Post

Solo per flauto e basso continuo (clavicembalo) della prima parte della Tafelmusik di Telemann

A volte piccoli gesti hanno una portata stilistica rivoluzionaria. In aperta opposizione allo stile esecutivo di J.P. Rampal, tutto legato, fluido e incentrato sull'imitazione - da parte del flauto - della voce umana (la quale a sua volta, secondo l'estetica settecentesca, doveva essere imitazione della natura), Jed Wentz (1988) stacca la nota di arrivo di scale e appoggiature (p. es. all'inizio del brano, nell'entrata del flauto, subito dopo la bellissima introduzione del clavicembalo e poi alla fine del brano). Rivoluzionario, rispetto all'eredità dei grandi flautisti del '900, è anche il rifiuto del virtuosismo come matrice interpretativa (anch'esso derivato dal canto, o meglio dalla tradizione belcantistica). Di sicuro, in brani come questo, risulta un approccio nuovo e molto convincente, specialmente perché, a differenza di molte altre esecuzioni su strumenti d'epoca e filologicamente corrette, il suono del flauto non risulta afono e sgradevole.

Grande Storia Universale della Musica Strumentale in Modo Minore

È attesa l'uscita di tale opera fondamentale, probabilmente in 20 volumi di mille pagine ciascuno. Non ne è del tutto chiaro invece l'intento: sembrerebbe infatti, se non impossibile, quanto meno arduo racchiudere un universo come quello del titolo in così poche pagine.

Sonata per tastiera in re minore Illy 34 di Galuppi

In un'esecuzione impreziosita da raffinatezze di per sé artistiche (Matteo Napoli, 2009, Naxos), il primo movimento di questa sonata di Galuppi ricorda lo stato di grazia di Glenn Gould nell'interpretazione (1971) del primo movimento della Suite inglese in la minore di J.S. Bach, con in più la delizia della presenza e della differenziazione delle appoggiature nella sonata di Galuppi e invece, nella Suite bachiana, la delizia della proposizione di un meccanismo che non trova sosta nelle sue geometrie universali.

Dietro l'angolo

Dietro l'angolo si trovano il secondo movimento del quartetto di Haydn, Op. 9, n. 4 (dopo il primo, struggente movimento dello stesso quartetto) e il secondo movimento del quartetto di Haydn, Op. 20, n. 5 (dopo il primo, struggente movimento dello stesso quartetto). Se appaiano fenomenologicamente tali (cioè dietro l'angolo) per come sono fatti e che cos'abbiano in comune e se quel qualcosa in comune riferito alla loro struttura esteriore (una sorta di valzer storto e singhiozzante) abbia veramente a che fare con il loro essere dietro l'angolo, o se invece a renderli tali (dietro l'angolo) sia invece (e in che modo e in che misura) la loro posizione di secondo movimento collocato dopo due tra i più bei primi movimenti dei quartetti haydniani (ma anche il primo movimento del quartetto Op. 17, n. 4 ha un'aura simile, struggente, eppure non è seguito da un movimento del tipo "dietro l'angolo"), è difficile a dirsi. Non esiste, in alcuni casi, una spie...

234124

Nella Grande Storia Universale della Musica Strumentale di Algesio Erbi (20 tomi di 1.000 pagine ciascuno) leggo: Op. 9, n. 2, terzo movimento e Op. 9, n. 4, primo, secondo e quarto movimento (il riferimento è ai quartetti di Haydn) come esempi sommi di bellezza senza appesantimento della forma: singolare come si ricerchi la leggerezza in un'opera, quella di Erbi, peraltro molto pesante.

Il quartetto per archi in Re minore, Op. 76, n. 2 di Haydn

Quando Charles Rosen nel suo Stile classico deplorò come confusa quella splendida epoca della storia della musica che va sotto il nome di stile pre-classico o Empfindsamer Stil (Stile sensibile, o sentimentale), più o meno identificabile con gli anni '60 del '700, e identificabile - tra le altre opere di vario genere e autori vari - nei misconosciuti quartetti Op. 9 di Haydn e in parte in quelli dell'Op. 17 e dell'Op. 20 , non tenne conto della noia data dall'eccesso di simmetria, di cui i primi movimenti del tardo quartetto di Haydn in esame sono un esempio. Di tutto il quartetto si salvano il breve e apodittico terzo movimento, e l'ultimo, per la sua aura di Sturm Und Drang , mentre i primi due rappresentano una simmetria che di per sé dice poco.

La prima sinfonia di Mendelssohn

Proprio negli stessi anni in cui Beethoven, in base a un'estetica evoluzionistica e monumentale (ogni sinfonia dev'essere più lunga, significativa, impegnativa e monumentale della precedente), sia pure perseguita in modo non lineare (in base alla cosiddetta teoria della diversità tra le sinfonie pari e le dispari, coniata da alcuni musicologi) componeva la sua nona sinfonia, Mendelssohn componeva la sua prima sinfonia: di proporzioni equilibrate, drammatica, snella ed elegante, con uno stile che, secondo il metro di paragone di uno storicismo a sua volta evoluzionistico, potrebbe collocarsi tra la prima e la seconda sinfonia di Beethoven (quindi, sempre in base ad una logica evoluzionistica, "indietro di venticinque anni"). In merito alla leggerezza, la prima sinfonia di Mendelssohn è invece da considerarsi esteticamente più promettente della nona di Beethoven.