Un Mozart casalingo, con buona pace degli stereotipi
Non è infrequente che
alcuni indiscussi geni musicali siano paragonati tra di loro, e
vengano fatti oggetto, dall’”opinione pubblica”,
dall’immaginario collettivo, o direttamente dai media, di
generalizzazioni e di definizioni. Assai più raro è che tali
generalizzazioni possano poi, nonché corrispondere alla realtà
delle cose, risultare utili per qualsivoglia tipo di ragionamento.
Tale è il caso dell’eterna disputa tra i sostenitori di Mozart e
quelli di Beethoven, ammesso che certe divisioni in tifoserie
quasi-calcistiche possano in qualche modo riguardare problematiche di
estetica musicale. Ma occorre d’altro canto guardarsi da chi
rifiuta a priori di fare i conti con certe generalizzazioni
collettive, bollandole come superficiali, giacché un simile
atteggiamento, oltreché essere snobistico ed assai poco
intellettuale, rischia di precluderci subito qualche buon sentiero di
approccio al problema.
Già dalla facilità di
scrittura di Mozart, e - per contro - dalle continue, tormentate
correzioni cui Beethoven sottoponeva le sue partiture, si ha
solitamente buon gioco a definire “divino” ed “ispirato”
(dall’alto) il primo, “terreno” e “battagliero” il secondo.
Mozart viene subito definito “spirituale” e Beethoven “terreno”.
Ma in queste generalizzazioni, che pure hanno una ragion d’essere,
giacché Beethoven era poco incline alla “grazia e leggiadria”
della forma tipiche di Mozart, non si tiene conto di un fatto
fondamentale: che la grazia e leggiadria mozartiane non hanno nulla
di spirituale ed elevante, come accade invece, ad esempio, in Bach.
A dirla tutta, Mozart è
spesso vittima di un’altra etichetta (sia pure anch’essa
lusinghiera quanto lo è quella di “spirituale”), che lo vuole
“geniale psicologo” e “pittore di umani sentimenti e
situazioni, tipologie caratteriali e tòpoi della vita di ogni
uomo”. Come il primo luogo comune (“spirituale”) viene citato
implacabilmente in relazione alle ultime composizioni del maestro
salisburghese (in primis il Concerto per clarinetto),
così il secondo (“geniale psicologo”) viene alla ribalta in modo
petulante ogni qual volta si parli delle opere liriche di Mozart,
campo dove la sua produzione è, tra l’altro, più cospicua e
rilevante.
Noi ci occupiamo qui
solo del primo luogo comune (“spirituale”), quello relativo alle
ultime composizioni del Nostro, riservandoci invece di contestare
altrove la stessa validità estetica (senz’altro scarsa, secondo
noi) del criterio di giudizio che sottende il secondo luogo comune
(“geniale psicologo”): che c’entra infatti col Bello l’essere
“geniali psicologi?”. Si possono dipingere a meraviglia tipologie
umane e situazioni di vita, e tuttavia comporre pessime opere
liriche. Se Mozart compone invece bellissime opere liriche questo
nulla ha a che vedere con la psicologia, o con un tipo di musica atta
ad esprimere questo o quel carattere umano.
Per quanto concerne il
primo luogo comune, che qui ci riguarda, occorre sfatare uno
stereotipo inerente al Concerto per clarinetto. Si tratta di
un vizio comune a molti, quasi un atteggiamento mentale spontaneo ed
inevitabile, quello che ci fa attribuire, nelle ultime composizioni
di un artista, qualora esse siano situate temporalmente a ridosso
della sua morte, un presentimento della fine prossima ventura, in
questo caso una pace celestiale, una serena veduta dell’aldilà. Ma
bisogna ancora una volta rendersi conto di come, sebbene sia
innegabile che una certa parte della leggerezza di altre composizioni
del Nostro lasci il posto, nel Concerto, ad una dolcezza più
quieta, l’edonismo sia ancòra e sempre presente anche in questo
concerto, con l’unica differenza rispetto al Mozart più brillante
e leggero, che da ricerca del piacere cinetico, tale edonismo si fa
ricerca di piacere catastematico (stabile e pacifico desiderio di non
subire dolore), epicureo anziché cirenaico.
Nessuna elevazione
spirituale viene dunque ricercata nel Concerto per clarinetto,
ma invece un desiderio di pace con in più una sfumatura domestica.
Un Mozart casalingo, dunque, che ispirerà innegabilmente molta
musica da camera dei primi romantici, e soprattutto di tutti i
romantici minori, dimenticati portavoce di un’anima casalinga del
romanticismo, all’estremo opposto rispetto a quella guerresca, che
prende origine da Beethoven.