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Dettagli del III movimento della VII di Beethoven (sezione B: legni e ottoni). La parte dei legni nell’edizione Bernstein (’82) rappresenta un optimum per fraseggio, intonazione, dinamica, colore del suono e scelta agogica: c’è tutto e c’è anche il piacere di suonare. Azzardo: l’autocoscienza piena di un momento unico. Il I movimento della medesima sinfonia: ancora trionfale la scelta di Bernstein di non esaltare in rigidità parossistica il già innumerevoli volte ripetuto tema ritmico, che diverrebbe altrimenti ossessivo senza scopo (e perciò noioso). Ancora una volta, come notato da Zurletti a proposito di Petruska di Stravinsky, l’accento interpretativo posto da Bernstein sul colore del suono risolve in modo ateoretico (anti-ideologico), ma per ciò stesso molte volte efficace, il problema interpretativo eludendolo alla fonte. Esempi marcati di tale scelta interpretativa connaturata al direttore sono i capolavori sommi beethoveniani dove l’elemento della volontà di potenza è sacr

Chopin, partendo da Pollini

Magistrale la sua tecnica. Ma è nel fraseggio che eccelle. Nessun passaggio affrontato per finta, tutte le difficoltà sono affrontate in modo reale. Non vi sono pedale o rubato a confondere. La consacrazione con gli Etudes di Chopin. L'accuratezza del fraseggio è sottoposta a ipercontrollo. Pollini prende tutto come uno studio, anche i notturni. Alla fantasia, al sentimento, predilige lo studio, la ricerca, il cervello. Il suono e la sua bellezza sono in funzione della precisa rivelazione della struttura ritmica, armonica del brano. Tutti i dettagli del fraseggio vanno curati, pensati e passati al vaglio della perfezione tecnica. Al rubato è preferita la regolare scansione ritmica. Tutti i passi più difficili vanno suonati in tempo, senza barare. Metodo, più che ispirazione. E sempre, con qualunque brano, autore. E' lo studente che deve sempre farsi vedere come il più bravo a suonare. Su tutto c'è questo: mai una sciatteria stilistica, una nota falsa, una esecuzione che

L'ouverture Leonore III di Beethoven nell'edizione dal vivo diretta da Leonard Bernstein nel 1978

L’ouverture di Beethoven Leonore II nell’edizione live del ’78 diretta da Leonard Bernstein. L’incredibile energia, la gioia, l’ottimismo, la positività di Bernstein e la sua maschera di stanchezza, come un’ombra sul volto. Che cosa poteva mai dare di più, se non interamente sé stesso, a questa musica, a tutte le musiche eseguite? Oggi la tecnologia continuamente trasformantesi e apparentemente effimera e puramente commerciale, consente di rendere eterni tutti i documenti registrati in un formato sempre migliore. Questo dà un significato concreto al lascito solenne che un tempo era caratteristica distintiva, forse, della sola scultura. Ancora non molti anni fa alcuni intellettuali si vantavano di aver intuito, unici tra tutti, l’estrema caducità degli scritti, causa la deperibilità della carta. Analoga debolezza venne attribuita ai primi supporti informatici per i documenti, ma il progresso dei supporti, e soprattutto il concetto di sicurezza inteso come copia periodica e continua ha

Una teoria molto discutibile

DAVANTI E DIETRO LE QUINTE Le varie età di un musicista corrispondono alle età della storia della musica (con qualche approssimazione, evidentemente), il che potrebbe far riflettere, in grande, sulle varie età dell’uomo in generale. Partiamo da un selvaggio gruppo di ragazzini dai nove ai dodici anni che si preparano al loro piccolo saggio musicale in una sala della periferia cittadina. Il palcoscenico non viene vissuto da loro come distaccato dal resto del mondo, che è unificato in uno spirito conviviale: è l’età del “con”. Non esiste scissione tra “io” e “mondo”, tra musicista e pubblico, e anche la paura del palcoscenico rientra sempre e comunque a far parte dello stesso gioco, dell’armonia del mondo. La convivialità è armonia del mondo, e quei ragazzini non sono scissi dal mondo, come le statuine non sono scisse dal presepe di cui fanno parte. A quale età della storia della musica corrisponde questa infanzia fatta di armonia, di assenza di scissioni, di u

Il sublime in musica

Michel Deguy ("Le grand-dire" in Du sublime , Paris, Editions Belin 1988, p. 18) cita come esempio di sublime in musica il quintetto op. 44 di Schumann, "oppure" (ma si fatica a capire il senso di questa sua alternativa) l'adagio dell'op. 106 di Beethoven. Niente da ridire sulla scelta dei brani, ma allora perché non citare (ad esempio) le Suites inglesi di Bach, o il concerto per pf. e orch. in re minore di Brahms? Questo per dire quanto sia pericoloso far slittare una possibile definizione del sublime su questioni di gusto personale, con il rischio della creazione di fazioni contrapposte che utilizzino le loro opere preferite per avvalorare una propria concezione del sublime piuttosto che un'altra. Il tentativo che andrebbe fatto sarebbe piuttosto quello di definire diverse concezioni del sublime a partire dalle diverse modalità di scorrimento del tempo (non solo in musica), perché probabilmente esistono tanti sublimi quanti ritmi di scor

Tre saggi di filosofia applicata

1) FILOSOFIA APPLICATA ALLA CRITICA LETTERARIA Contraddizioni (recensione del libro Kafka, romanzo e parabola di Giuliano Baioni) Giuliano Baioni, in Kafka, romanzo e parabola , ci fornisce un quadro che ci reca un'impressione ambivalente: come se il critico non riuscisse a soddisfare alcune delle istanze che l’opera di Kafka sembra invece porre. I motivi di perplessità potrebbero riassumersi nella critica seguente: Baioni sembra cadere in contraddizione. Egli infatti dichiara di essere concorde con l’interpretazione polisemica già inaugurata da alcuni interpreti di Kafka, quell’interpretazione cioè in base alla quale si tenta di rendere ragione, esplicitandoli, di tutti i possibili significati e di tutti i possibili piani interpretativi del testo kafkiano. Alcune di queste direttrici interpretative tradizionali, sviluppate in modo predominante ciascuna da gruppi di critici diversi sono le seguenti: la ricerca, nell'opera di Kafka, del significato psicoanalitico-f