Beethoven, Brahms e la forma sonata

In Beethoven la composizione vive grazie alla forma sonata, in Brahms nonostante la forma sonata.
Sembra schematico eppure c'è un fondo di verità. 

In Brahms la vita formicola al di fuori delle maglie strutturali, balugina in lampi isolati, seppur resi omogenei al tutto dalla maestria tecnica del compositore; ma le ragioni che li reggono e che danno loro vita trascendono gli schemi, sono ragioni di una passionalità giovanile e tracimante.
In Beethoven, al contrario, la vita della composizione nasce dall'identificazione con quegli schemi, per questo, come dice  Bernstein, il fulcro delle sue composizioni è lo sviluppo.
In barba alle istanze strutturali che pure lui stesso cercava con ogni impegno di soddisfare, sono i temi femminili (ecco cosa intendo per "lampi isolati") di Brahms quelli nei quali il sublime fa irruzione.
Ad esempio prima della coda del quarto movimento del quintetto con pianoforte, quando gli archi intonano un tema di una bellezza struggente come a prendere la rincorsa per le ultime battute, dal ritmo selvaggio.
Qui si vede che la bellezza della musica di Brahms non risiede, come per Beethoven, nella costruzione di un'impianto sonatistico convincente.
L'impianto sonatistico convincente c'è eccome anche in Brahms, ma il bello della sua musica, al contrario che per Beethoven, non è in questo fatto, ma altrove, nei momenti in cui la forma sonata non conta, in cui oltre e al di fuori della struttura emergono dei temi di un lirismo che non si può definire in altro modo che "sublime": sublime inteso quindi, in Brahms, come qualcosa che viaggia, dal punto di vista formale, al di fuori e al di sopra della struttura e, dal punto di vista temporale, è discontinuo, si pone al di fuori della continuità e assurge all' extra-temporale, che è come dire all'eterno.
Ciò è vero anche per il concerto per piano n° 1, in cui Gould (con Bernstein a dirigere l'orchestra) riesce a dare a tutta la parte del pianoforte un'impronta esecutiva "da tema femminile" (anche nei momenti in cui il piano intona i temi maschili), mentre Bernstein, in modo perfettamente simmetrico, fa di tutte le parti dell'orchestra una sorta di gigantesco tema maschile.
Viene così evitata quella che Gould stesso chiamava la "doppia dicotomia", cioè il raddoppiarsi (dovuto alla doppia esposizione, prima da parte dell'orchestra e poi da parte del pianoforte) della struttura drammatica della forma sonata, basata sul contrasto tra un tema femminile e uno maschile, conflittualità da Gould tanto aborrita.
Ma se l'interpretazione gouldiana di questo concerto regge (e regge senz'altro) ciò è dovuto non certo a quello che Gould affermava, cioè aver fatto di questo concerto qualcosa che sta in piedi dal punto di vista architettonico, intendendo con questo l'aver preservato una continuità formale-temporale mediante l'eliminazione, o quanto meno l'attenuazione, della conflittualità sonatistica.
Infatti l'unico effetto in tal senso ottenuto dalla sua interpretazione è il realizzarsi di una dicotomia unica, che in linea di principio potrebbe essere ritenuta altrettanto conflittuale di quella doppia. 
Invece il fatto che l'interpretazione gouldiana regge è dovuto proprio al contrario, cioè all'aver dilatato infinitamente, facendone un nunc stans al di fuori del tempo, resecato da qualsiasi continuità architettonico-temporale, quegli istanti sublimi, cioè i temi femminili (quelli già femminili di diritto e quelli originariamente maschili, ma resi di fatto femminili dal modo di suonarli di Gould).
Gould rompe la forma sonata del concerto, basata sulla doppia dicotomia, facendo di questa doppia dicotomia una dicotomia unica.
In questo modo lo spazio del pianoforte è interamente occupato da un'aura femminile-lirica, che risulta sublime proprio perché discontinua rispetto al tutto, dotata cioè di valore autonomo extra-temporale, laddove l'orchestra, interamente "maschilizzata", fa solamente da appoggio al lirismo del pianoforte.



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