Le fanfare mahleriane
Le fanfare mahleriane e la questione
del volgare in musica. Di marce e fanfare è piena la musica di
Mahler, tanto che è un topos dire che egli attinge molta della sua
ispirazione al mondo della musica triviale, accostandola alla musica
aulica. Ma è come interpretiamo questo accostamento a fare la
differenza nel grado di comprensione della sua musica. Se ci
limitiamo a dire che tale accostamento del triviale all’aulico è
provocatorio, non avremo svelato granché, ma almeno non avremo detto
un’aberrazione. I problemi cominciano quando si definisce tale
accostamento, come ha fatto molta critica, “ironico”, o
“sarcastico” e qui si apre la questione dell’ironia in musica.
Dubbi simili agitarono Glenn Gould e Leonard Bernstein, il primo
lasciando aperta la questione, il secondo propendendo per la risposta
negativa (quando dice che, componendo, uno non può che essere se
stesso, si deduce che quell’uno non può essere qualcun altro in
cui non crede, e di qui viene a cadere l’ironia che si basa proprio
sul principio del “fare il verso” a qualcuno/qualcosa in cui non
si crede). Nel caso di Mahler la risposta al quesito (se vi possa
essere ironia in musica)è negativa nel merito. V’è
un’identificazione, e non una presa in giro, nelle marcette
militari da disperati, nelle fanfare e nelle musiche da tabarin. E’
l’identificazione col mondo degli oppressi i quali trovano per un
istante (ma è un istante eterno, un nunc stans) il riscatto dal
corso del mondo che li ha schiacciati e travolti. Perciò è tutto
fuorché ironico il movente della musica triviale in Mahler. Caso più
limpido di tale fenomeno è la marcia funebre della I che è intonata
sulla melodia di Fra’ Martino in modo minore e che si accende di
bagliori tzigani fino all’avvento di un carrozzone da circo
trascinante, in cui il suono delle trombe ha grande importanza e che
simboleggia il funerale del cacciatore approntatogli dagli animali,
coloro che solitamente – nella vita reale – sono le sue vittime.
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