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Visualizzazione dei post da febbraio, 2018

Minuto 5,40 18 anni dopo: la porta non c'è più

Nell'edizione del 1988, con Abbado sul podio dei Berliner , Pollini non ripete la magia dell' edizione del 1980 del primo concerto di Brahms per pianoforte e orchestra (allora l'orchestra erano i Wiener e il direttore era Bohm ). Senza sapere con certezza perché (i tempi sono simili, il pianista è lo stesso), la magia non si ripete. Per esempio, nel passo al minuto 5,40 (il conto dei secondi è quasi uguale nelle due edizioni) non si verifica l'accesso al mondo parallelo che si era verificato nel 1980. Non ha luogo il Nunc Stans . Dinamica? Timbro? Agogica? Non si riesce a stabilire con certezza quale combinazione di tali fattori fa sì che in un caso si abbia un'esecuzione letteralmente dell'altro mondo e nell'altro invece no.

La sprezzatura come chiave dell'interpretazione

In Scritti sulla musica (2016) ho affermato che quando un interprete trova la chiave interpretativa per accedere al mondo parallelo, lui e il compositore vengono trascinati via ed entrano a far parte del quadro estetico che essi stessi esprimono (ho denominato questo fenomeno anche come poetizzazione del mondo, precisamente in Scritti sulla musica 2016 , paragrafi 263 e 341). Ora preciso che lo strumento che permette all'interprete di fare ciò (la chiave interpretativa) è la sprezzatura , la nonchalance , ossia la possibilità di riuscire a suonare precisamente nel modo giusto, cioè bello, senza destare alcuna impressione di volerlo dimostrare. Più precisamente, la possibilità di suonare come se la bellezza fosse un fatto normale, quotidiano.

Fenomenologia sinestesica in funzione estetologica

Se noi uniamo il metodo di Husserl  (discendente obbligato della gnoseologia kantiana ) con la sinestesia , avremo da cercare correlazioni e natura delle immagini evocate dai passi musicali, con ciò connotando, come ho fatto rilevare in Scritti sulla musica (2016) , una geografia dell' estetica  (o estetica regionale), afferente ad un cosiddetto mondo parallelo che non ha, se non pallidamente, correlazioni con la storia e la geografia musicali dell'aldiquà fenomenico (storia e geografia degli uomini). Partendo da tale assunto (fatalmente assolutistico), noi potremo intraprendere la ricerca geografica accedendo da qualsiasi porta spazio-temporale di collegamento tra l'aldiquà fenomenico e l'aldilà fenomenologico del mondo parallelo. Si può prendere, per esempio, il minuto 5,40 del primo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms in Pollini 1980 , così come si possono prendere infiniti punti d'ingresso e accedere in zone volta a volta differenti del mondo pa

Pollini 1980 nel primo di Brahms

Non solo, come di consueto, articolazione del fraseggio perfetta, ma anche vigore massimo e giusta temperie emotiva: qui Pollini 1980 si supera. E - incredibilmente (l'avverbio è d'obbligo) - risulta ancora più convincente del già strabiliante Gould 1962. Gli è che qui non vi è - come invece altrove in Pollini (basti riferirsi al suo secondo di Brahms 1977, non convincente, né pari per esempio all'edizione Zimerman/Bernstein) - né fretta, né freddezza, né meccanicità nella perfezione esibita. I passi più sublimi (verrebbe da dire "sublimissimi") del noto primo movimento vengono da Pollini 1980 articolati meglio del canadese (si pensi al passo del minuto 12,00 di Pollini 1980, o a quello del minuto 19,30), laddove l'emergere delle note nel loro giusto peso e dei timbri fa acquisire più espressività a quei passi che Gould volle mettere in rilievo tramite l'andamento complessivo, più lento rispetto a quello preso da Pollini e da diversi altri interpreti (ese

I limiti delle esecuzioni filologicamente corrette

Tutto un gruppo di pensatori, critici ed esecutori (restando ferma la domanda - cui forse si deve rispondere caso per caso - se questi ultimi siano da considerarsi “artisti” al pari dei compositori) ritiene che la musica barocca vada eseguita con strumenti d’epoca, che l’intonazione debba essere regolata su quella d’epoca (sensibilmente più bassa di quella odierna) e che lo stile esecutivo debba essere quello (supposto) dell’epoca (p. es.: assenza di vibrato, od anche un vibrato estremamente lento ed oggettivamente poco brillante). Ma, a parte il fatto che nessuno di noi potrà mai sapere con esattezza come si eseguissero all’epoca i brani, occorre precisare, prima di ogni proclama, i presupposti di fondo, pena la ricaduta nel dogmatismo. Chi sostiene la necessità di esecuzioni filologicamente corrette si appella al rispetto dell’intenzione del compositore, in ottemperanza a quella convinzione che vuole l’esistenza di una e una sola interpretazione ottimale, da identificarsi

"Storie" della musica

Nonostante siano pochi gli anni e i chilometri che separano l’anno ed il luogo di composizione de Le Rouet d’Omphale (1871) di Camille Saint-Saëns (Parigi 1835 - Algeri 1921) da quelli dei Wunderhornlieder (1892-1901) di Gustav Mahler (Boemia 1860 - Vienna 1911) la differenza tra i mondi messi in gioco non potrebbe essere più radicale: tanto questo si abbevera alle fonti della luttuosità tipica dell’Europa fin de siècle , quanto quello espande una leggerezza tipica della tradizione francese, capace di ritagliarsi spazi pieni di charme in ogni epoca della storia della musica. Mentre i Wunderhornlieder vedono la luce in una temperie artistica ed umana che, attraverso le proprie turbolente vicende private, esprime certi cupi presagi della quasi imminente grande guerra, la vivacità sublime del poema sinfonico di Saint-Saëns rischia quasi, al confronto, di apparire fuori dalla “Storia”. Ma quanto poco abbiano senso tutti gli stereotipi sulle pretese “correnti” storico-

Dinamismo, drammaticità e privilegio assegnato allo sviluppo

Qualsiasi discorso sullo stile interpretativo passionale di  Bernstein  va approfondito subito, se non si vuole correre il rischio di incappare in una catena di esasperanti luoghi comuni. In realtà, se da un lato è vero che in generale lungo tutto l’arco dell’esecuzione di un brano per Bernstein conta l’espressione diretta della vita, dall’altro lato non è vero che questa pretesa interferisca sempre con una resa accurata del brano stesso, in nome di una non meglio definibile visceralità. Se ascoltiamo infatti attentamente, per esempio, le  sinfonie  di Beethoven dirette da Bernstein, ci accorgiamo che mentre l’esposizione risente spesso di una mancanza di accuratezza da imputarsi senz’altro a una visceralità un po’ affettata, gli sviluppi vengono invece interpretatati e fatti eseguire con una accuratezza da miniaturista. Ora, è importante riconoscere che questa disparità di “trattamento” non è frutto del caso, dell’errore, o di entrambi, bensì corrisponde a una concezione ber

Elogio dell'Espressionismo musicale

La capacità dell’ espressionismo musicale di essere futuro (‘900) e i suoi legami col passato (‘800). Mi rifiuto di vedere nell’espressionismo un fenomeno da museo, un qualcosa di relativo e come tale morto e sepolto. L’impulso dell’espressionismo musicale verso il futuro, con quei suoni mai uditi, inauditi, configura il futuro come spazio utopico. Io credo fermamente che la lettura del ‘900 visto dalla prospettiva dell’espressionismo, faccia del ‘900 un simbolo della modernità, che quel segnavia aperto, quel tracciato verso il futuro costituisca un futuro utopico, aperto in quanto in parte è solo immaginato e pertanto ancora possibile, in parte realizzato. Per collegarci al ‘900 indicato in visione dagli espressionisti, bisogna rifarsi a Benjamin , alla sua visione della storia.

La nona di Beethoven

La nona di Beethoven è difficile da concepire soprattutto perché v’è sopra una patina di mito, tale quale che per la quinta , ma che le ha nuociuto più che alla quinta. Il tratto più interessante del primo movimento è, da un lato l’apertura verso il futuro, dall’altro lato la domanda, intensa e drammatica sul versante umano, della mancata ostensività della giustizia divina del mondo nel mondo stesso ( teodicea ). Tale interrogativo drammatico trova una forma piena, come di tempesta, tale da far impallidire, con ondate successive, per intensità e durata, il già strabiliante episodio del temporale nella sesta . Mi riferisco in particolare alla sezione centrale, in cui viene riproposto insistentemente il primo tema in mezzo al rullare incessante, insistente e infinito dei timpani. Altro momento topico della drammaticità e della proposizione del problema della teodicea è la coda del primo movimento, che si potrebbe definire la coda perfetta, ossia la più imponente, la più drammatica di

Due interpretazioni del Bolero

Il confronto tra l’interpretazione del Bolero di Ravel operata da André Previn e quella di Felix Slatkin mette in luce come uno stesso brano, per quanto arcifamoso al punto da risultare stucchevole alle orecchie di molti, possa offrire sempre angolazioni differenti e quindi sempre nuovi spunti di interesse. Mentre Slatkin ci offre una esecuzione che forse potremmo definire "normale", nella media, sia come fraseggio, sia come andamento, sia come agogica e dinamica, Previn - affidandosi ad un taglio esegetico anti-intuitivo e profondamente razionalista - sceglie un tempo infinitamente lento e cerca di modellare un sempre cangiante rubato sui diversi timbri dei vari strumenti (con effetto, per esempio, a tratti jazzistico). In estrema sintesi si potrebbe affermare che mentre l’interpretazione di Slatkin si lascia apprezzare per la sua scattante ed ortodossa griglia ritmica, quella di Previn tende a contrapporvisi, mettendo in evidenza differenze, sfumature e cedimenti in spr

Mahler, Proust e il tempo discontinuo

Come in Proust, la musica di Mahler porta alla ribalta un io passato, incompatibile con l’io presente e quindi determinante un salto di coscienza, a differenza che nella memoria involontaria di Bergson, in cui la durata reale – il flusso di coscienza alla James – non viene interrotta dal sopraggiungere del ricordo, pur pervasivo e involontario. In Mahler si ha una discontinuità di stati dell’io, in quanto gli stessi temi (parenti dei  leitmotiv  wagneriani), quando si ripresentano, risultano inaspettatamente modificati. Come se non fossero più loro: una persona dallo stesso aspetto e dalla personalità completamente diversa. La musica di Mahler, è la continua evocazione di mondi perduti. Inoltre, è significativo porre l'accento sulla prolissità della musica di Mahler, perché nella sua musica, oltre a questo elemento proustiano di rimpianto per passati mai vissuti, c'è un'altro elemento: la casa felice e serena della musica perpetua. Un'abitazione di cristallo,

Sulla musica strumentale barocca

Da dove viene la sua armonia, il suo essere "in pace col mondo", tuttavia nient'affatto scevro di passione, ma non una passione sradicata dal mondo (con la scissione perenne io/mondo, come nei romantici), bensì felice di essere al mondo? Da dove viene tutto questo, se non dal fatto che la musica strumentale barocca è concepita per (e composta in) situazioni conviviali? Il sublime della musica strumentale barocca sta in un sano "con" (In tal senso, mi pare, cfr. Carl Dahlhaus, La musica dell'ottocento , 1990, La Nuova Italia Editrice, Scandicci - Firenze, pp. 278-279, Tit. Orig.: Die Musik des 19. jahrhunderts, 1980, Akademische Verlagsgesellschaft Athenaion, Wiesbaden Lizenzausgabe mit Genehmigung des Akademische  Verlagsgesellschaft Athenaion ) .  Se infatti prendiamo in considerazione i brani strumentali barocchi che sono diventati famosi anche grazie al fatto di essere stati inseriti in un film come colonna sonora (per esempio l’ A

I Romantici alle prese con la forma sonata

Beethoven aveva portato ai massimi vertici la forma sonata, rendendola uno strumento cardine di organizzazione formale, di drammatizzazione musicale e rivestendola di un simbolismo morale evidentissimo. I Romantici, specie i primi, sentono il bisogno di affrontare l’istituzione della forma sonata tentando altresì di armonizzarla con le nuove istanze di espressione diretta del sentimento, di aspirazione all’infinito, all’ombroso, allo sfumato. Dal punto di vista formale, com’è noto, tale urgenza espressiva dei Romantici si manifesta attraverso l’attenzione alla melodia, al colore del suono, alla dinamica ed alle variazioni agogiche - scritte e non - all'interno del brano ( rubato ). Sono proprio questi nuovi strumenti formali a cozzare in vario modo con l’estrema quadratura della forma sonata, apparato squisitamente classico che presuppone una illuministica chiarezza di intenti. La precisa definizione dei contorni delle varie sezioni della forma sonata male si attaglia

La soddisfazione di Beethoven

Perché non paragonare Beethoven a uno dei tanti compositori di ogni epoca? Quali ne sono i tratti distintivi? Non parlo di stile. V’è una caratteristica distintiva che ne identifica la musica e che non è costituita da una miriade di elementi estetici sparsi, ma consiste bensì in un concetto unico: la costruzione di un mondo che rispecchi la concezione della scoperta che l’universo è giusto. La dimostrazione in musica della giustezza dell’universo. La sua arte mira  – in una certa formula che rispecchia nel piccolo l’infinito – alla dimostrazione dell’armonia universale, alla sua presentazione, meglio. Di qui la soddisfazione che deriva dalla dimostrazione, dal carattere  apodittico della sua musica. E’, certo, la musica per avvocati che Jankelevitch stigmatizza, ma è anche molto di più: rappresenta in piccolo un universo. Potremmo decidere che si tratta di un universo parallelo, troppo bello per essere vero, oppure della fotografia dell’universo così com’è veramente: questo è

Divagazioni sulla linea Beethoven Mahler

C’è un parossismo, una drammaticità ideologica (lotta del Bene contro il Male) nella forma della musica di Beethoven, parossismo del quale l’interpretazione classicistica di Muti sembra non riuscire a rendere ragione. I movimenti laterali delle sinfonie, quelli in forma sonata, nei quali tale forma è asservita ad una drammaticità ideologica, sono quelli resi in modo meno convincente da Muti, mentre invece quelli centrali, che costituiscono spesso una parentesi classica priva di quelle innervature parossistiche (mercé l’assenza della forma sonata) vengono da lui resi in modo brillante (v. p. es. il III mov. della Settima ). Se si confronta l’interpretazione beethoveniana di Muti con quella di Bernstein, si nota come quei passaggi in stile prettamente classico che il direttore italiano esegue così accuratamente e chiaramente, concentrandovi l’attenzione, vengono concepiti da Bernstein come materiale magmatico di passaggio, funzionale ad una nuova esplosione della drammaticità nel fo

La ciclicità come principio romantico

Wagner , Mahler , Franck , Berlioz , ma anche Schumann (per esempio nel concerto per violoncello ) hanno fatto uso della ciclicità : la tecnica non è estranea alla maggior parte dei compositori di ogni tempo. Ma nella sua forma caratterizzante e ideologica, per la quale un tema si trasforma e ricompare invecchiato o con atteggiamenti caratteriali volta a volta non solo diversi, ma anche molto distanti fra loro per temperamento, si può dire che sia una forma prediletta dai romantici. I temi sono come persone che si presentano ogni volta in modo diverso e che dicono, nella loro somiglianza, volta a volta qualcosa di profondamente diverso. Il risultato espressivo è affine a quel genere di sorpresa che si rileva all'ascolto di quel genere musicale che più di ogni altro è fondato sulla ciclicità, cioè il tema e variazioni .

Schumann è un bravo ragazzo?

Confronto Pollini - Richter nel concerto per pianoforte di Schumann . Se noi prendiamo due pesi massimi di tal fatta, riesce difficile istituire l' optimum . Però si possono cogliere alcune differenze di carattere, aldilà del virtuosismo. Nel caso di Richter, una concezione più fluida della scansione ritmica e una maggiore escursione dinamica sono gli strumenti espressivi al servizio di una concezione che si potrebbe definire quasi  dostoevskiana   ante litteram del concerto di Schumann, in cui vi è un elemento quasi demoniaco . Nel caso di Pollini invece, ritroviamo una logica quadrata, assai nobile negli intenti come nella realizzazione, ma che parrebbe tradire una sorta di petitio principii a proposito dell'innocenza del romanticismo schumanniano: Schumann pare qui un bravo ragazzo che rivela la propria giovane età, i propri sogni. Richter sembra dimostrare il contrario. Tra i molti passi in grado di asseverare la notata differenza interpretativa tra i due, vi è l

Sempre il suono innanzitutto

La volutamente affettata pseudo-semplicità para-mozartiana con cui Michelangeli conduce l'esordio del pianoforte nel primo movimento del primo concerto di Beethoven, con Giulini sul podio, costituisce l'espressione di una provocatoria maniera, e già dalle prime acciaccature e poi dagli accordi durante la ripresa del tema principale del pianoforte al minuto 5,30, si nota qualcosa di strano e di sospetto, oltreché di inauditamente bello: Michelangeli fa risplendere le dissonanze date dalle acciaccature e da alcuni accordi, sicché si intuisce che la forma dei temi è solo una trama su cui egli intesse un preziosissimo broccato e damascato di grappoli di note belle come perle, e il suono diventa magicamente il regista incontrastato della sua interpretazione, il concerto risultando solo ormai un canovaccio volto a dar risalto alla bellezza di quel suono.

Pollini ed Abbado (1992) nel terzo e nel quarto di Beethoven

E' nel quarto concerto per pianoforte di Beethoven che Pollini ed Abbado eccellono. Basti pensare, nel primo movimento, alla progressione di Pollini al minuto 5,30, o a quella al minuto 12,30, di impressionante maestria. Il secondo movimento, che talora risulta a rischio di staticità enfatica e un po' retorica, è risolto da entrambi con il reperimento dell' intimismo tramite un registro espressivo come di canto soffuso: una vera celebrazione di bellezza. Il terzo movimento è di incanto poetico in alcuni passi e in altri, come la coda, di travolgente vitalità e forza, pur essendo movimento di non poca asprezza nelle interpretazioni di molti. L'intera esecuzione e interpretazione del concerto è così potente e a così alti livelli di maestria che difficilmente si potrebbe riuscire a concepire qualcosa di meglio. L'intesa poi tra i due è qualche cosa di veramente unico. E pensare che nel terzo concerto per pianoforte di Beethoven, la stessa coppia fornisce un'inter

Mahler, prima sinfonia, terzo movimento.

Il terzo movimento della prima sinfonia di Mahler ne apre il capitolo umano, giacché i primi due, nel programma originario poi cancellato come sempre dall’Autore per lasciare posto solo alla musica, rappresentano la natura in sé stessa. Si tratta però di una natura meccanizzata, in pieno stile positivista, in cui i cucù emettono intervalli di quarta discendente (anziché di terza, come i normali cucù) e l’intero apparato ritmico, melodico ed armonico si snoda a poco a poco ricordando più il pesante e sferragliante mettersi in moto di una locomotiva, che non il risveglio di una natura incontaminata. Il terzo movimento ci presenta invece la passione (tardoromantica e dunque rigorosamente disperata) ad un livello estremo, con una melodia annunciata in modo “circense” dalle trombe e ripresa dai violini in un impeto di totale lirismo. A questo episodio se ne aggiunge un altro, più sereno, ed entrambi sono intervallati, nonché incorniciati dalla melodia di Fra’ Martino campanaro in modo

Confronti

Le differenze tra le varie esecuzioni riflettono sempre differenze più o meno profonde di approccio interpretativo tra i vari interpreti. A volte, a cambiare è l’intera mentalità, per così dire il “segno” dell’estetica sottostante l’interpretazione. L’ascolto analitico comparato di uno stesso brano in diverse esecuzioni ci mette in grado di far venire alla luce le differenze macroscopiche e microscopiche che contraddistinguono ogni interpretazione dalle altre. A volte - è appena il caso di notarlo - differenze apparentemente macroscopiche non corrispondono a interpretazioni di segno radicalmente opposto, laddove invece differenze minori e più sottili possono essere la spia di un cambiamento radicale di mentalità: tale infatti è la struttura di ogni brano musicale, per cui basta il mutamento di un particolare anche misero ed apparentemente insignificante per dare all’intera struttura un senso completamente diverso. Alcuni esempi di confronti tra brani: Beethoven, Sinfonia

Il Nunc Stans e Brahms

Il Nunc Stans e l’ hic et nunc . Mentre il primo è l’attimo che diventa eternità, il secondo è l’attimo fuggente dei cirenaici . La musica oscilla tra questi due poli. Poniamo Brahms , per esempio. In Brahms i due poli sono alternativi e spesso rudemente non integrati tra loro. Ciò significa che, ad esempio nel primo concerto per pianoforte di Brahms , vi sono dei laghi blu, o bagliori, corrispondenti al Nunc Stan s, alternati con dei momenti di Streben qualificabili come hic et nunc . Parrebbe ovvio concluderne che tale non integrazione corrisponde a una mancata integrazione del risultato artistico, invece non è così. Anche se in Brahms i momenti di Nunc Stans baluginano – non integrati – tra le maglie della struttura formale, il risultato ne è che la “veduta di scorcio” dei Nunc Stans medesimi risulta ancora più sublime. Se poniamo il sublime come condizione di veduta dall’alto di una felicità inconsapevole, la musica di Brahms ne incarna pienamente l’ideale. La vita program

Il Nunc Stans e Beethoven

Il Nunc Stans e il problema del dinamismo beethoveniano . Il Nunc Stans è l’attimo sublime che diviene eterno perché è come una veduta di scorcio del paradiso, non importa quanto lunga o breve. Se noi paragoniamo questo ai momenti di dinamismo (le esplosioni del fortissimo in seguito a tensioni agogiche e dinamiche, i ritmi e gli andamenti marcati e concitati, l’espressione gioiosa, ecc...) notiamo come queste facciano parte del coté della volontà di potenza e come riportino al versante umano dell’espressione musicale. Come si conciliano questi due versanti? Il primo movimento della quarta sinfonia di Beethoven ne è un esempio eclatante. L’introduzione lenta risponde alla prima istanza (Nunc Stans) mentre l’inizio effervescente del primo tema è un esempio della seconda esigenza. Le due non si pongono in contraddizione e non si annullano reciprocamente, ma sono senz’altro in rapporto dialettico tra loro. Si tratta di stabilire la vera natura di tale rapporto. Io propenderei per

L’estetica di Beethoven rispetto al Romanticismo

E’ come se il romanticismo rompesse le maglie strutturali ferree e rigorose entro le quali Beethoven aveva contenuto l’ispirazione e, di quegli scivolamenti della razionalità costituiti dai nuclei ispirativi, ora isolati tra loro e non più strutturati insieme (verrebbe da dire, con termine medico, di quei "prolassi") facesse il nucleo del proprio mondo espressivo. Si pensi per esempio al notturno in mibemolle maggiore, op. 9, n. 2 di Chopin , con quella sua melodia universalmente romantica, o a Schubert ( Serenata , sonata Arpeggione , et al .). La scorza giovane dei sentimenti beethoveniani, liberati dal loro schema di riferimento, trova collocazione in un universo libero, dove la forma viene vanificata (o dettata) dal contenuto espressivo-sentimentale, di modo che è sull’intensità, sulla qualità e sulla genuinità di quei sentimenti che si basa, secondo i romantici, la riuscita espressiva dell’opera d’arte. Non vorrei qui nemmeno sfiorare i problemi estetologici pos

Il quartetto con pianoforte di Schumann

Il secondo movimento del quartetto con pianoforte di Schumann è un moto perpetuo (caratterizzato da alcuni contrattempo che ne fanno il fascino ritmico) intervallato da due episodi, di cui il primo pare la rappresentanza stessa del sublime, mentre il secondo sembra rivestire maggiormente una funzione retorica di preparazione del finale. Il primo episodio intermedio è caratterizzato da una melodia intensamente romantica, che circola ben presto in tutte le voci assumendo forma contrappuntistica. Se si sta attenti, nell'esecuzione, a non sottolineare troppo i pizzicato che la sostengono (e che rischiano di ricordare il mandolino, facendone una banale serenata all'italiana) questa melodia incarna l'afflato romantico par excellence : il continuo sottrarsi alla villa (le inflessioni mondano-salottiere di parte della melodia stessa) per fuggire nel bosco, guardando da lontano la villa illuminata nell'oscurità della notte (l'anima ultra-romantica

Klára Würtz e Maurizio Pollini nel primo movimento della sonata per pianoforte n. 1, op. 11 di Schumann

Pollini offre come sempre all'ascolto un fraseggio rimarchevole ed impeccabile. La Wurtz offre il famoso tema iniziale della sonata avvolto in una bruma fascinosa e profonda, tale da investire con la sua allure l'intiera interpretazione del primo movimento. Là dove Pollini vede il principio del contrasto dialettico tra temi, frasi o semifrasi, in continua alternanza di tensione e rilassamento, la Wurtz omogeneizza le fonti di ispirazione del brano, traducendole nel medesimo colore, molto profondo e brunastro. Non so se sia una scelta perfetta, perfettibile oppure no, quella della Wurtz, ma penso che le interpretazioni sicuramente sbagliate a volte abbiano un fascino che perdura a lungo anche al confronto con scelte stilistiche teoricamente impeccabili. In una sonata così volutamente, tipicamente e tremendamente romantica, si preferiscono gli svenevoli errori alle esatte puntualizzazioni.

Lo "Stabat Mater" di Pergolesi nell'interpretazione di Abbado del 1968

Come scrive Zurletti , ogni risultato (anche ottimo) in Abbado è mediato dalla culturalità. Nello Stabat Mater di Pergolesi il nunc stans , cioè l’istante che si dilata ad eternità sublime, è raggiunto attraverso il filtro culturale: in questo caso, viene in mente l’arte visiva, in quanto la staticità, l’assenza di palpitazioni agogiche dell’esecuzione, richiamano apertamente la ieraticità, la solennità e la staticità delle pitture rinascimentali, in ispecie quelle dell’iconografia religiosa. Il sublime è concentrato nel contrasto tra il rigore agogico da un lato e - dall’altro - l’ampia eppur raffinata escursione  dinamica . Il risultato è ottimo, anche se si vorrebbe, all’ascolto, che venisse perpetrata qualche trasgressione, di tanto in tanto, al rigore agogico. Lo Stabat Mater è opera eccezionale per la sua essenzialità espressiva, che riesce a conciliare nella sua struttura e nel suo organico ridotti all’osso, la passionalità malinconica e umana del Barocco strumental

Schoenberg da due punti di vista

Se consideriamo l'arco generale della produzione schoenbergiana le vedute d'insieme, da parte della critica, sono molteplici, e possono giungere ad esiti contrapposti tra loro pur restando formalmente tutte corrette. Basti citare ad esempio, da una parte, la famosa critica di Adorno , che vede nel progressivo dissolversi del sistema tonale attuato con l'arte schoenbergiana un processo drammatico dalle radici politico-sociali (Theodor Wiesengrund Adorno,  Philosophie der neuen Musik , Tubingen, 1949; trad. it. di G. Manzoni,  Filosofia della musica moderna , a cura di Luigi Rognoni, Torino 1959) e, dall'altro lato, la prospettiva essenzialmente tecnica e anti-drammatica dalla quale Glenn Gould guarda Schoenberg. Gould arriva infatti ad affermare che non è "il caso di drammatizzare troppo lo sconvolgimento subìto dal placido mondo della Belle Epoque. Che cosa fosse il dolore lo si sapeva già prima di Guglielmo II... <è> un grave errore interpret

L'Eden mozartiano

Se ci troviamo nell’Eden mozartiano , l’imperativo è la dimenticanza dei mali del mondo. Tale è il motivo per il quale la prima impressione del mondo mozartiano sull’ascoltatore è quella del ristoro. Le pene del mondo vengono dimenticate a favore dell’epifania di un mondo parallelo nel quale tutto fa parte del circolo della bellezza, pertanto ogni impulso drammatico, ciascun colpo di scena – pure presenti in varia foggia e misura – devono rientrare e rientrano nel circolo della bellezza, ivi conglobati perché quel mondo rappresenta il mondo, ma investito di luce positiva, o quale copia positiva, quale mondo parallelo, o superiore, o sognato, o ideale. Pertanto il male non è superato perché non si contrappone quale mondo a sé, ma fa parte di quel mondo, mescolato insieme a tutte le altre sfumature che lo connotano. Nella composizione mozartiana pertanto non vi è volontà di concatenazione ferrea degli eventi musicali, perché non v’è dimostrazione di alcunché. La successi

Una minuta di riflessioni estetico-musicali

Chopin , Brahms , Cajkovsij , Mahler , Schubert , Schumann , Shostakovich . E’ possibile comparare mondi simili? Chopin, apparentemente, sembrerebbe il più sentimentale dei compositori. Il suo è un mondo così vaporoso, affascinante, ma Chopin dietro i ghirigori da salotto nasconde una malinconia insondabile. Schumann gioca con la fatuità, ma la drammatizza contrapponendola a una sorta di fuga nella natura. Schubert, in opere come la serenata o la sonata in la minore per violino, del romanticismo pare la quintessenza. Penso che il romanticismo abbia un apice, o un ideale, e che questo sia Schubert (o Schumann). Se noi prendiamo Franck , erede schubertiano, o Reinecke , erede mendelssohnniano , epigoni entrambi, vediamo come essi siano quintessenze del tardo romanticismo, o decadentismo, ad esser cattivi, o romantici minori. Direi che l’elemento boschivo (fuga regressiva e istintuale nella natura) vi predomina. Brahms è un romantico in maglie classiche: le maglie della forma b

Tra due (anzi tre) accordi

https://www.youtube.com/watch?v=KCXalr9IgPE&t=139s Se si prende l'intervallo di tempo tra: 1) il penultimo accordo ; 2) l'accordo pianissimo  che fa da eco a quello che io chiamo il penultimo e 3) l'accordo conclusivo della cadenza del pianoforte, alla fine del primo movimento del primo concerto di Beethoven , suonato da Michelangeli , con Giulini sul podio, si avverte, in tutta la sua enorme portata, la voragine, la vertigine di fronte all'immensa potenza della natura, ciò che Kant definì come sublime nella Critica del giudizio . In questo caso, quando cioè l'artista riesce ad esprimere il sublime, si fa egli stesso natura e lascia gli spettatori sbalorditi di fronte ai propri prodigi come di fronte ad un'immensa voragine naturale. E si può altresì toccare con mano come i dettagli possano assumere (debbano assumere) un'immensa forza espressiva e come l'arte sia rendere vivo ciò che apparentemente è inerte. Mi riferisco al fatto che la distanz

I colori del minuto ''5,30

https://www.youtube.com/watch?v=KCXalr9IgPE Nel primo concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven , diretto da Giulini , Michelangeli produce un suono come di un organo colorato, al minuto ''5,30, (ripresa del tema da parte del pianoforte). Sentire, al confronto, i grigiori brendeliani nello stesso passo ( https://www.youtube.com/watch?v=YeuyV8DA1bE ).

Quale Mahler?

Le interpretazioni bernsteiniane di Mahler affondano le loro radici nel dolore, come si conviene a un direttore che vive la musica come una serie discontinua di esaltazioni del presente (qui da intendere come "passato che irrompe nel presente", annientandolo e facendosi presente senza speranza di futuro), un direttore che la vive cioè come piacere-dolore, sia pure con mille sfumature qualitative. Quella di Bernstein è un'interpretazione tardoromantica che si avvolge nel dolore, fino a perdervisi,  à la   Proust . Ma c'è anche un altro modo di intendere Mahler, altrettanto grande: quello del suo contemporaneo Bruno Walter . Il suo è un modo di interpretare Mahler che ne esalta la componente lirica, ma non il dolore esistenziale, e che si rifà al primo romanticismo, in cui non vi è l'espressione del dolore, ma una fresca esaltazione del sentimento (quindi con una maggiore componente di speranza). Quale di questi due Mahler scegliere? Quello lirico e sere