Giulini e la forza nelle sinfonie di Beethoven


Sembra che Giulini escluda l'espressione della forza dalla sua interpretazione delle sinfonie di Beethoven, quando questa non è tipizzata all'interno di una caratterizzazione scenico-operistica, come nel suo Don Giovanni di Mozart. A tal proposito, quale esempio tra i più belli di una forza caratterizzata scenicamente che Giulini sa sprigionare eccome, si può citare anche la sola aria “Fin ch'han dal vino”, il cui strettissimo finale, con la sua geniale accelerazione maniacale, assurge a vertice di sublime bellezza, unita a potenza (simbolo in carne della follia di Don Giovanni). In tal caso potremmo reinterpretare le interpretazioni sinfoniche di Giulini come marcate da una direttrice di senso di carattere operistico: egli trasporrebbe, cioè nella musica sinfonica solo e soltanto quanto in essa possiamo trovare del mondo estetico operistico. Non potrebbe spiegarsi altrimenti il fluire armonioso e melodicamente inarrivabile, ad esempio, dell'ultimo movimento della seconda sinfonia di Beethoven diretta da Giulini (in cui parte indimenticabile, affettuosa e densa di memoria hanno i legni e in particolare il fagotto), dopo un così poco brillante primo movimento della stessa sinfonia. Un ulteriore esempio in tal senso è dato dall'ottava sinfonia di Beethoven, il cui primo movimento diretto da Giulini non convince, perché Giulini spezza il binomio tra centralità della forma (sonata) e insistenza parossistico-paranoica che Beethoven dà a questo movimento. Il secondo movimento, che Bernstein ricorda essere stato chiamato “brano da vacanze”, acquista invece nell'interpretazione di Giulini un'importanza centrale, cui soccorrono echi operistici non solo buffi, ma anche densi di malinconia e persino drammatici. La scena, con i suoi colpi di scena, la caratterizzazione delle melodie e dei timbri dominano nelle scelte interpretative di Giulini, rispetto alla centralità della forma sonata, alla quale invece egli non concede sostenuta importanza, ma che tende a lasciar scorrere fingendo di ignorarne la precisa logica avvocatesca che Jankelevitch così bene descrisse a proposito di (certo) Beethoven (segnatamente, quello delle sinfonie).

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