La seconda sinfonia di Beethoven


La II di Beethoven (Bernstein ’82). Ecco l’esempio di una sinfonia solitamente eseguita in modo manieristicamente settecentesco e ritenuta – come altre sinfonie “pari” – debole sotto il profilo beethoveniano, che ritrova invece in questa esecuzione una dimensione grandiosa e di una paradigmatica tragicità. L’ambivalenza di questa sinfonia, sospesa tra equilibrio ed eccessi, tra sobrietà e magniloquenza, la rende soggetta alle interpretazioni più divergenti. L’idea di Gould era che la bellezza di questa, come di altre sinfonie pari, risiedesse proprio nel non essere troppo beethoveniana, dove con tale aggettivo il pianista canadese intendeva quell’atteggiamento apodittico del Beethoven del cosiddetto “periodo di mezzo”, in cui a Beethoven premeva di dimostrare precisamente il fatto che era Beethoven. Modo di dire a parte, l’aspetto dimostrativo di Beethoven, che è proprio del cosiddetto periodo di mezzo, è qualche cosa di molto complesso e comporta, attraverso la forma sonata assurta a paradigma del mondo, la scoperta dell’ordine universale. La seconda si colloca in una fase in cui questo riconoscimento dell’ordine del mondo avviene secondo un respiro “quadrato”, simmetrico, che si concretizza in un fraseggio particolarmente binario. Lo scarto tra la nota attesa e quella che si verifica, ossia la fatica dell’apprendimento di un ordine del mondo che si pone su un livello superiore, di sintesi tra due antitesi, appartiene effettivamente a un Beethoven poco più tardo, quello dell’Eroica e costituisce l’apertura di una nuova era. Ulteriori riflessioni sulla seconda e sulle altre sinfonie di Beethoven si trovano, oltre che qui sul blog, in alcune mie opere.

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