzione, ma ne è condotto, non è un eroe, più o meno romantico, della libertà.

Giulini e la forza nelle sinfonie di Beethoven

Sembra che Giulini escluda l'espressione della forza dalla sua interpretazione delle sinfonie di Beethoven, quando questa non è tipizzata all'interno di una caratterizzazione scenico-operistica, come nel suo Don Giovanni di Mozart. A tal proposito, quale esempio tra i più belli di una forza caratterizzata scenicamente che Giulini sa sprigionare eccome, si può citare anche la sola aria “Fin ch'han dal vino”, il cui strettissimo finale, con la sua geniale accelerazione maniacale, assurge a vertice di sublime bellezza, unita a potenza (simbolo in carne della follia di Don Giovanni). In tal caso potremmo reinterpretare le interpretazioni sinfoniche di Giulini come marcate da una direttrice di senso di carattere operistico: egli trasporrebbe, cioè nella musica sinfonica solo e soltanto quanto in essa possiamo trovare del mondo estetico operistico. Non potrebbe spiegarsi altrimenti il fluire armonioso e melodicamente inarrivabile, ad esempio, dell'ultimo movimento della ...

Il ritmo non esiste

La prima sinfonia di Beethoven diretta da Giulini. Ovvero, si potrebbe dire, il ritmo non esiste. Come tutto sia risolto in morbidezza di toni e bellezza di timbri. Quel fastidio alle orecchie che avvertì alla prima esecuzione un critico musicale dell'epoca, non avrebbe avuto luogo, se a dirigerla fosse stato Giulini. Bene o male? Bello, sicuramente affascinante. Anzitutto in questa prima si sentono echi del melodramma mozartiano, che in moltissime altre esecuzioni non si sentono. E ci sovviene di quell'immenso Don Giovanni che segnò l'apice della qualità discografica di Giulini.

Il grande accompagnatore

Giulini è in grado di far cantare le orchestre nei concerti solistici per vari strumenti, come nessun altro sa fare. Bastino gli esempi del terzo di Beethoven con Michelangeli e del concerto per violino con Perlman.