La superiorità estetica del quartetto per archi rispetto ad altri generi di musica strumentale

Scrive l'immaginario critico musicale Algesio Erbi, nella sua Grande storia universale del quartetto d'archi: "Data per presupposta la superiorità della musica strumentale su quella vocale, per tutte le ragioni indicate da quegli Autori dell''800 passati in rassegna così bene da Carl Dahlhaus nel suo L'idea di musica assoluta (Firenze, La nuova Italia, 1988, Tit. Orig.: Die Idee der Absoluten Musik, Kassel, 1976), possiamo tranquillamente affermare anche la superiorità estetica del quartetto d'archi rispetto ad altri generi di musica strumentale. Rispetto alla sinfonia, il quartetto presenta il vantaggio di rendere pressoché impossibile il ricorso da parte del compositore alla retorica magniloquente: quanto deve durare un movimento, prima di morire di noia? Quanto deve essere prolungato un crescendo, prima di chiamare un'ambulanza? Quanto dev'essere forte un tutti, prima di chiedere un risarcimento per possibili danni all'udito? Con buona pace di Adorno (Cf. Introduzione alla sociologia della musica, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1971, p. 175; Tit. Orig.: Einleitung in die Musiksoziologie. Zwolf theoretische Vorlesungen, 1962, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main), il comfort acustico ha il suo perché. In confronto alla musica per strumento solo, il quartetto presenta una maggiore completezza armonica e una maggiore ricchezza timbrica. In confronto al concerto per strumento solista e orchestra, si rileva nel quartetto un migliore equilibrio nella dinamica tra le parti. Riguardo a quest'ultimo punto, è scoraggiato in partenza, per l'organico stesso del quartetto, il ricorso del compositore a facili effetti quali il contrasto tra pianissimo e fortissimo e infatti possiamo annoverare tra i peggiori compositori di quartetti precisamente coloro che tentano di farvi ricorso. Che dire riguardo al confronto con il trio d'archi (molto migliore quello per pianoforte, violino e violoncello, al pari del quartetto con un solo violino, viola, violoncello e pianoforte), genere di per sé monco, in cui inevitabilmente vi sarà tra le parti un terzo escluso che tenta di prevalere per far sentire la propria voce? Del pari, assai imperfetto appare - al confronto con il quartetto d'archi - il duo, con il suo genere principale, ossia la sonata per strumento principale ed accompagnamento, in cui uno dei due strumenti è quasi sempre come un gregario sullo sfondo, o per stile compositivo o per qualità timbrica. Non parliamo poi nemmeno del quintetto (quale che sia la combinazione di strumenti di cui è composto) e poi su, su fino al settimino e oltre: generi strumentali in cui la noia timbrica e la ridondanza delle voci sono di palmare evidenza. Si superino anche - scrive Erbi - le critiche all'idealizzazione del quartetto come genere privato per persone paghe di sé, critiche mosse da parte di Adorno nel capitolo sesto ("La musica da camera") della sua Introduzione alla sociologia della musica (Giulio Einaudi Editore, Torino, 1971, pp. 110-111; Tit. Orig.: Einleitung in die Musiksoziologie. Zwolf theoretische Vorlesungen, 1962, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main). Ché la tesi adorniana della concorrenza reciproca degli esecutori e del loro antagonismo come nesso originario all'origine del quartetto pare risentire della sua concezione generale in base alla quale l'arte, per essere tale, deve rappresentare una quota di conflittualità e non può essere tranquilla senza essere ideologica, tesi che risente indubbiamente della concezione marxiana dell'arte stessa".

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