Uno scritto di molti anni fa


C’è un parossismo, una drammaticità ideologica (lotta del Bene contro il Male) nella forma della musica di Beethoven, parossismo del quale l’interpretazione classicistica di Muti non riesce a rendere ragione.
I movimenti laterali delle sinfonie, quelli in forma sonata, nei quali tale forma è asservita ad una drammaticità ideologica, sono quelli resi meno bene da Muti, mentre invece quelli centrali, che costituiscono spesso una parentesi classica priva di quelle innervature parossistiche (mercé l’assenza della forma sonata) vengono da lui resi molto bene (v. p. es. il III mov. della Settima).
Se si confronta l’interpretazione beethoveniana di Muti con quella di Bernstein, si nota come quei passaggi in stile prettamente classico che il direttore italiano esegue così bene, cioè accuratamente e chiaramente, concentrandovi l’attenzione, vengono concepiti da Bernstein come materiale magmatico di passaggio, funzionale ad una nuova esplosione della drammaticità nel fortissimo del “tutti” orchestrale.
Per contro, ed analogamente, i “tutti” sui quali si concentra così efficacemente l’attenzione di Bernstein (v. p. es. il finale del I mov. della Settima), vengono sviliti da Muti il quale li ritiene evidentemente passaggi in stile classico mal riuscito (ed è precisamente ciò che pensavano i primi critici contemporanei di Beethoven, detrattori della sua musica che non capivano appieno in quanto non completamente classica, non più e non solo tranquilla geometria di forme, ma anche programma ideologico).
Quell’insistente ed irruenta esplosività, che si serve delle forme classiche come di uno strumento logico per la costruzione di un sistema ideologico e passionale, turbava le orecchie dei primi ascoltatori di Beethoven, e quelle di Muti; il quale - c’è da scommetterci - se potesse riscriverebbe “meglio” (cioè secondo il suo orecchio classico maggiormente attratto da fini geometrie sonore) i passaggi più drammatici delle sinfonie beethoveniane, quelli in cui, per godere appieno, è necessario essere tipi che ci tengono ad avere ragione.
Il meccanismo psicologico (oltre che filosofico) dell’assenza-attesa-soddisfazione finale, che sulla scia di Beethoven troverà il suo apice nella musica di Mahler, non interessa a Muti, interessa invece moltissimo a Bernstein, non a caso grandioso interprete di Mahler.
Nella musica di Mahler intere mezz’ore di movimenti sinfonici sono scritte in funzione ed in preparazione di uno scoppio finale, di un’esplosione che assume e riassume più che mai l’essenza di una rivalsa ideologica (in Mahler è chiaramente configurabile addirittura il soggetto fisico di questa rivalsa del Bene sul Male: il mondo dei dimenticati il quale riemerge contro il corso del mondo che li aveva sfruttati e soggiogati). I bambini (onnipresenti nell’immaginario dei Lieder mahleriani), i personaggi tzigani del circo (nella I Sinfonia melodie tzigane e circensi invadono il freddo, positivistico meccanismo della Natura-Macchina, natura snaturata ricreata dall’uomo che ha il proprio simbolo nella locomotiva, di cui l’Autore proprio all’inizio della composizione ci fa udire il sibilo), le donne abbandonate dai propri uomini partiti a militare ed uccisi in guerra (v. tutti i Lieder di genere guerresco) costituiscono un affollato e dolorosissimo mondo che attende le proprie rivalse nei “tutti” delle sinfonie Mahleriane, rivalse che nel contro-mondo delle sue sinfonie, in questo mondo alla rovescia, puntualmente arrivano, ci bagnano di pioggia fresca dopo averci fatto attendere e soffrire.



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