Le quattro fasi nello stile interpretativo-direttoriale di Leonard Bernstein


Ci sono a mio avviso quattro fasi nello stile interpretativo direttoriale di Leonard Bernstein. 

La prima è sorprendentemente formale, ingessata. Per chi, come me, ha conosciuto prima la terza fase (il fulgore), ascoltare le prime esecuzioni di Bernstein stupisce. Precisione, eleganza, ma rigidità e scarso pathos. 

La seconda fase, in cui l'espressività interpretativa viene come liberata, costituisce un capovolgimento di prospettiva: l’estremo opposto, fisicità, sensualità, esaltazione, energia. Prevale l’aspetto dionisiaco nella sua variante massima. Le prime sinfonie di Mahler degli anni ’60 (UNITEL DVD) rivelano uno scarto tra l’evidenza di una musica ostica e l’esaltazione massima con cui essa viene eseguita come se si trattasse della cosa più spontanea e gioiosa del mondo. 

La terza fase, a mio avviso quella d’oro, compendia in una mistura irripetibile le prime due, ed è esemplificata magnificamente dal Fidelio live del ’78 (DVD) e dal ciclo “Bernstein dirige Beethoven” (edito da Unitel e risalente al 1982). Quella è l’apoteosi in cui energia, pulizia dei dettagli, umanesimo e futuro si fondono in un tutto perfetto e irraggiungibile.

La quarta fase di Bernstein è quella della maturità estrema: gli anni immediatamente precedenti la morte. Ne sono un esempio: la nona di Beethoven diretta a Berlino nell’’89, il ciclo delle ultime sinfonie di Mozart registrate. I tempi sono molto, molto lenti. Il dinamismo se n’è andato. Vorrei sospendere il giudizio su questo ultimo periodo: la maturità espressiva di un interprete è uno sguardo fenomenologico sul mondo che noi forse non siamo in grado di cogliere appieno semplicemente perché non ci è dato ancora di scoprire alcune “cose nuove” che sono sì insite nella musica, ma che appartengono a un registro la cui sensibilità ci è ancora preclusa.



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