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Antal Dorati 1981 in Don Juan di Richard Strauss

Credo che - dopo quanto hanno avuto da dire Karajan, Sinopoli e Boulez su Richard Strauss (anche se non tutti specificamente su quest'opera) - sia difficile per qualunque interprete mettere in luce altri aspetti significativi dei lavori per orchestra  dell'Autore. Ciò non significa che tentativi come questo, o quelli di Maazel, per esempio, siano poco significativi, ma riesce difficile discernere spunti di significatività (se non forse proprio, paradossalmente, in una certa leggerezza di fondo), nei passi specifici e nel complessivo approccio all'opera, in confronto a quegli interpreti che, scavando in diverse direzioni nella profondità di lavori come questo, hanno trovato filoni preziosi ed in qualche modo, per certi versi, ineguagliabili ed irripetibili.

Tra espressionismo e contemporaneità

Noi possiamo rinvenire già in Mahler e in Strauss le radici dell'espressionismo, con ciò qualificando l'espressionismo come epigono del romanticismo musicale. Se invece prendiamo le avanguardie musicali successive all'espressionismo, noi notiamo che la componente romantica viene forclusa. Tale forclusione ha portato all'abbandono della platea allargata dei fruitori i quali si sono rivolti ad altri generi. Tale raffreddamento, e non direttamente l'atonalità o la dodecafonia, ha determinato un allontanamento del pubblico. Prova ne sia che molti assistono a concerti di Schoenberg, Berg e Webern, oltre che di Mahler e Strauss, mentre ben poco seguito hanno le avanguardie del secondo dopoguerra del '900.

Il moto perpertuo in musica

Il moto perpetuo è là, a ricordarci la perenne esistenza del meccanismo e a rivestirlo di un afflato divino, come se esso potesse uscire dalle sue proprie maglie e trasformarsi in creazione e in futuro. In realtà, noi sappiamo che il meccanismo opera secondo sue leggi che non sono né umane, né artistiche: ma ci piace immaginare il contrario. Ecco spiegato anche il fascino della forma del tema e variazioni, dove l'aspetto della meccanicità della ripetizione del tema è variato e stravolto, fino a renderlo umano o disumano, abietto o sublime, secondo una logica meccanica che però al tempo stesso è ideata apposta per sfuggire al meccanismo.

Pollini 1990 e la sonata di Liszt in si minore

Affondato in un'arcigna serietà novecentesca, che richiama al ricordo fabbriche e musica contemporanea, il Liszt di Pollini è come sempre freddo e intenso allo stesso tempo. Non si saprebbe dire esattamente in che cosa, ma di certo l'edonismo viaggia molto lontano dai cieli di Pollini, quale che sia l'Autore affrontato. L'interpretazione è lì, sublime in quanto terrificante nella sua perfezione accigliata, che volutamente parla al lato cerebrale, più che a quello emotivo.

Who is the boss?

Questa domanda, relativa al rapporto direttore solista, fu posta da Bernstein nella sua famosa uscita prima del concerto con Gould (primo concerto di Brahms). Sembra particolarmente pertinente nel caso dei concerti per solista e orchestra nei quali Giulini, direttore lontano dallo stile autoritario quant'altri mai, riusciva a imprimere sempre un suo inconfondibile stile, pacato, caldo, lirico e attento alla qualità del suono e del fraseggio. Un esempio su tutti: il concerto per pianoforte e orchestra di Schumann con Rubinstein al pianoforte.

Dinu Lipatti nel concerto per pianoforte e orchestra di Schumann

Pianista adamantino e di raffinata personalità, Lipatti rivela tali doti in questa registrazione mono, risalente agli anni '40 del '900, che inevitabilmente viene a essere percepita quale sbiadita fotografia di una bellezza sonora e una raffinatezza di fraseggio rilevabili solo con le moderne tecniche di registrazione stereofonica. Tale è il vantaggio ed il limite del fatto che ci siano tramandate interpretazioni degne di nota, fatte riemergere da un tempo lontano, e che però non si possono apprezzare in tutta la loro bellezza perché il suono nella sua qualità risulta indecifrabile. Si può intuire una purezza di tocco, ma non la si può apprezzare. Si possono immaginare le meraviglie nella gestione dell'escursione dinamica, ma non si possono toccar con mano, e così via.

La coda del primo movimento del concerto per pianoforte e orchestra di Schumann

Deve provenire da un altro mondo. Per ottenere tale effetto, che banalmente potremmo definire "di sorpresa", vi deve essere un deciso stacco ritmico. Ecco perché Rowicki, che stacca, supera Abbado e Giulini, che non staccano. Direi che qui, necessariamente, il pianoforte agisce di conseguenza e (con scusabile gioco di parole) "si accoda" alle scelte del direttore, che siano o meno dettate - a loro volta - dalla volontà (che necessariamente deve però essere concordata prima e a tavolino) del solista stesso.